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IMMIGRAZIONE

Ius scholae, una proposta razzista

Lo ius scholae prevede che un immigrato acquisisca la cittadinanza italiana se è arrivato quando aveva meno di 12 anni e se ha frequentato almeno cinque anni di scuola italiana. In realtà i figli degli immigrati godono già di tutti i diritti. Piuttosto c'è dietro l'idea che la nazionalità italiana sia superiore a quella marocchina, albanese o nigeriana.

Editoriali 01_07_2022
L'assessore di Roma Barbara Funari manifesta per lo Ius Scholae

Nel 2017 la battaglia, persa, era stata per lo ius soli, adesso è per lo ius scholae. Allora – contro lo ius sanguinis in vigore in Italia che attribuisce la cittadinanza italiana a chi ha almeno uno dei genitori italiano – si rivendicava il diritto a essere cittadini italiani di chi nasce nel nostro paese, indipendentemente dalla nazionalità dei genitori.

Il testo all’esame della Camera in questi giorni prevede invece che questo diritto venga riconosciuto ai minori stranieri che vivono stabilmente in Italia, che vi sono nati o che vi sono arrivati quando avevano meno di 12 anni e hanno frequentato per almeno cinque anni uno o più cicli di studi. Trattandosi di minori, la richiesta possono presentarla i loro genitori, a condizione che entrambi risiedano in Italia.

La proposta di legge è stata presentata dal deputato M5s Giuseppe Brescia. Lega e Fratelli d’Italia si sono dichiarati contrari, mentre Forza Italia si presenta divisa alla discussione alla Camera. Tutte le forze del centro sinistra sono favorevoli. Il segretario del Pd Enrico Letta ha dichiarato che lo ius scholae è “un grande obiettivo ed è prioritario approvarlo”. Il suo partito ha presentato un emendamento che consente anche solo a un genitore di chiedere la cittadinanza italiana per i figli. Buona parte del mondo dell’associazionismo sostiene la legge. Legambiente, Cittadinanzattiva e ActionAid Italia hanno invitato a “costruire e diffondere azioni di pressione per la riforma della legge sulla cittadinanza a partire da iniziative amministrative che facilitino l’iter di accesso alla cittadinanza”.

La Rete per la riforma della cittadinanza, che raggruppa diverse associazioni, tra cui Restiamo umani Brescia, Black Lives Matter Bologna, Festival Divercity, Dei-Futuro Antirazzista e 6000 Sardine, ha organizzato il 28 giugno a Roma un flash mob in piazza Capranica, vicino a Montecitorio: “Italia, promettimi che 877mila studenti riceveranno la cittadinanza, che mi considererai uguale ai miei compagni, che potrò andare a votare per la prima volta, che potrò indossare la maglia degli azzurri e non dovrò più stare in panchina”, l’appello dei giovani stranieri. L’onorevole Brescia ha preso la parola dicendo “non c’è più tempo per rinvii, questa è una battaglia per i diritti e i diritti non possono essere rinviati”. “I diritti sono fondamentali – ha ribadito la fotomodella e attivista Bianca Balti  – perché se i diritti non vengono riconosciti a qualcuno un giorno verranno tolti anche a noi. Quando si parla di diritti è un’emergenza di tutti”.

L’idea dunque è di dover mettere fine a una grande ingiustizia. Ma quale, si vorrebbe domandare. Come cinque anni fa, si vorrebbe poter parlare con questa moltitudine di persone sicuramente piene di buone intenzioni, ma impegnate in una causa in realtà inconsistente. I diritti sono fondamentali, è una battaglia per i diritti, dicono politici e attivisti. Ma nessun diritto è negato ai minori stranieri che vivono in Italia. Godono degli stessi diritti, delle stesse libertà e usufruiscono degli stessi servizi dei bambini italiani, senza discriminazioni e limitazioni. Secondo quanto prevede la legge, raggiunta l’età di 18 anni, se risultano risiedere stabilmente in Italia hanno facoltà di scegliere se mantenere la cittadinanza dei loro genitori oppure diventare cittadini italiani e hanno due anni di tempo per decidere che cosa fare.

“Italia, prometti che potrò andare a votare” chiedono i minori stranieri. Gli italiani maturano il diritto al voto con la maggiore età. Allo stesso modo, il giovane straniero che al compimento dei 18 anni sceglie la cittadinanza italiana acquisisce il diritto di votare e inoltre quello di candidarsi e ricoprire cariche pubbliche ed elettive.

Nessun diritto è negato ai minori stranieri. Per contro, l’acquisizione della cittadinanza italiana in minore età per decisione dei genitori, come vorrebbe lo jus scholae, è un’imposizione che il bambino subisce e che potrebbe generare dei problemi, oltre che dispiacere al ragazzino diventato adulto. Per questo la legge in discussione prevede che, compiuti i 18 anni, l’interessato possa rinunciare alla cittadinanza italiana, ovviamente purché abbia diritto a un’altra cittadinanza, quella originaria o un’altra perché, in caso contrario, diventerebbe un apolide. C’è un altro aspetto da considerare, che già era stato evidenziato quando si discuteva dell’introduzione dello ius soli. Il fatto che dei minori non abbiano la stessa nazionalità dei genitori può avere conseguenze anche serie: sia nel caso che la famiglia continui a vivere in Italia, ad esempio all’insorgere di gravi problemi di sicurezza nazionale, sia, e più ancora, nel caso decida o si veda costretta a trasferirsi in un altro Stato o a fare ritorno al paese di origine. 

“Oltre un milione di giovani sono ancora senza cittadinanza” protestano politici e associazioni. Ma invece una cittadinanza ce l’hanno, quella dei loro genitori, e, dal momento che questo non comporta privazione di diritti, discriminazioni ed esclusione dai servizi di cui godono i bambini italiani, è davvero difficile concordare sull’urgenza di una legge che riconosca ai minori stranieri un diritto alla cittadinanza italiana acquisibile frequentando dei corsi scolastici per cinque anni, senza che questo cambi qualcosa nella loro vita; a meno che le rivendicazioni di chi sostiene lo ius scholae – e in passato lo ius soli – non rispecchino un pregiudizio, anche inconsapevole: che cioè la nazionalità italiana sia più ambita, desiderabile, prestigiosa, che potersi presentare al mondo come italiani sia meglio che farlo da marocchini, albanesi o nigeriani.