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IL FILM

Osceno, squalido e inutile: è il Pasolini di Abel Ferrara

Se l'intenzione di Abel Ferrara era quella di restituire un ritratto sincero di Pier Paolo Pasolini, il suo film ha miseramente mancato il centro. Presentato in concorso al Festival di Venezia, dove è stato accolto in malo modo da diversi critici e giornalisti, il film di Ferrara è il risultato deludente di un lavoro infelice. 

Cinema e tv 03_10_2014
Il regista Abel Ferrara

Se l'intenzione di Abel Ferrara era quella di restituire un ritratto sincero dell’artista, poeta, regista e intellettuale che fu Pier Paolo Pasolini, il suo film ha miseramente mancato il centro. Presentato in concorso al Festival di Venezia, dove è stato accolto in malo modo da diversi critici e giornalisti, il film di Ferrara è il risultato deludente di un lavoro confuso e infelice. 

Concentrandosi sulle ultime 36 ore di vita di Pier Paolo Pasolini, Ferrara prova a descrivere l’artista nelle sue diverse sfumature in un racconto cinematografico che mischia vari piani narrativi che non aiutano né facilitano la visione dell’opera. C’è il Pasolini ripreso nella quotidianità di casa, nel sincero rapporto con una madre che ama chiamarlo Pierruti e con gli amici di una vita riuniti intorno al tavolo a filosofeggiare; c’è il letterato, impegnato a lasciare nero su bianco riflessioni, pensieri e lettere con la sua inseparabile Olivetti; c’è l’intellettuale, intervistato dalla Tv francese e dal celebre giornalista de La Stampa, Furio Colombo, perplesso e preoccupato per via dei disagi di una società alla deriva dove, come sostiene, «siamo tutti in pericolo» e c’è il Pasolini intimo, uomo fragile, sembra voler dire Ferrara, che a bordo della sua Alfa Romeo, gira gli squallidi quartieri romani in cerca di relazioni carnali e giovani pronti a prostituirsi per una cena e qualche spicciolo. Troppa carne a fuoco per un film che non riesce ad andare a fondo a nessuna di queste questioni preferendo concentrarsi sugli aspetti più scabrosi e discutibili della vita e dell’operato dell’artista. 

Non a caso, Ferrara, con libertà intellettuale decide di aggiungere, a questo già contorto piano narrativo altri due livelli che si ispirano a due delle opere cui stava lavorando il regista/scrittore e che sono rimaste incompiute. Da un lato il romanzo Petrolio di cui riprende gli appunti 55 (il pratone della Casilina) e quelli 97 e 98 (la festa e il racconto dell’aereo che cade in Sudan) e dall’altro l’assurdo progetto cinematografico Porno-Teo-Kolossal, inserendo nel film due personaggi grotteschi (interpretati da Ninetto Davoli e Riccardo Scamarcio) che vagano in cerca di una stella cometa e si trovano trascinati in alcune delle situazioni più imbarazzanti del film. La peggiore, senza dubbio, quella in cui i due si recano in visita a Sodoma, in un maestoso palazzo dove nelle vesti di spettatori non visti assistono alla festa della fertilità, unico giorno dell’anno in cui gay e lesbiche si riuniscono per partecipare a una gigantesca orgia con il solo intento di procreare e poi tornare alle loro vite di sempre. 

Un libertà del tutto personale, una scelta trash e inutile che non è l’unica divagazione in un lavoro che propende per un’oscenità ricercata e ostentata. Sono diversi i momenti del film in cui Ferrara insiste sull’aspetto più intimo e del tutto personale dell’artista quasi a voler dire che Pasolini è tutto qui e questo è ciò che resta di un intellettuale complicato e controverso. A tutto ciò si aggiungono altri limiti. Da una parte la pessima scelta linguistica, evidente nella versione originale del film, dove si mescola inglese e italiano a seconda delle situazioni o degli interlocutori dell’artista, un problema che si risolve nel doppiaggio italiano ma resta vivo nella versione internazionale tanto che in una recensione di Variety ci si chiede per quale ragione non si siano scelti attori inglesi al posto di quelli italiani che sembrano esprimersi goffamente e con difficoltà. Dall’altro un finale piatto e scontato dove Abel Ferrara sceglie di seguire la teoria emersa in seguito al processo del 1976, dove si imputa la morte dell’artista a soggetti ignoti, e mostra la tragica scomparsa di Pasolini per mano di un gruppo di omofobi che lo sorprendono in atti osceni sulle spiagge di Ostia in compagnia del giovane Pino Pelosi. 

Un finale, insomma, che non dice nulla e non aggiunge niente di nuovo a quanto già scritto e mostrato in più occasioni da giornali e Tv. Forse è stato davvero così ma quanto interessa allo spettatore? A sentir il nome di Pasolini ci si aspettava un ritratto più completo, ci si auspicava, quanto meno, la visione di un film che rispondesse alla semplice domanda «Chi era Pier Paolo Pasolini?». Impossibile rispondere attraverso la visione di questo lavoro che riduce il suo operato e la sua persona al ritratto banale, volgare e semplicistico di un uomo qualunque, protagonista in un film scadente e dimenticabile.