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FORZA MAGGIORE

Ostlund, il regista che narra la maschilità abbandonata

Ruben Östlund è un regista svedese decisamente controcorrente. Nel film Forza Maggiore, narra la vicenda di una famiglia in cui il padre si comporta da vigliacco. Un episodio di pochi secondi che rovina la vita famigliare. Perché nonostante l'educazione gender neutral, i ruoli tradizionali riemergono.

Cultura 24_02_2019
Forza Maggiore

 Ruben Östlund è un regista svedese da tenere d’occhio. Dopo alcuni film dedicati allo sci (e che probabilmente hanno dato una impronta decisiva al suo stile registico) ha, ad esempio, girato un documentario sulla propria famiglia (Family again, 2002) e sui suoi tentativi di ricongiungere i propri genitori separati da tempo. Come se non bastasse, nel 2011 ha destato scandalo e si è attirato le ire di gran parte del suo paese con una pellicola (Play) che descrive atti di bullismo compiuti da ragazzini immigrati nei confronti di bambini svedesi. L’anno scorso, poi, ha girato The square, una critica feroce e devastante nei confronti dell’arte contemporanea e – soprattutto - della political correctness.

Evidentemente, si tratta di un autore coraggioso e controcorrente. Tra i suoi lavori, quello che colpisce maggiormente, risale al 2014 e si intitola Forza maggiore. Questa la trama. Una famiglia svedese è giunta sulle Alpi francesi per trascorrere una settimana bianca. Sono Tomas, Ebba e i loro due figli. Tutto procede per il meglio fino a quando accade un evento che cambia per sempre la vita di questa famiglia: una valanga. I protagonisti sono a pranzo su una terrazza quando vedono staccarsi una enorme massa di neve che corre verso di loro. Ebba si preoccupa dei bambini, ma Tomas afferra il cellulare e fugge via; torna solo quando è chiaro che la valanga non ha travolto il ristorante. In silenzio, la famiglia riprende il pasto, ma da qual momento nulla sarà più come prima.

Come interpretare questo film? Una prima, facile chiave è in perfetta sintonia con il pensiero mainstream: il maschio è egoista, debole, vile e patetico; la femmina coraggiosa, lucida e attenta ai propri figli. C’è una scena che sostiene questa visione: una seconda coppia (Mats e Fanny), amici di Tomas ed Ebba, discute sull’accaduto e lei afferma: «Io reagirei come ha reagito Ebbe, non riuscirei a scappare. […] Io volevo dire che tu e Tomas siete più o meno lo stesso tipo di uomo. Voi due, per esempio, siete molto diversi da Filip. Lui non scapperebbe mai, non abbandonerebbe mai la sa famiglia. Assolutamente. […] Il punto è che c’è un’enorme differenza tra la vostra generazione e la nostra. È la stessa differenza che c’è tra la tua generazione e quella di tuo padre. È una cosa naturale, inevitabile. Tu sei più responsabile nei confronti della famiglia di quanto non fosse tuo padre». Il sottinteso è chiaro: con il passare degli anni, gli uomini abbandonano il modello tradizionale maschile e diventano più responsabili.

Ma è possibile leggere questo film in un altro modo. Tomas è un uomo svedese: è cresciuto nel paese nel quale sono nati gli asili gender-neutral; nel quale i bambini e persino Dio non hanno un genere d’appartenenza, sono neutri. Gli è stato insegnato che fare la pipì in piedi è un gesto arrogante, e che la forza non è altro che violenza. È il frutto dell’educazione di genere che, nel suo paese, vige da anni. Gli è stato proibito di esercitare la virtù della fortezza (le virtù si acquisiscono esercitandole). Eppure la moglie, i figli, persino Mats e Fanny si aspettano che Tomas sia coraggioso.

Perché il compito dell’uomo è essere forte e coraggioso (Giusuè 1, 1-20). Tomas lo sa. Lo sanno la sua famiglia e i suoi amici. Infatti Mats, dopo la conversazione con Fanny, non riesce a dormire tormentato da una domanda: se accadesse a me, come mi comporterei? Non importa se il mondo, i media, la mamma, la scuola dimenticano che la fortezza (la disponibilità a sacrificarsi) è una virtù, e come tale va esercitata (con il gioco, lo sport, l’amicizia maschile…): arriverà comunque il giorno in cui verrà chiesto all’uomo di essere forte e coraggioso. E se non lo sarà, tutti si vergogneranno di lui.

Qual è, dunque, la «forza maggiore» che dà il titolo al film? La paura, che costringe Tomas alla vile fuga che segnerà per sempre la sua vita? Oppure la vocazione maschile alla fortezza, che emerge nonostante la dittatura del gender?