Parlare in corsivo, ma pensare da ignoranti
Parlare in corsivo e pensare da ignoranti. C’è una nuova moda tra i giovanissimi. Si chiama parlare in corsivo. Si tratta sostanzialmente di pronunciare le parole miagolando. Nato in quel di Milano si sta diffondendo nella penisola. La signorina Elisa Esposito, annoiata dal lockdown, ne è diventata maestra. Ma i contenuti?
Parlare in corsivo e pensare da ignoranti. C’è una nuova moda tra i giovanissimi. Si chiama parlare in corsivo. Si tratta sostanzialmente di pronunciare le parole miagolando, oscillando sulle vocali tra una A e una E, una U e una O, stiracchiando le I. Una sorta di cantilena irritante. Nato in quel di Milano si sta diffondendo nella penisola, ma durerà meno che un parlamentare tra i Cinque Stelle. Già ora chi lo usa passa per essere uno sfortunato (quelli della generazione Z avrebbero usato un altro lemma).
Il corsivo parlato ha cristallizzato, esasperandolo, un modo di parlare diffuso tra quei teen che, così esprimendosi, appaiono senza nerbo, queruli e lamentosi, spocchiosi perché pieni di tutto ma vuoti dentro. Una certa signorina Elisa Esposito, di anni 19 e di formazione estetista, ha rivelato che durante il lockdown si annoiava ed ha iniziato a prendere in giro i coetanei che parlavano così (Leopardi anche lui si annoiava a 20 anni, ma scrisse l’Infinito). Ha postato i suoi video sui social Instagram e TikTok e così oggi conta quasi 813mila follower. Il vuoto pneumatico ha successo. Tanto successo che l’avvenente milanese Esposito, ormai seguita da un’agenzia, è salita in cattedra ed è diventata la professoressa del corsivo parlato. Brevi video dove – pare con intento ironico – spiega come farsi ridicoli agli occhi e orecchi degli altri.
Ma la prof. è caduta su Dante, forse perché il suo non era un parlato corsivo, ma aulico. Infatti è stata invitata alla trasmissione RDS Next, la web radio dedicata agli imberbi, in cui, con buona pace del Fiorentino, le è stato chiesto di declamare in corsivo parlato il primo celeberrimo verso della Divina Commedia: “Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura ché la diritta via era smarrita”. L’Esposito, prima di arrivare nel mezzo del suo cammin, si è già smarrita perché, alla domanda del conduttore se conoscesse l’autore di questo verso, l’autoproclamatasi prof. ha così risposto: “No, prima che dico cavolate”. E poi, imbarazzata: “Non ne ho idea“. Un’ignoranza da scriversi non in corsivo, ma in stampatello. La prof. non voleva dire cavolate, ma così dicendo ne ha già detta una, dato che il congiuntivo mancante nella sua risposta grida vendetta al cielo della sintassi.
Dal momento che poi la vera insipienza è inconsapevole di se stessa, la Esposito compie l’unico errore da evitare in queste situazioni: tentare di mettere una pezza al buco. L’effetto è il medesimo di chi si agita per uscire dalle sabbie mobile: sprofondare. E così a stretto giro è arrivata tramite social la difesa della influencer: “State facendo un dramma sulla Divina Commedia quando il 90% degli italiani non sa manco fare due per due. Mollatemi, insegno il corsivo, non letteratura. Non lo sapevate neanche voi. Si scherza eh”. La butta sullo scherzo, ma il dramma c’è tutto, anche se si parla di commedia.
È il dramma della scuola che non deve fornire nozioni, ma stimolare un approccio critico (però i giudizi seguono i fatti, non viceversa), che proibisce le poesie mandate a memoria così da dimenticare i grandi della letteratura e i loro insegnamenti, che in spirito di garantismo deve promuovere tutti e bocciare nessuno perché tutti devono farcela (e chi lo ha detto?), che vuole che nessuno si senta discriminato perché ignorante, che deve mettere pezze educative alla latitanza dell’educazione dei genitori, che non sa rispondere efficacemente alla provocazione “ma Dante e il latino a cosa mi serviranno nella vita”? E alla fine hanno pure ragione loro: se nella vita vorrai fare l’influencer o il cannaiolo, Dante e latino non ti potranno essere di aiuto.
E il dramma sarà anche tutto nostro perché corriamo il rischio – al netto di molti ragazzi eccellenti – che influencer e cannaioli di oggi saranno coloro che un domani ci cureranno negli ospedali, costruiranno le nostre case, ci giudicheranno nelle aule di tribunale e tenteranno di difenderci, insegneranno nelle scuole e sederanno al Governo e in Parlamento (la politica in corsivo in realtà è nata bene prima del corsivo parlato).
I corsivisti contemporanei danno adamantina prova che bistrattare la pronuncia, incafonirsi in uno slang di nicchia è spesso effetto di un imbarbarimento della cultura. Non sapere chi ha scritto il primo endecasillabo della Divina Commedia significa non sapere chi sei, vuol dire essere indifferente alle tue radici – attendiamo invano i mea culpa di chi bercia contro la Patria e un inesistente sovranismo – essere un apolide culturale, uno smemorato italico non di solo di Collegno. Uno senza identità che non gli resta che miagolare come un ebete.
A questo proposito viene poi da pensare allo ius scholae (a beneficio dei follower della Esposito: non è il corsivo parlato di “io-scuola”, bensì latino). Si tratta di una proposta di matrice levantina che vorrebbe assegnare la cittadinanza italiana al minore immigrato, arrivato in Italia quando aveva meno di 12 anni o nato sul suolo Italiano, e con cinque anni di scolarizzazione in Italia. Provocatoriamente vogliamo qui dichiarare che siamo a favore di tale proposta, a patto che la cittadinanza come si è acquisita così si possa perdere. Se l’undicenne di nome Abdul può diventare italiano perché ha studiato in Italia, e quindi si presume che abbia assorbito grazie alla scolarizzazione i nostri valori, la nostra sensibilità, insomma la nostra cultura tanto da saper riconoscere l’autore del primo verso della Divina Commedia, allora anche una qualsiasi maggiorenne di nome Esposito può perdere la sua di cittadinanza se dà prova che non vi è traccia in lei di valori, sensibilità e cultura italiane tanto da ignorare la paternità di un verso celeberrimo. Insomma se l’istruzione scolastica è il criterio di accesso alla cittadinanza, l’assenza di questo criterio determina la sua perdita. Togliamo quindi la cittadinanza a chi ha scambiato Dante per Fedez.
Ehi, mæ si schiërzæ, ragaa.