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LA "PIAZZA" ARABA

Panorama di una regione costantemente in bilico

Grave la Libia. All'instabilità dell'area si aggiunge l'Oman. E in Tunisia ed Egitto si riaprono le contestazioni.
- Gheddafi, chi era costui?, di R. Ronza

Attualità 28_02_2011
al Sistani

 

Permane altissima la tensione nell’intero scenario nordafricano e mediorientale.
Mentre le preoccupazioni maggiori sono ora tutte rivolte ovviamente alla Libia, si riaccende la protesta nel Paese “madre” di tutte le rivolte, la Tunisia, e così pure nella sua prima figlia, l’Egitto. Un nuovo fronte d’instabilità si apre nell’Oman e l’incognita sul futuro degli emirati e dello Yemen pesa non poco sul gigante dell’area, l’Arabia Saudita, che ancora sembra restare in sonno.
Mentre anche l’Algeria scende in piazza, un aspetto specifico dell’intera questione è del resto lo scontro, forte in alcuni Paesi - per esempio il Bahrein -, tra sunniti e sciiti, di cui sembrano voler approfittare anche gli sciiti dell’Iraq. In Iran, intanto, dove la “piazza” dei contestatori continua a conservare caratteristiche diverse da quelle degli altri Paesi della regione, nulla più di sa dei capi dell’opposizione.

Libia
Muhammar Gheddafi continua a incolpare della rivolta – da ultimo parlando alla televisione serba – gli “stranieri” e al Qaeda.
Mentre la notte scorsa il Consiglio di sicurezza dell’Onu approvava sanzioni contro il regime libico, il governo britannico ha congelato i beni del raìs e dei suoi famigliari “sospendendo ” pure la propria ambasciata nel Paese, e il Segretario di Stato americano, Hillary Clinton, ha assicurato sostegno agli oppositori che a Bengasi hanno formato un Consiglio nazionale libico.
Zawia, cittadina a circa 20 km. dalla capitale Tripoli è controllata dagli insorti. Gli stranieri continuano a fuggire dal Paese in fiamme e nella sola Tunisia ne sarebbero giunti via terra circa 40mila. Sul confine libico-tunisino è intanto emergenza sanitaria. Sabato uno dei figli di Gheddafi, Seif al Islam, è nuovamente intervenuto paventando lo spettro della guerra civile.

Marocco
Domenica a Casablanca un migliaio di persone rigidamente controllate dalla polizia sono scese per le strade domandando riforme politiche e una nuova Costituzione. Le università del paese, chiuse subito dopo l’inizio dei disordini, riapriranno il 5 marzo.

Tunisia
Si è rotta la calma seguita alla “rivoluzione dei gelsomini”, che all’inizio dell’anno ha portato alle dimissioni del presidente della repubblica Zine El-Abidine Ben Ali e, il 14 gennaio, Mohammed Ghannouchi ad assumere il controllo del Paese con la carica di primo ministro, affiancato da un direttorio composto di sei elementi. Nei giorni scorsi la “piazza” è tornata a chiedere un nuovo cambio della guardia giudicando Ghannouchi, per undici anni anche premier con il leader cacciato, troppo connivente con Ben Ali, e questo nonostante il suo governo di transizione abbia promesso nuove elezioni per il mese di luglio.
Così, dopo i violenti scontri tra forze dell’ordine e manifestanti dei giorni scorsi, costati la morte a 5 cittadini tunisini, domenica Ghannouchi si è dimesso. Gli succede ora Al-Baji Ca’ed al-Sebsi con la carica di primo ministro, che già è stato ministro degli Esteri nel governo di Habib Bourguiba primo presidente della Tunisia indipendente.

Algeria
Sabato le tensioni fra manifestanti e partigiani del presidente Abdelaziz Bouteflika hanno causato scontri sulla Piazza dei Martiri di Algeri. Una cinquantina di giovani sostenitori del capo dello Stato hanno lanciato pietre contro gli oppositori.

Egitto
Il segretario generale della Lega Araba, Amr Mussa, ha annunciato l’intenzione di presentarsi alle prossime elezioni presidenziali. Ieri a Il Cairo piccoli gruppi di manifestanti sono tornati a radunarsi in Piazza Tahrir chiedendo le dimissioni del governo militare di transizione, retto dal generale Ahmed Shafiq e l’abolizione delle leggi di emergenza.
Nella notte tra venerdì e sabato la polizia militare, che fino a questo momento aveva protetto gli insorti, aveva infatti repentinamente mutato atteggiamento, sparando proiettili in aria e disperdendo con la forza gli assembramenti di contestatori.

Bahrein
Nel Paese ad amplissima maggioranza sciita, non si placano le manifestazioni che chiedono la cacciata del regime retto da più di due secoli della dinastia sunnita degli al-Khalifa. In parlamento il gruppo sciita si è dimesso dopo l’annuncio del rimpasto del governo, misura giudicata insufficiente dall’opposizione. Il bilancio degli scontri fra forze dell’ordine e rivoltosi è, sino a oggi, di sette morti fra i manifestanti.

Oman
Un nuovo tassello si aggiunge al già complesso scenario delle rivolte arabe.
A Sohar, la maggiore città industriale dell’Oman, circa 2mila manifestanti - in gran parte disoccupati o lavoratori al minimo salariale – sono scesi ieri in piazza chiedendo riforme. Negli scontri fra polizia e manifestanti sono morti due dimostranti e altri otto sono rimasti feriti. Il palazzo del governo e il commissariato sono stati dati alle fiamme. La protesta si è allargata anche al meridione del Paese.

Yemen
Il presidente Ali Abdallah Saleh, contro cui da settimane s’indirizza la protesta di folle di disoccupati, ha dichiarato di voler difendere il «regime repubblicano fino all'ultima goccia di sangue». Nel fine settimana ad Aden vi sono stati tre morti fra i manifestanti in quello che è stato definito un vero scenario di guerra. In tutto il Paese, il più povero della regione mediorientale, la repressione si sta facendo sempre più violenta.
Intanto sabato i capi di alcune importanti tribù, fra le quali gli Hashed e i Baqil, si sono intanto uniti alle proteste in occasione del grande raduno svoltosi a nord della capitale Sanaa.

Arabia Saudita
Mentre re Abdullah ha annunciato riforme economiche che dovrebbero interessare 90mila dipendenti pubblici, circa 140 intellettuali hanno sottoscritto una lettera aperta al regime per chiedere riforme più strutturali politici. A Riad ancora la “piazza” non si è però accesa e gli appelli alla mobilitazione di massa che compaiono su Facebook non hanno seguito.

Iraq
Anche l’Iraq ci prova. Sabato l’ayatollah Al Sistani [nella foto], leader spirituale degli sciita, ha chiesto l'eliminazione dei privilegi concessi fino a oggi ai politici, all'indomani della “giornata della collera'” contro il governo durante la quale sono morte 16 persone.

Iran
Da circa 15 giorni nulla si sa più dei leader dell’opposizione, Mir Hossein Mussavi e Mehdi Karrubi. Secondo un sito web israeliano specializzato in informazioni di intelligence, Debka, si troverebbero nella prigione di Parchin, in un quartiere nord della capitale Teheran. La stessa fonte afferma che i due uomini sarebbero stati duramente picchiati dagli agenti di custodia durante un recente trasferimento. Debka parla anche della grande insoddisfazione dell’opposizione nei confronti del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, a loro giudizio troppo tiepido nei confronti della loro rivolta.

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