Passato e futuro del rito "preconciliare" dopo il concilio
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A sessant'anni dalla riforma liturgica paolina, la storia recente della liturgia antica presenta un quadro altalenante, dalla liberalizzazione di Benedetto XVI ai “siluri” di Francesco. E le timide speranze riaccese dal nuovo pontificato.

Dopo il siluro di Traditionis custodes (2021), il fuoco dell’interesse liturgico si è smorzato. È normale, anche perché altre problematiche come il sinodo sulla sinodalità, le guerre nonché il conclave hanno monopolizzato l’attenzione. Ma sul VO (Vetus Ordo) o Messa “prima del concilio” si sono riaccese timide speranze dopo la liturgia dignitosissima delle esequie del Romano Pontefice Francesco e certi atteggiamenti del Romano Pontefice Leone XIV, che non sono VO, ma che lasciano trasparire uno stile più tradizionale.
Il presupposto è che la Messa in VO è un problema pastorale e spirituale della Chiesa cattolica a prescindere da motivazioni esterne come gli eventuali buoni rapporti con i lefebvriani. Dunque chi pratica il VO dovrebbe avere in testa alcune considerazioni storiche e teologiche per vivere più correttamente questa esperienza. In questo primo intervento si ricostruirà la storia della pratica del VO dall’inizio della riforma liturgica sino ad oggi perché in successione sono emersi diversi criteri teologici e pastorali che possono insegnare qualcosa.
Prima fase: Paolo VI. Molta attenzione verso preti anziani e malati ma inflessibilità nella sostanza.
Promulgato da Paolo VI il primo Messale della riforma liturgica in data 3 aprile 1969, il 20 ottobre 1969 la Sacra Congregazione per il Culto Divino (SCCD) pubblicò l’Istruzione Constitutione apostolica sull’avvio graduale dell’uso del nuovo Messale e alla fine si prescriveva che «I sacerdoti di età avanzata» quando celebrano senza il popolo e si trovano in difficoltà con i nuovi formulari «con il consenso del loro ordinario possono conservare i riti e i testi attualmente in uso» (IV,19: EV 3/1639). Poco dopo la Segreteria generale della CEI il 25.11.1969 rese nota una lettera a firma del padre Annibale Bugnini – sotto l’autorità della Segreteria di Stato e della SCCD – dove si precisava che i vescovi potevano dispensare dall’uso del nuovo Messale «non solo i sacerdoti anziani o cecuzienti, ma tutti coloro che per qualsiasi motivo si trovano in grave difficoltà» senza ricorrere alla Santa Sede (ECEI 1/2243), il tutto ribadito in una successiva notificazione del 14.6.1971 (EV 4/971). È chiaro che la condiscendenza era basata sul presupposto che nel giro di pochi anni i sacerdoti anziani in difficoltà con la nuova Messa sarebbero morti e tutto il mondo cattolico avrebbe celebrato il nuovo rito.
Ma ahimè, c’erano dei sacerdoti non anziani che volevano continuare a celebrare con il VO: mons. Lefebvre e i suoi seguaci. Qui il problema si poneva in modo diverso e Paolo VI fu inflessibile. In una lettera a mons. Lefebvre dell’11.10.1976 scrisse che il divieto del VO era motivato «dal bene spirituale e dall’unità di tutta la comunità ecclesiale», mentre concedendo il VO «daremo libero corso a una nozione della Chiesa e della Tradizione del tutto falsa (notionem Ecclesiae ac Traditionis prorsus falsam induci sineremus)» (Insegnamenti... XIV, pp. 818-819). Viene da pensare al card. Gaetano quando, Legato in Germania, incontrò Lutero ad Augusta nel 1518 e, preso atto di quanto diceva, pronunciò la frase tremenda e profetica: «Sarebbe come fare un’altra Chiesa / Hoc enim est novam ecclesiam construere». Anche per Paolo VI concedere come normale il VO “sarebbe stato come fare un’altra Chiesa”.
Seconda fase: Giovanni Paolo II. Una mano tesa verso Lefebvre e il germe di una nuova prospettiva teorica.
Giovanni Paolo II nel Motu proprio Ecclesia Dei afflicta (2.7.1988) espresse il dolore per lo scisma lefebvriano e con un intento pacificante volle rivolgersi ai fedeli «vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche e disciplinari della tradizione latina» e «facilitare la loro comunione ecclesiale, mediante le misure necessarie per garantire il rispetto delle loro giuste aspirazioni» (5,c: EV 11/1203). Per giustificare l’uso del VO in casa cattolica, sostenne che bisognava prendere coscienza «non solo della legittimità ma anche della ricchezza che rappresenta per la Chiesa la diversità di carismi, tradizioni, di spiritualità e di apostolato» (5,a: EV 11/1201). Allora non si badò molto alla giustificazione addotta, la quale ribaltava il criterio di Paolo VI: ora il VO apparteneva alla “diversità di carismi” riconosciuti nella Chiesa e chi voleva praticarlo coltivava una “giusta aspirazione”. Era un piccolo seme teorico, destinato diventare un grande albero nella fase successiva.
Terza fase: Benedetto XVI. Una più ampia liberalizzazione del VO, nuovi fondamenti teorici e una nuova situazione pastorale.
