Partiti sull'orlo di una crisi di nervi
E se Grillo avesse ragione? La sua profezia sull'autocombustione dei partiti rischia di avverarsi, con Pd e Pdl entrambi lacerati da liti intestine. Ma la caduta del sistema non farebbe bene all'economia italiana e spianerebbe la strada ai populisti.
Una volta tanto Grillo potrebbe avere ragione: Pd e Pdl sembrano destinati all'"autocombustione". L'effetto di questa profezia, tutt'altro che fantasiosa, potrebbe essere funesto per il Paese e produrre il dilagare di populismi e qualunquismi e una frammentazione politica che ricorda quella della Repubblica di Weimar.
Entrambi i maggiori partiti vivono fasi di profondo travaglio. Nel Pd, la navigazione di Renzi verso la segreteria appare sempre più tempestosa. Lo scandalo delle tessere gonfiate ha scatenato un clima rissoso nel partito e la vittoria del sindaco di Firenze, per quanto scontata, appare già cosparsa di insidie, tranelli, trappole e strascichi di ogni tipo. Il blocco del tesseramento (per impedire altri brogli), l'autosospensione del cuperliano Esposito a Torino, le ultime sciabolate di D'Alema contro Renzi e la freddezza dell'ex premier Prodi che ha deciso di non rinnovare l'adesione al Pd la dicono lunga sull'atmosfera di ostilità e diffidenza che circonda già ora il futuro segretario dei democratici. Per non dire dei bersaniani, che confidano nel flop del numero dei votanti alle primarie per delegittimare Renzi e parlare di "vittoria dimezzata". Non sarà facile per lui guidare il partito, "azzerare" le correnti (il suo proclama di maggior impatto sulla base) e ridimensionare le componenti dei vecchi apparati (ex Ds, ex Margherita).
Nel Pdl l'appuntamento è per il 16 novembre (salvo rinvii, da non escludere del tutto). Per quella data è previsto un Consiglio nazionale infuocato, che dovrà sancire il definitivo passaggio a Forza Italia e stabilire la linea da tenere sulla decadenza da senatore di Berlusconi e sull'appoggio al governo. L'ipotesi più probabile resta quella di un fragile e precario compromesso tra lealisti e governativi, ma con molti malumori e con un unanimismo di facciata destinato a non durare. I falchi di Verdini, Santanchè, Carfagna, Gelmini, Capezzone e Bondi sperano che il 16 novembre segni la loro rivincita dopo la rinnovata fiducia al governo Letta, votata con molti mal di pancia il 2 ottobre. Le colombe come Lupi, Formigoni e Cicchitto, compatte nel sostenere la segreteria di Alfano e la continuità dell'attuale esecutivo, sperano di convincere il Cavaliere a desistere dal "cupio dissolvi", che potrebbe segnare la fine del centrodestra e anche la sua definitiva uscita di scena. In mezzo ci sono i "pontieri" come Gasparri, Matteoli e Romani (e anche Schifani), che vogliono salvare l'unità del partito e il governo Letta. Alla fine, come sempre, deciderà il Cavaliere, che addirittura starebbe reclutando 120 professionisti nuovi alla politica per formare una nuova classe dirigente. In questo caso, a Berlusconi converrebbe uscire dalla maggioranza e puntare a presidiare l'area della protesta, oggi saldamente occupata da Grillo e dal non voto e fare un po' quello che fece negli ultimi mesi del governo Monti: un'opposizione a tutto campo.
L'intento nascosto dell'ex premier resta tuttavia quello di spaccare il fronte dei governativi, isolando Alfano, ma quest'ultimo sta ricevendo più di un aiuto dal premier Letta, che nelle ultime 24 ore gli ha fatto due "regali" per rafforzarlo nella contesa interna al centro-destra: ha rassicurato sulla seconda rata dell'Imu ("non si pagherà"), che poteva diventare un'arma nelle mani dei falchi per attaccare i governativi, e ha fatto approvare in Consiglio dei Ministri una norma che introduce la responsabilità civile dei magistrati (sia pure limitata alla Cassazione e al diritto comunitario). Ciò al fine di consegnare ad Angelino una carta da spendere per rabbonire il Cavaliere e indurlo a più miti consigli. Ma basterà?
Alla fine, per far durare il governo e scongiurare il voto anticipato e l'inevitabile caos, Pd e Pdl, sia pure senza dichiararlo, potrebbero concordare uno slittamento del voto sulla decadenza del Cavaliere, vero scoglio sulla strada dell'esecutivo. A quel punto si navigherebbe a vista, ma con la prospettiva di arrivare al semestre italiano di presidenza Ue con l'attuale esecutivo. In definitiva,in un'Italia che negli ultimi cinque anni (dati Cgia di Mestre) ha perso 400.000 partite Iva (-6,7%), la speranza di una ripresa è ancora appesa al filo sottile delle meschine contese interne ai due maggiori partiti, animati soltanto dalla lotta per il potere e sempre più indifferenti alle sorti dell'economia.