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DIOCESI DI STATO

Pass & minacce, che carità! Si stringe il cappio sui preti

Il lasciapassare verde sta entrando nelle diocesi italiane. Dopo le raccomandazioni della Cei e le condizioni di Milano, altre diocesi in scia: a Firenze il pass è d'obbligo per "obbedienza", ad Arezzo senza carte in regola la fede non si può trasmettere: il vescovo minaccia i dieci preti "ribelli" di sospensione a divinis. A Foligno il vicario generale intima ai preti no vax di astenersi dal ministero. Lo stesso accade ad Assisi e Spoleto. La vita della Chiesa è ormai interamente subordinata ad una delle più assurde e impositive leggi dello Stato. 

Ecclesia 23_10_2021

A macchia d’olio. Il lasciapassare verde si sta rapidamente estendendo nelle diocesi italiane, sempre più preoccupate di uniformarsi alle leggi civili. Dopo la calorosa raccomandazione della Conferenza Episcopale Italiana a sottoporsi alla vaccinazione e dopo l’immediata imposizione dell’Arcidiocesi di Milano agli operatori pastorali delle tre condizioni che abilitano ad avere il green-pass (vaccinazione, guarigione dalla Covid, tampone molecolare negativo), altre diocesi italiane si allineano.

L’Arcidiocesi di Firenze, con una lettera dell’11 settembre, firmata dal cardinal Betori, si mette nella scia della diocesi ambrosiana: autodichiarazione obbligatoria, nella quale si esplicita di rientrare in una delle tre categorie “benedette” dallo Stato, senza la quale accoliti, ministri straordinari della comunione, catechisti, educatori, animatori, volontari, persino segretari ed archivisti parrocchiali non potranno più svolgere il loro servizio. Anche la diocesi di Firenze, come quella di Milano precisa, che «quanto previsto nell’autodichiarazione per gli “operatori stabili” è richiesto anche per i ministri ordinati (vescovo, presbiteri e diaconi); in virtù del particolare vincolo di obbedienza assunto al momento dell’ordinazione, per loro quindi non è necessario compilare il modulo». Un’obbedienza che ormai nella Chiesa è intesa in modo alquanto singolare: liberi di proclamare eresie, ma non di scegliere le cure adeguate alla propria salute.

La diocesi di Arezzo, in nome della comunione con le diocesi della Toscana, ha subito diffuso nei propri territori le disposizioni della Chiesa fiorentina, con tanto di tabella riassuntiva delle varie attività correlate alla richiesta di lasciapassare. Interessante notare che quanti partecipano alla catechesi, se sono maggiorenni, devono esibire il green-pass. Altrimenti niente trasmissione della fede: evidentemente le leggi civili, o presunte tali, vengono prima dell’evangelizzazione.

Il vescovo, Mons. Riccardo Fontana, ci mette però del suo, in un’intervista dal tono un po’ “intimadatorio” al quotidiano La Nazione (21 ottobre, pagina 2). Il titolo è tutto un programma: «Una decina di parroci ancora senza vaccino. “Prima dell’obbligo la strada del dialogo”». Sintesi dell’articolo: cari preti no-vax, intanto vi scredito davanti a tutti; poi vi do la possibilità di scegliere “liberamente” quello che io voglio; infine, se non vi piegate, vi obbligo, magari minacciandovi la sospensione a divinis. Gli articolisti la chiamano “moral suasion”, un modo colto per nascondere la volontà di estorsione.

Qualche citazione passim dall’articolo: «La stragrande maggioranza dei miei parroci ha già fatto il vaccino, su 309 in servizio della Diocesi, chi non ce l’ha si conta sulle dita di due mani e chi non presenta il Green pass non fa riunioni con il popolo [...]. Ma ora, prima di imporre l’obbligo stiamo percorrendo le vie del dialogo che mi sono molto più consone». Un’idea singolare di dialogo: o fai quel che ti dico “dialogando” oppure ti impedisco di svolgere il ministero sacerdotale.

Nel caso non fosse abbastanza chiaro, Fontana continua: «Convinceremo i resistenti, ma la stragrande maggioranza è d’accordo. Sentirò, uno ad uno tutti i miei preti e ho già iniziato [...] ma certo che non può fare il parroco uno che non ha il Green pass».

Sempre La Nazione, il giorno dopo, torna a sostenere la “moral suasion” della diocesi, parlando di un povero prete anziano del gruppo dei “resistenti”, che però è corso a farsi il vaccino, perché in fondo non aveva altre ragioni se non quelle del “si sente dire in giro che”. Poi le affermazioni di altri sacerdoti, per i quali con il Green pass siamo tutti più sicuri e più liberi di riprendere le nostre attività pastorali. La meraviglia del mondo green...

Dalla Toscana alla vicina Umbria, dove i sacerdoti della diocesi di Foligno si sono visti recapitare una lettera recante «cordiali e fraterni saluti» da parte del Vicario generale, Mons. Giovanni Nizzi, che tanto cordiale e fraterno, nel concreto, non sembra esserlo. «Il criterio generale deve essere il seguente: chiunque abbia un ruolo ecclesiale che comporti un contatto fisico con gli altri [...] deve attenersi ai previsti criteri di precauzione (vaccinazione, guarigione da non oltre 180 giorni, test negativo – 72 ore – da tampone molecolare) sottoscrivendo il modulo di autodichiarazione. Nel caso che, per qualsiasi motivo, non potesse attenersi a questo criterio, si astenga rigorosamente dall’esercizio del ministero o dell’attività ecclesiale in tutti quegli aspetti che comportano contatto fisico con gli altri (ad esempio, distribuzione della Santa Comunione, catechesi per gruppi in luoghi chiusi, partecipazione a cori, ...)». Ci è stato segnalato che anche le diocesi di Assisi-Nocera Umbra-Gualdo Tadino e Spoleto-Norcia avrebbero adottato la stessa linea. E a Terni il vescovo ha detto di seguire passo passo le direttive della diocesi milanese. 

Meglio non sprecare battute sul ruolo ecclesiale che comporta un “contatto fisico”, dato il momento particolarmente delicato per la Chiesa cattolica; ci limitiamo a sollevare qualche perplessità sul presunto contatto fisico che si verificherebbe durante la distribuzione dell’Eucaristia: evidentemente qualcosa ci sfugge dell’attuale prassi sacramentaria.

Dunque, il cappio si stringe sempre di più attorno a quei laici e sacerdoti che non intendono cadere nella trappola del lasciapassare verde, che altro non è se non una modalità concreta per entrare nel regime di una chiesa di Stato a tutti gli effetti. Il ministero sacerdotale, la vita sacramentale, la trasmissione della fede, le attività caritative, insomma, la vita della Chiesa interamente subordinata ad una delle più assurde e impositive leggi dello Stato.