Già negli anni ’80 nell’intervista fattagli da Messori il card Joseph Ratzinger «a titolo personale» ipotizzava la «concessione della liturgia preconciliare» purché si trattasse di qualcosa di straordinario e «venisse riconfermato il carattere ordinario dei riti riformati» (Rapporto sulla fede, pp. 128-129). Divenuto Romano Pontefice con il nome di Benedetto XVI, il 7.7.2007 diede corpo a quanto sopra con il motu proprio Summorum Pontificum (EV 24/1101-1126) accompagnato, alla stessa data, dalla lettera Con grande fiducia, indirizzata a tutti i vescovi (EV 24/1127-1136) e creando una situazione nuova, anche se radicata sulle precedenti concessioni di Giovanni Paolo II.
Anzitutto la possibilità di celebrare in VO fu ampiamente liberalizzata - per brevità tralascio di citare tutte le determinazioni canoniche - e in data 30.4.2011 l’Istruzione Universae Ecclesiae (EV 27/300-339) ampliò ulteriormente queste possibilità.
In secondo luogo furono enunciati due fondamenti teologici, liturgici e canonici che giustificavano la celebrazione in VO: salvo il fatto che il Messale promulgato da Paolo VI resta la forma ordinaria della celebrazione cattolica, il Messale VO di Giovanni XXIII del 1962 è la forma straordinaria dell’unico rito romano e non è mai stato abrogato (e proprio per questo può essere usato con una certa libertà) (Art. 1: EV 24/1107-1108). Due novità assolute ma un discorso scivoloso sul quale prossimamente ritorneremo.
Pastoralmente le due forme avrebbero potuto «arricchirsi a vicenda» e nella celebrazione con il nuovo Messale, se usato con una certa recezione dello stile del VO, «potrà manifestarsi, in maniera più forte di quanto non lo è spesso finora, quella sacralità che attrae molti all’antico uso».
Anche dal punto di vista dei destinatari c’è un allargamento di prospettiva: resta l’anelito al superamento della divisione lefebvriana facendo di tutto «per conservare o conquistare la riconciliazione e l’unità», ma lo sguardo si amplia verso persone di casa cattolica «profondamente ferite dalle deformazioni arbitrarie della liturgia». Infine, quasi estinta la generazione anziana cresciuta con il Messale “prima del concilio” «è emerso chiaramente che anche giovani persone scoprono questa forma liturgica (...) e vi trovano una forma particolarmente appropriata per loro» (Con grande fiducia: EV 24/1130.1132-1133). Questa è la novità non prevista da Paolo VI e da Giovanni Paolo II e nella quale attualmente ci troviamo (cf. il recente pellegrinaggio Parigi-Chartres): non si tratta solo di simpatia per il latino, ma di un modo di pregare e di celebrare, di incontrare Dio e di vivere la realtà della Chiesa e della propria vita spirituale, riscoperto da giovani e da giovani adulti, e dunque di un fenomeno ecclesiale nuovo “a prescindere” da Lefebvre.
Quarta fase: Francesco. Una riorganizzazione restrittiva in vista dell’estinzione delle celebrazioni VO.
«È per difendere l’unità del Corpo di Cristo che mi vedo costretto a revocare la facoltà concessa dai miei Predecessori»: così Papa Francesco nella Lettera di accompagnamento del Motu proprio Traditionis custodes del 16.7.2021, in cui stabilisce che «i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano» (art. 1) - questo smentisce la forma ordinaria/straordinaria di Ratzinger e di nuovo siamo al movimento del pendolo -, passando poi a diverse restrizioni per l’uso del VO. Come mai la marcia indietro? Beh, anche perché in alcuni che usano il VO c’è «il rifiuto della Chiesa e delle sue istituzioni in nome di quella che essi giudicano la “vera Chiesa”» e ovviamente il rifiuto del Vaticano II.
È un ritorno al “discernimento” radicale di Paolo VI, ma in una situazione nuova e più complicata perché qui non si tratta di preti anziani prossimi alla fine, ma anche gi giovani e giovani adulti, i quali però devono essere condotti “alla fine” non della vita ma della Messa in VO. Infatti il Vescovo ««avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi» (3 § 6) e voi Vescovi «operare perché si torni a una forma celebrativa unitaria» seguendo quanti «hanno bisogno di tempo per ritornare al Rito Romano promulgato dai santi Paolo VI e Giovanni Paolo II». Dunque la prospettiva è che il VO deve finire.
Quale sarà la fase da oggi in poi?
Difficile rispondere. In questa piccola storia abbiamo constatato che ogni Pontefice si è rapportato in modo differente con il VO. Ma non ci sono solo i pontefici: ci sono persone di ogni età che praticano il VO e che non sono pregiudizialmente contro il Vaticano II, come tanti giovani del pellegrinaggio Parigi-Chartres che erano lì, ma sono stati anche alle cattolicissime e postconciliari GMG.
Il Santo Padre Leone XIV ai partecipanti al Giubileo delle Chiese Orientali in data 14.5.2025 ha detto: «Quanto bisogno abbiamo di recuperare il senso del mistero, così vivo nelle vostre liturgie!». E qui siamo di nuovo di fronte al movimento pendolare perché il “senso del mistero” è espressione impronunciabile da ogni liturgista postconciliare e anche Papa Francesco ha preferito parlare di “stupore” ma di non usare «la fumosa espressione “senso del mistero”» (Desiderio desideravi [29.6.2022], n. 25). Che farà Papa Leone circa la pratica del VO? Non è poi così importante saperlo. È più importante disporre di alcune buone idee sui limiti e sui vantaggi del VO. Quali? Alla prossima.
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