Parisi spariglia le carte. Berlusconi è con lui, gli altri no
Avrà forse il gradimento di Silvio Berlusconi, ma l’investitura ufficiale di Stefano Parisi quale leader del centrodestra, se mai arriverà, appare ancora lontana. L’auto candidatura allontana dal centrodestra la cosiddetta anima lepenista di Salvini e Meloni e spacca in due Forza Italia.
Avrà forse il gradimento di Silvio Berlusconi, ma l’investitura ufficiale di Stefano Parisi quale leader del centrodestra, se mai arriverà, appare ancora lontana. É quanto si percepisce all'indomani del vertice ad Arcore di tutti i colonnelli di Forza Italia con il convalescente Berlusconi, che ha indicato nell'ex manager Fastweb la figura in grado di riunificare le diverse anime del centrodestra sul "modello Milano" (senza però incoronarlo coordinatore del partito,come si vociferava alla vigilia) e ha rilanciato la battaglia per il "No" al referendum costituzionale.
L’ex manager Fastweb, che ha ben figurato alle ultime elezioni amministrative, perdendo per un soffio la guida di Milano contro l’attuale sindaco, Giuseppe Sala, dovrà vincere parecchie resistenze dentro gli attuali partiti del centrodestra (non solo tra gli azzurri), che lo vedono come un “corpo estraneo”, catapultato dall’alto e privo di esperienza politica. Ha chiarito di non voler prendere il posto di Berlusconi, ma di fatto la sua è un’auto-candidatura per una leadership nazionale che finisce per scompaginare i già fragili equilibri interni a quello schieramento e per aprire la strada a nuove fratture.
Se all’ombra della Madonnina la candidatura di Parisi appariva come unitiva, poiché finalizzata a riconquistare la guida di una città governata per cinque anni dalla sinistra di Pisapia, su base nazionale essa sembra al momento divisiva, perché attrae spezzoni di centro pro-renziano (Alfano ieri sul Corriere ha dichiarato di aver apprezzato l’endorsement di Parisi, pur non condividendo il suo "no" al referendum) ma allontana la cosiddetta anima lepenista di Salvini e Meloni e spacca in due Forza Italia.
Dentro il partito dell’ex Cavaliere si respira un’aria da resa dei conti tra i vari colonnelli. I capigruppo Renato Brunetta e Paolo Romani si sono mostrati tiepidi nei confronti di un’investitura di Parisi, anche perché privilegiano l’asse con Lega e Fratelli d’Italia, in vista delle prossime politiche, quando sarà indispensabile un’alleanza con quei partiti. Anche Giovanni Toti, da molti indicato come possibile guida di quell'area politica, vede come fumo negli occhi l’ascesa di Parisi, che gli sbarrerebbe la strada verso la conquista della leadership, e preferisce strizzare l’occhio a Salvini e Meloni, che appoggiano convintamente la sua giunta ligure.
Fatto fuori o comunque fortemente ridimensionato il “cerchio magico” (Rossi, Pascale e altre), hanno acquistato peso Mara Carfagna e Maria Stella Gelmini, e la prima sotto sotto coltiva ambizioni in prima persona per quanto riguarda la guida del partito. Ci sono poi Gasparri e Matteoli, che tifano Toti piuttosto che Parisi. Il clima, insomma, è di lotta senza quartiere, di tutti contro tutti, ma l’errore di fondo è che si tratta di operazioni di piccolo cabotaggio sganciate da una strategia di ricomposizione del centrodestra sulla base di programmi credibili e di una valorizzazione effettiva di nuovi quadri dirigenti.
Non basta incoronare Parisi per recuperare milioni di voti e rinsaldare i vincoli con un elettorato sempre più distante. Come avversario non c’è più soltanto la sinistra, ma un Movimento Cinque Stelle che si sta sempre più accreditando come forza di governo alternativa a Renzi.
Ed è proprio l’alternativa a Renzi il vero nodo da sciogliere. Siamo proprio sicuri che Berlusconi non voglia utilizzare il suo peso elettorale come massa di manovra per poi trattare con Renzi, anziché contrastarlo sul terreno della competizione elettorale? Il fatto che le cosiddette “colombe” come Letta, Confalonieri e Ghedini, da sempre favorevoli a un asse con Palazzo Chigi, abbiano pienamente ripreso in mano le redini delle scelte politiche fatte ad Arcore non sarà un segnale chiaro?
Forse la figura di Parisi è funzionale a questo, cioè a riacquistare una forza negoziale nazionale da spendere sul terreno di un nuovo “Patto del Nazareno”. Non a caso lo stesso ex candidato sindaco di Milano ha dichiarato il proprio “No” al referendum costituzionale, ma ha anche aggiunto che, in caso di vittoria dei “No”, Renzi dovrebbe restare al suo posto, magari indebolito e costretto a trattare col centrodestra sulle riforme e anche su altre partite che stanno a cuore a Berlusconi.
Ufficialmente Parisi è una figura spendibile per evitare che Forza Italia muoia e che imprenditori, professionisti e società civile continuino a indirizzarsi verso Renzi o verso l’alternativa pentastellata. Dietro le quinte, però, l’ex manager Fastweb potrebbe essere anche il nuovo pacificatore, il punto di collegamento per nuove trattative, sotterranee o addirittura alla luce del sole, con Renzi, anche al fine di mettere in sicurezza il cosiddetto “impero berlusconiano”, fatto di aziende e interessi in vari settori. Altro che Partito popolare europeo e nobili ideali europei.
L’impressione è che la riaggregazione del centrodestra, lungi dal realizzarsi sulla base di un progetto coerente con gli ideali liberaldemocratici, possa avvenire ancora una volta sul terreno delle decisioni a tavolino. Intanto, però, l’elettorato non ci crede più e si regola di conseguenza. Sbagliato illudersi del contrario.