Pell, la persecuzione potrebbe non essere finita
Intervistato da Sky, Pell ha detto di essersi sentito vittima di una “guerra culturale” contro il Cristianesimo. Riguardo al suo passato ruolo in Vaticano, il cardinale avalla le voci che quanto gli è successo possa essere legato alle sue riforme finanziarie. In Australia, intanto, minacce di morte contro di lui. E l’Herald Sun scrive di nuove accuse: la persecuzione continua?
C’era grande attesa per la prima apparizione televisiva di George Pell dopo l’uscita dal carcere. E il cardinale, che per la sua scarsa inclinazione alla diplomazia era stato ribattezzato “ranger” durante il suo periodo romano, non ha deluso le aspettative. Quasi un’ora è durato il colloquio con Andrew Bolt, capofila dei giornalisti innocentisti che nell’introduzione ha voluto ribadire di non essere mai stato un amico del suo interlocutore, ma di aver agito nell’interesse della verità e della giustizia. L’intervista è stata registrata nel Seminario del Buon Pastore di Sydney, attuale residenza del porporato.
Pell, in clergyman, ha risposto schiettamente alle domande con cui il giornalista di Sky News ha voluto ripercorrere tutte le tappe della via crucis giudiziaria appena conclusa. L’ex arcivescovo di Sidney ha confessato a Bolt che il “momento più basso” della sua esperienza è stato quando la Corte d’appello di Victoria ha respinto il suo ricorso; notizia che aveva accolto con incredulità. Una reazione diversa rispetto a quella successiva alla condanna in primo grado (definita “un mistero”) di fronte alla quale ha affermato di aver dovuto “controllare sé stesso” per il “duro colpo”. La rabbia è un sentimento che non è stato estraneo al cardinale in questi anni di calvario giudiziario: infatti, ha confessato di essersi molto arrabbiato per il modo in cui il pm Mark Gibson aveva trattato due testimoni, tanto da doversi impegnare a mantenere il silenzio per non rispondere in maniera piccata al procuratore.
Pur non provando rancore verso il suo accusatore, sul quale si è chiesto “se non sia stato usato”, il cardinale ha sollevato qualche perplessità sulla tendenza dominante nel sistema giudiziario australiano: “Le vittime dovrebbero essere accettate come credibili, ma ciò che deve essere stabilito è che sono vittime” perché dare “la colpa in base alla sola accusa è un segno di inciviltà. Queste cose devono essere accertate rispettosamente”. Sullo scandalo pedofilia nella Chiesa, il prefetto emerito della Segreteria per l’Economia ha espresso vicinanza alle vittime degli abusi e ha detto di aver provato vergogna per i comportamenti dei preti stupratori, ma ha voluto anche rivendicare il suo lavoro fatto da arcivescovo di Melbourne per estirpare questa piaga “quando non era facile, né alla moda”.
Sollecitato da Bolt, il cardinale si è lamentato della faziosità dimostrata dall’Abc nella copertura mediatica del suo caso. “Credo nella libertà di parola e riconosco il diritto di quelli che la pensano diversamente da me ad esprimere le loro opinioni, ma se un’emittente nazionale, parzialmente finanziata dalle tasse dei cattolici, presenta un unico punto di vista è un tradimento dell’interesse nazionale”. Per definire quanto è accaduto all’ex arcivescovo di Sidney, Bolt ha parlato espressamente di “persecuzione”. Una persecuzione in cui un ruolo, a parere dello stesso Pell, lo avrebbe giocato la sua fede e il suo orientamento culturale: “A molte persone non piacciono le mie opinioni perché sono un conservatore sociale”, ha detto al giornalista. Il porporato si è sentito vittima di una “guerra culturale”. “Certamente”, ha affermato Pell, rispondendo a una domanda del suo intervistatore, “a molta gente non piacciono i cristiani che insegnano ciò che dice il Cristianesimo, specialmente sulla vita, sulla famiglia e sulle questioni analoghe”.
Secondo l’ex tesoriere del Vaticano, “c’è un tentativo sistematico di rimuovere le radici giuridiche giudeo-cristiane, con esempi di matrimonio, vita, genere, sesso ad esse opposte; purtroppo c’è poca discussione razionale e un ruolo eccessivo dell’uomo”. Chi si oppone a questo disegno diventa vittima di “abusi e intimidazioni” e questo “non va bene per una democrazia”, ha detto Pell.
