Open Arms, quella di Salvini sarebbe una condanna politica
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Il processo intentato a Matteo Salvini per il caso Open Arms getta ombre sull’operato di una parte di magistratura che non si limita ad applicare le leggi. La decisione del Capitano fu condivisa con tutto il governo Conte, ma oggi rischia solo lui. L’ipocrisia dei 5 Stelle.
Il processo contro Matteo Salvini, accusato di sequestro di persona e omissione di atti d’ufficio per aver arbitrariamente negato per 20 giorni, nell’agosto di cinque anni fa, alla nave della Ong spagnola Open Arms, di far sbarcare nel porto di Lampedusa 147 profughi soccorsi in mare, sembrò fin dal principio un’iniziativa politica. Che lo fosse lo si è capito definitivamente quando i giudici si sono concentrati sulla figura dell’allora ministro dell’Interno, dimenticando che quella sua decisione dell’epoca fu condivisa in modo collegiale con tutti gli altri ministri e, soprattutto, con il premier di quel governo, Giuseppe Conte.
Sabato nell’aula bunker di Palermo c’è stata la svolta, peraltro attesa: l’accusa, a due anni esatti dall’inizio del processo, ha chiesto sei anni di reclusione per Matteo Salvini. La richiesta della Procura è arrivata dopo una lunga e dura requisitoria. La procuratrice aggiunta Marzia Sabella ha precisato tra le altre cose che «le convenzioni internazionali sono chiarissime» e che «non si può chiamare in causa la difesa dei confini senza tenere conto della tutela della vita umana in mare. Ecco perché i migranti andavano soccorsi, concedendo subito un porto sicuro». L’udienza dedicata all’arringa della difesa, che verrà fatta da Giulia Bongiorno, legale di Matteo Salvini, è stata fissata per il 18 ottobre.
Il ministro dei Trasporti non era in aula ma ha affidato ai suoi profili social la sua reazione, ripercorrendo in quattro minuti di video l’intera vicenda e ribadendo la sua versione dei fatti. «Mai nessun governo e mai nessun ministro nella storia è stato messo sotto accusa e processato per aver difeso i confini del proprio Paese. L'articolo 52 della Costituzione italiana recita che la difesa della patria è un sacro dovere del cittadino. Mi dichiaro colpevole di aver difeso l'Italia e gli italiani, mi dichiaro colpevole di aver mantenuto la parola data», ha dichiarato Salvini.
Il Governo ha fatto quadrato attorno al Capitano. «È incredibile – scrive Giorgia Meloni sui social – che un Ministro della Repubblica Italiana rischi 6 anni di carcere per aver svolto il proprio lavoro difendendo i confini della Nazione, così come richiesto dal mandato ricevuto dai cittadini. Trasformare in un crimine il dovere di proteggere i confini italiani dall’immigrazione illegale è un precedente gravissimo. La mia totale solidarietà al Ministro Salvini». Altrettanto netto il giudizio del ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, che ha parlato di «evidente e macroscopica stortura» e «ingiustizia». Anche Antonio Tajani si è detto convinto della piena correttezza dell’operato di Salvini, che «ha fatto il suo dovere di Ministro dell’Interno per difendere la legalità» e ha aggiunto: «Chiedere 6 anni di carcere per questo motivo appare una scelta irragionevole e per giunta senza alcun fondamento giuridico».
Le opposizioni, però, hanno accusato Palazzo Chigi e i ministri di intromissioni e pressioni indebite sui magistrati di Palermo. In effetti questa richiesta di condanna per Salvini rischia di innescare due meccanismi. Da una parte rinfocola tutte le polemiche tra centrodestra e magistratura, esplose in occasione del caso Toti ma anche a proposito della questione dossieraggio. Dall’altra ricompatta le forze di maggioranza attorno al leader della Lega. Infatti il 18 ottobre, in occasione dell’arringa difensiva della Bongiorno, è prevista una grande mobilitazione del popolo del centrodestra a Palermo
Nel frattempo l’Associazione Nazionale Magistrati (Anm) ha fatto sentire la sua voce, scrivendo in una nota che «insinuazioni di uso politico della giustizia e reazioni scomposte, anche da parte di esponenti politici e di Governo, sono dichiarazioni gravi». Il sindacato dei giudici ha espresso solidarietà a tutti i colleghi impegnati nella trattazione del processo Open Arms e in particolare della Procura di Palermo. In quella nota si rivendica l’autonomia della magistratura e si invoca il principio di separazione dei poteri, che però spesso sono le stesse toghe a violare, entrando a gamba tesa nelle vicende politiche per condizionarle con inchieste pretestuose e prive di validi fondamenti giuridici.
La domanda che occorre farsi anche in queste ore di tensione sul caso Salvini-Open Arms è se una parte della magistratura continui a svolgere un ruolo attivo di opposizione, provando «a interpretare e a cambiare le leggi» (sono parole pronunciate dal presidente del Senato, Ignazio La Russa) anziché limitarsi ad applicarle.
D’altronde la difesa dei confini è uno dei punti-cardine del programma del centrodestra, che da anni è impegnato a cambiare l’approccio alla gestione delle migrazioni in Europa, per ridurre gli sbarchi ed evitare frodi nell’utilizzo dei flussi regolari, anche mediante una revisione della legge Bossi-Fini. Visto che all’epoca dei fatti per i quali Salvini è sotto processo il premier era Giuseppe Conte, risulta a dir poco ipocrita l’atteggiamento dei Cinque Stelle, che dopo aver condiviso quelle scelte fatte dal ministro dell’Interno ora auspicano la condanna giudiziaria del leader della Lega. È la riprova che il loro becero giustizialismo non si nutre di convinzioni profonde bensì di squallide convenienze politiche.