Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
IL CASO

Padre Mbaka, il ‘dissidente’ che scuote la Nigeria

È ricomparso in un video, dopo alcuni giorni senza sue notizie, padre Ejike Mbaka, il sacerdote noto per aver chiesto l’impeachment o le dimissioni del presidente Muhammadu Buhari. Il motivo? L’insicurezza crescente in Nigeria. E intanto sul caso di Mbaka è intervenuto in modo clamoroso Reno Omokri (avversario dello stesso Buhari) che chiede al Vaticano di indagare sul sacerdote.

Esteri 07_05_2021

Dopo alcuni giorni senza che si avessero sue notizie, il 5 maggio è ricomparso a Enugu, in Nigeria, padre Ejike Mbaka, il sacerdote cattolico che di recente, durante un’omelia di cui è stato diffuso il video, ha interpellato il presidente della Repubblica, Muhammadu Buhari, e ha osato chiederne l’impeachment o le dimissioni. L’ultima volta padre Mbaka era stato visto mentre lasciava l’abitazione di monsignor Valentine Onaga, vescovo di Enugu. Un video che lo mostra sano e salvo in una strada cittadina, acclamato da una folla esultante, ha rassicurato i fedeli. Tra i suoi sostenitori si era infatti sparsa la voce, subito peraltro smentita dalle autorità, che fosse stato arrestato e c’è chi temeva di peggio. Per questo poche ore prima era stata organizzata una manifestazione di protesta.

Il motivo per cui padre Mbaka chiede l’impeachment o le dimissioni del presidente è l’insicurezza crescente, dilagante in molti dei 36 stati di cui si compone la federazione nigeriana, che il governo non riesce, e secondo i partiti all’opposizione non sa e non vuole, contrastare. Muhammadu Buhari è al secondo mandato presidenziale. È stato eletto la prima volta nel 2015 e la seconda nel 2019. I problemi di sicurezza si sono aggravati negli ultimi due anni, fino a diventare insostenibili soprattutto in tre aree del paese: il nord est e il nord ovest, dove si trovano i 12 stati a maggioranza musulmana, e la Middle Belt, gli stati centrali dove convivono, e si scontrano, le etnie di fede islamica tradizionalmente dedite alla pastorizia e quelle meridionali, contadine, in gran parte cristiane e animiste.

Nel nord est, specialmente nello stato del Borno, la minaccia è costituita dal gruppo islamista Boko Haram che dal 2006 combatte con l’intenzione di imporre in tutta la Nigeria la shari’a, la legge islamica, e sopraffare i cristiani. Nel 2016 il presidente Buhari aveva dichiarato che il gruppo armato era stato “tecnicamente sconfitto”. In effetti, grazie soprattutto all’intervento di forze militari regionali, i jihadisti erano stati costretti a ritirarsi dai territori e dalle città conquistati e a ridurre raggio d’azione e frequenza di attacchi e attentati. Da alcuni mesi invece hanno intensificato le attività. Sono riusciti a impadronirsi di un villaggio nello stato del Niger e potrebbero addirittura mirare alla capitale Abuja, a due ore soltanto di distanza, cosa che non succede da molti anni. Il 3 maggio il capo della polizia del Territorio della Capitale Federale, pur smentendo che i terroristi fossero entrati ad Abuja, ha annunciato un dispiegamento eccezionale di forze di sicurezza e lo stato di massima allerta.

Nel nord ovest è il dilagare di bande criminali a creare panico tra la popolazione. Dallo scorso dicembre almeno 700 persone, quasi tutti studenti, sono state sequestrate a scopo di estorsione, prelevate nei loro campus, di notte, dai rapitori che arrivano a bordo di motociclette e altri automezzi, sparando a raffica, e portano via tutti i ragazzi che non riescono a mettersi al sicuro, forti dell’inerzia se non della complicità delle forze di sicurezza. Decine di studenti sono stati rapiti persino in due istituti universitari di Kaduna, la capitale dell’omonimo stato. Sono state organizzate manifestazioni di protesta, le autorità si rammaricano dell’accaduto, si rallegrano dello scampato pericolo quando dei ragazzi vengono liberati. I sequestri continuano. Oltre a quelli clamorosi di decine di studenti tutti insieme, sono diventati comuni, all’ordine del giorno in tutto il paese, i rapimenti di singole persone, con la richiesta di piccole somme per il rilascio. Di solito le vittime sono in viaggio da una località a un’altra, raggiunte in un punto isolato, costrette a fermarsi da un ostacolo posto sulla strada.

Anche gli scontri tra pastori e agricoltori, soprattutto per il controllo di pascoli e terre fertili, si sono moltiplicati negli ultimi anni, provocando migliaia di morti e danni economici enormi. Di solito ad avere la meglio sono i pastori, di etnia Fulani, meglio armati e addestrati a combattere. Anche in questo caso la risposta del governo è stata debole, del tutto inefficace. Molto ci si aspetta da un programma nazionale varato nel 2019 che si propone di trasformare i pastori in allevatori stanziali. Ma un rapporto pubblicato il 4 maggio avverte del rischio che fallisca: per scarso impegno da parte di chi è incaricato di realizzarlo, mancanza di informazioni e coinvolgimento dei diretti interessati, difficoltà a reperire i fondi necessari. Se il governo non rimuove questi ostacoli al più presto, dice il rapporto, il programma può naufragare e questo porterebbe a una escalation del conflitto che potrebbe degenerare in più gravi violenze etniche e religiose.

Tutto questo denuncia padre Mbaka, che pure è stato un convinto sostenitore del presidente Buhari. Ma l’ufficio di presidenza replica accusando il sacerdote di attaccare Buhari solo perché il presidente ha rifiutato di assegnargli degli incarichi e delle commesse in cambio del sostegno ricevuto durante le sue campagne elettorali.

Criticare un leader africano, farselo nemico, è rischioso, anche per un sacerdote. Sul caso di padre Mbaka due giorni fa è intervenuto Reno Omokri, ex assistente di Goodluck Jonathan, il predecessore di Buhari. Lo ha fatto in modo clamoroso. Ha infatti rivolto una petizione al Vaticano con la quale chiede a Papa Francesco di indagare su padre Mbaka. Pur essendo un noto avversario del presidente Buhari (che è musulmano e originario degli stati del nord, mentre Jonathan è cattolico e originario degli stati meridionali), Omokri si è schierato dalla sua parte. Nella lettera aperta a Papa Francesco sostiene che il comportamento di padre Mbaka è “immorale e sconveniente per un sacerdote cattolico”, lo incolpa di false accuse anche nei confronti di Jonathan quando era presidente, e chiede al Pontefice di “intraprendere gli opportuni passi per assicurare la disciplina nella Chiesa cattolica in Nigeria”.

Non è la prima volta che la Santa Sede è chiamata a intervenire su questioni delicate, imbarazzanti, difficili da dirimere. Tribalismo e corruzione, i due flagelli denunciati così chiaramente da Papa Benedetto XVI durante i suoi viaggi apostolici in Camerun, Angola e Benin, tentano e talvolta corrompono anche la Chiesa.