Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
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Payback: Meloni rimedia al governo dei "migliori"

Le Regioni sforano i tetti di spesa e chi rifornisce le aziende sanitarie di dispositivi medici dovrebbe pagare per chi ha fatto i conti sbagliati, stando al meccanismo attivato dal precedente esecutivo. Meloni mostra sensibilità alle proteste delle aziende, ma è necessario un intervento urgente.

Politica 11_01_2023

Ieri in piazza a Roma le aziende che riforniscono gli ospedali e le strutture sanitarie di dispositivi medici hanno manifestato per la loro sopravvivenza, ma anche per il sacrosanto rispetto della libertà d’impresa e del diritto al lavoro, sanciti nella Costituzione e calpestati da una recente normativa del governo Draghi.

Il precedente esecutivo aveva infatti riattivato il payback con il decreto legge 9 agosto 2022, n. 115, recante «Misure urgenti in materia di energia, emergenza idrica, politiche sociali e industriali» e convertito nella legge 21 settembre 2022, n. 142, che prevede la restituzione alle Regioni di oltre 2 miliardi di euro a titolo di rimborso per le spese effettuate in eccesso dalle Regioni stesse. Quei soldi sono finiti nelle casse delle aziende fornitrici di apparecchiature mediche sulla base di incarichi acquisiti nella massima trasparenza in virtù dell’aggiudicazione di regolari bandi di gara, nel pieno rispetto del codice degli appalti.

Su quelle somme le imprese hanno già versato le tasse e ora dovrebbero in parte restituirle perchè le Regioni hanno sbagliato a fare i conti. Recentemente, infatti, le aziende sanitarie sono state chiamate a verificare l’eventuale sforamento di bilancio dal 2015 in poi rispetto al tetto massimo previsto per i dispositivi medici. Lo sforamento è stato stimato in circa 4 miliardi di euro, un enorme buco di bilancio delle Regioni che oggi le aziende fornitrici devono colmare poiché è richiesto loro di contribuire per il 50% dell’importo dello scostamento.

Ma imporre a quelle aziende di versare 2 miliardi di euro significherebbe costringere molte di esse alla chiusura e, secondo stime di Confindustria, lasciare a casa 112.000 lavoratori. Chissà se anche in altri Stati gli errori delle Regioni incapaci di fare i conti e di programmare l’organizzazione del servizio sanitario vengano fatti pagare a caro prezzo ai privati che assicurano, con regolari forniture, il buon andamento di quel servizio.

Le Regioni sforano i tetti di spesa e chi rifornisce le aziende sanitarie di dispositivi medici per la tutela del diritto alla salute negli ospedali deve restituire quanto guadagnato onestamente? Un payback così iniquo e pretestuoso, oltre che mettere in ginocchio un intero settore, rasenta l’incostituzionalità e infatti martedì prossimo è prevista un’udienza presso il Tar del Lazio che dovrà pronunciarsi proprio su questo.

La pioggia di ricorsi contro questo provvedimento parla da sola e la dice lunga sull’assurdità del meccanismo attivato da quel decreto del governo Draghi e messo nero su bianco dagli ex ministri della Salute e dell’Economia Roberto Speranza e Daniele Franco. Senza contare che, in caso di estese chiusure di queste attività fornitrici di dispositivi medici, potrebbero perfino scarseggiare i rifornimenti di apparecchiature essenziali per curare i malati. Con riflessi devastanti sulla tutela della salute pubblica.

Intanto ieri il governo ha approvato il decreto legge che proroga al 30 aprile 2023 il termine entro cui le aziende fornitrici di dispositivi medici dovranno assolvere al  payback. L’accordo raggiunto prevede anche l’innalzamento del tetto per i dispositivi medici, che dall’attuale 4,4% della spesa sanitaria complessiva verrebbe portato al 5,2%, riducendo così il deficit da dover poi ripianare. Ma da qui al 30 aprile verranno riscritte anche le regole del payback, che oggi colpisce indistintamente i produttori, senza verificare chi ha effettivamente sforato il budget di spesa e senza considerare in alcun modo le dimensioni delle imprese, che in questo settore sono estremamente variabili, con alcune capaci di fatturare miliardi, altre solo poche centinaia di milioni.

Il governo Meloni sta dimostrando sensibilità verso le sacrosante ragioni delle aziende fornitrici, ma è chiaro che questa proroga di 4 mesi del payback somiglia a un pannicello caldo che più di tanto non potrà fare. Occorre riconoscere un principio fondamentale: gli errori di un ente pubblico non può pagarli il privato, che di solito paga già a caro prezzo per i propri errori, anche quelli incolpevoli. Si pensi ad esempio al ginepraio di cartelle esattoriali che spesso somigliano a vere e proprie beffe nei riguardi dei contribuenti, costretti a pagare tassativamente nei termini e fino all’ultimo centesimo. In questo caso, invece, ad aver sbagliato è il pubblico, ma a rimetterci è chi ha guadagnato con onestà e professionalità quelle somme.

Oggi più che mai è necessario che il governo intervenga celermente per reperire le risorse necessarie e individuare soluzioni rispettose del diritto al lavoro e della libertà d’impresa, ponendo fine a questa assurda vicenda. Chissà cosa pensano di fronte a queste follie quelli che fino a qualche mese fa profetizzavano sventure per il nostro Paese, considerando quello Draghi il migliore dei governi possibili.