Ospizio Europa, l’arte di estinguersi
«L’era glaciale demografica» e il ruolo dell’aborto. Altre facce della cultura di morte: eutanasia, divorzio, gender, fecondazione artificiale. Le radici mortifere nel nichilismo artistico e letterario. Dal videoincontro di ieri con Tommaso Scandroglio.
Il suicidio demografico dell’Europa è un dato di fatto, del quale si possono rinvenire le radici culturali in certa produzione artistica, letteraria, musicale, specie dalla fine del XIX secolo in avanti. Le statistiche odierne riflettono in definitiva un cambio di mentalità, in negativo, che investe il modo di guardare alla vita e alla morte, al proprio corpo, alla famiglia, con la progressiva esclusione di Dio dalle nostre società. Questi alcuni dei principali temi toccati nella diretta di ieri dei Venerdì della Bussola, intitolata icasticamente: Ospizio Europa, l’arte di estinguersi. Ospite Tommaso Scandroglio, che ha conversato con Stefano Chiappalone.
Scandroglio ha osservato che «siamo nel pieno di un’era glaciale demografica, non di un inverno demografico. Vuol dire che a monte anche la cultura europea non è vivace, non è viva».
I dati degli attuali 27 Paesi dell’Unione europea fotografano una situazione cupa: è vero che tra il 2001 e il 2020 la popolazione è cresciuta, passando da 429 milioni a 447 milioni di abitanti, ma questo incremento si spiega con l’immigrazione. Infatti, nello stesso periodo sono diminuiti i nati vivi (dai 4,4 milioni del 2001 ai 4 milioni del 2020), è diminuito il tasso di natalità (da 10,2 nati su mille abitanti a 9,1), mentre è aumentato il tasso di mortalità (da 9,9 a 11,6). In breve, come riassume il collaboratore della Bussola, «in Europa si nasce sempre meno, si muore sempre di più». Se guardiamo al tasso di fertilità, siamo molto lontani da quello che i demografi indicano come tasso di sostituzione, ossia 2,1 bambini per donna in età fertile. Nel 2021, questo tasso si attestava a 1,53, perciò molto al di sotto della soglia necessaria per mantenere un certo equilibrio tra nati e morti. E le stime per il futuro sono ancora più basse.
Inoltre, gli stessi immigrati vanno a poco a poco adattandosi agli odierni stili di vita europei, facendo in media meno figli in rapporto alla cultura e al Paese d’origine. È quindi illusoria l’idea che essi possano risolvere i problemi demografici dell’Europa. E, in ogni caso, si tratterebbe di una soluzione sbagliata, «che non sta in piedi dal punto di vista culturale-antropologico perché la sostituzione etnica significa anche sostituzione culturale, sostituzione religiosa», nota Scandroglio.
Il bioeticista afferma poi, dati e studi alla mano, quello che il mainstream solitamente nega o al più tace, ossia che «l’aborto è il primo motivo dell’inverno demografico ed è la prima causa di mortalità al mondo», prima ancora di tumori e patologie cardiovascolari. Perciò, «se volessimo risolvere il problema della demografia in Europa, dovremmo metter mano alle legislazioni che permettono l’aborto». Legislazioni che di certo non hanno contribuito al calo degli aborti: sarebbe un’assurdità, visto che la depenalizzazione di una condotta si accompagna a un aumento delle persone che praticano quella stessa condotta. Se talora gli aborti volontari ufficiali diminuiscono, ciò è dovuto a un complesso di cause, perché, riassume Scandroglio, «c’è una contrazione della popolazione femminile», «c’è un aumento di infertilità e sterilità, quindi meno concepimenti» e ancora perché «c’è una migrazione abortiva», ossia un tendenziale passaggio dagli aborti chirurgici agli aborti con pillole, non solo quelli attraverso la Ru486, ma soprattutto quelli con le cosiddette pillole del giorno dopo e dei cinque giorni dopo che possono avere non solo effetti contraccettivi ma anche abortivi: causano quindi un certo numero di cripto-aborti, aborti nascosti.