Non poteva mancare un capitolo sul Vaticano, da dove il porporato è partito nel 2017 - nonostante potesse avvalersi del passaporto diplomatico - per potersi difendere dalle accuse piombategli in patria. Un addio che ha lasciato a metà le riforme economiche avviate nel periodo da prefetto della Segreteria economica, oggi guidata dal gesuita Guerrero Alves. Rispondendo a una domanda specifica di Bolt, l’intervistato ha fatto una confessione-choc: “La maggior parte dei funzionari di alto livello a Roma favorevoli alle riforme” crederebbe all’esistenza di un legame tra quanto gli è accaduto e il progetto di riforme finanziarie, sebbene non esista alcuna prova a confermare questo sospetto.
Pell non ha esitato a rispondere a un’altra domanda scomoda, quando Bolt gli ha chiesto se si fosse sentito abbandonato da un Papa a cui “non è vicino”: il cardinale ha ammesso di essersi sentito “assolutamente” sostenuto da Bergoglio. Parlando del rapporto con il Pontefice argentino, il cardinale non ha smentito il suo intervistatore, confermando che le sue “opinioni teologiche non si allineano esattamente con quelle di Francesco”. Pell, però, ha anche ricordato come Bergoglio, pur consapevole di ciò, lo avesse voluto nel C9 per aiutarlo nel programma di riforme della Curia: “Penso che apprezzi la mia onestà e forse il fatto che gli dico quelle cose che altre persone non hanno il coraggio di dirgli, e penso che mi rispetti per questo”.
Incalzato da Bolt, l’ex tesoriere ha confermato che in Vaticano esistono i corrotti ma ha anche specificato che Francesco e il Segretario di Stato Pietro Parolin non fanno parte di questa categoria. La Chiesa, comunque, non ha contribuito alle sue spese legali, ha rivelato il porporato, raccontando invece dell’aiuto economico e morale arrivatogli da centinaia di fedeli nel mondo, convinti della sua innocenza. “Non mi sono mai sentito abbandonato, ho ricevuto qualcosa come 4.000 lettere e mi rammarico profondamente per il fatto che la mia famiglia e i miei amici più cari abbiano dovuto affrontare tutto questo. Ma ho avuto un sostegno immenso”.
Un sostegno che non è mancato anche da parte dei detenuti, tanto che tre di loro hanno esultato al momento della notizia della sentenza ribaltata dall’Alta Corte. Pell ha raccontato un episodio divertente sui suoi compagni di prigione: una volta ha ascoltato alcuni di loro discutere sulla sua colpevolezza o meno; ad un certo punto, uno dei partecipanti alla conversazione ha affermato scherzosamente di stare dalla sua parte perché due ex primi ministri sostenevano la sua causa. L’esperienza in carcere lo ha reso particolarmente sensibile al tema della malagiustizia e si è detto intenzionato ad approfondire il caso di uno dei suoi vicini di cella, accusato di omicidio e che a suo parere non sarebbe un assassino.
Sollecitato da Bolt, uno dei principali accusatori delle modalità d’indagine del commissario capo Graham Ashton, Pell si è limitato a dire che da parte della polizia di Victoria c’è stato un trattamento “certamente straordinario” nei suoi confronti e si è dichiarato “non sorpreso” del fatto che contro di lui potrebbero arrivare nuove accuse.
Sempre ieri, infatti, poco prima che l’intervista venisse trasmessa su Sky News, le televisioni australiane avevano mandato in onda le immagini dell’arrivo della polizia nei pressi del Seminario che lo ospita attualmente. Si era velocemente diffusa la notizia secondo cui la presenza dei militari fosse legata all’apertura di una nuova indagine ai danni del cardinale per le nuove accuse di un altro denunciante. Una circostanza però smentita più tardi da un comunicato ufficiale della New South Wales Police: gli uomini in divisa, secondo la nota, sarebbero entrati nel Seminario per discutere di misure di sicurezza.
Per quanto è stato riferito alla Nuova Bussola, la polizia sarebbe arrivata nell’edificio di Homebush a seguito della chiamata del rettore, preoccupato per il moltiplicarsi delle minacce di morte rivolte al cardinale. La situazione, tuttavia, non è delle più rassicuranti per Pell: è stato l’Herald Sun, lo stesso giornale che per primo diede notizia della precedente indagine, a scrivere che contro di lui ci sarebbero nuove accuse per presunti fatti avvenuti negli anni Settanta e su cui starebbe indagando sempre la polizia di Victoria.
Nell’intervista di ieri, Pell ha confidato a Bolt che vorrebbe tornare a Roma una volta finita l’emergenza Coronavirus per riprendere le sue cose, ma che il suo futuro dovrebbe essere a Sidney. Alla luce dell’odissea giudiziaria subita e delle circostanze che l’hanno propiziata, del clima d’odio e delle minacce di morte di questi giorni, vale la pena chiedersi se l’Australia sia ancora un posto sicuro per il cardinale Pell.