L’altra espressione della cultura di morte è l’eutanasia. Scandroglio ricorda che in Europa è diffusa sia l’eutanasia omissiva (quando non ci si sottopone a terapie salvavita) sia quella attiva (quando si staccano ad esempio il respiratore o la Peg). Secondo il bioeticista, l’attuale normativa italiana (legge 219/2017) «è una delle più liberali», che tra l’altro ha «assegnato il potere di vita e di morte ai rappresentanti legali». Più in generale nei Paesi europei ogni legge sull’eutanasia prevede paletti più o meno simili, ma che poi – sdoganata l’idea che si possa uccidere – in concreto “saltano”, facendo venire meno perfino il presupposto del consenso. Scandroglio ricorda i casi di «bambini in tenera età, come Charlie Gard, Alfie Evans, Isaiah Haastrup: questi bambini sono stati uccisi dal sistema giudiziario inglese nonostante il disaccordo dei loro genitori». La stessa sorte è toccata in Francia a «Vincent Lambert, che invece era una persona adulta ma incapace di intendere e di volere», oppure, per tornare al Regno Unito, a «quella ragazza inglese, diciannovenne, che ricordiamo soltanto nel suo acronimo, S. T. [Sudiksha Thirumalesh], che non voleva morire: era fortemente disabile, l’hanno uccisa lo stesso». Si finisce dunque per praticare l’eutanasia «su persone in cui non soltanto manca il consenso ma sono addirittura dissenzienti».
Accanto ad aborto ed eutanasia ci sono altre facce di questa cultura mortifera. Spiega Scandroglio: «Pensiamo al divorzio, che è la morte della famiglia; pensiamo alla transessualità, che è la morte dell’identità personale; all’omosessualità, che è la morte dell’identità sessuale; all’utero in affitto, che è la morte della dignità della persona» e, più in generale, alla fecondazione artificiale «che produce moltissimi morti per avere il bambino in braccio», visto che la stragrande maggioranza degli embrioni prodotti artificialmente non vede la luce.
Questa cultura di morte si lega a una deriva, a un desiderio di dissoluzione le cui radici, secondo Scandroglio, si possono ritrovare in un preciso periodo storico, a cavallo tra il XIX e il XX secolo. Anni in cui «sia l’arte visiva che la letteratura che la musica, volendo anche il balletto e il teatro, rappresentano molto bene lo spirito odierno e lo spiegano anche», attraverso opere dove si può vedere che «c’è quasi un culto della morte». Scandroglio fa esempi di autori come Thomas Mann (La morte a Venezia), Gabriele D’Annunzio (Trionfo della morte), i quadri di Gustav Klimt e, ancora, Richard Wagner (Tristano e Isotta), Anton Bruckner (Settima Sinfonia). Questi e altri autori «comprendono che un’era per loro molto positiva, energica, vitale come il Romanticismo stava finendo» e le loro opere esprimono «il senso di decadenza, di sfaldamento» della loro epoca. «Per questi autori l’uomo non ha salvezza e redenzione se non attraverso la morte»: essi «sentono dentro di sé una pulsione all’infinito», ma non la orientano verso il solo che può soddisfarla, cioè Dio. «E pensano che il male, il vincolo, sia proprio l’identità personale», l’essere stesso.
Questa forma di nichilismo – che nei suddetti autori si univa ancora a «una nostalgia» per il tempo che fu – raggiunge il parossismo con altri autori successivi (da Kazimir Malevic a John Cage, da Jean-Paul Sartre a Piero Manzoni), i quali in vario modo descrivono, raffigurano o mettono in musica – se così si può dire – il nulla. Anche in questo caso Scandroglio fa e mostra diversi esempi, citando tra l’altro il Caligola di Albert Camus, dove il protagonista arriva a distruggere la propria immagine allo specchio perché odia sé stesso, un po’ come l’odierna Europa che «odia le proprie radici, la propria storia, la propria natura, la propria identità».
Ma anche in questo clima storico-culturale i segni di speranza non mancano. Innanzitutto, perché il governo della storia è sempre nelle mani di Dio. E poi perché c’è un popolo che, con fede e buonsenso, lo segue.