Onora il padre e la madre (2) - IL TESTO DEL VIDEO
Il quarto comandamento ha quattro sottogruppi importanti: oltre al dovere dei figli nei confronti dei genitori, che è il più diretto, ci sono: il dovere dei genitori nei confronti dei propri figli; i doveri dell'autorità civile nei confronti della famiglia e dell'educazione impartita dai genitori; e infine i doveri dei cittadini stessi nei confronti dell’autorità.
Proseguiamo con il commento al quarto comandamento, "Onora il padre e la madre". Vediamo più da vicino la parte dei doveri che il Catechismo della Chiesa cattolica, dal numero 2214 in poi, articola in quattro sottogruppi importanti. Anzitutto quelli dei figli nei confronti dei loro genitori, che è il senso più diretto e più immediato del comandamento. Come si può vedere nel Catechismo, questo comandamento viene ampliato anche ad altri tre settori: il dovere dei genitori nei confronti dei propri figli; i doveri dell'autorità civile nei confronti della famiglia e dell'educazione impartita dai genitori; e infine i doveri dei cittadini stessi nei confronti dell’autorità.
- Cominciamo dal senso più diretto del Comandamento, cioè il DOVERE DEI FIGLI VERSO I GENITORI. Il numero 2214 precisa un aspetto importante: il rispetto nei confronti dei genitori è certamente sostenuto dall'affetto naturale che normalmente lega genitori e figli, ma non è fondato sull'affetto naturale reciproco che talvolta può anche mancare, incrinarsi, raffreddarsi. Su cosa è ancorato, allora? Sul fatto che la paternità e la maternità umane sono fondate sulla paternità divina. Nel testo si dice che "la paternità divina è la sorgente della paternità umana. È la paternità divina che fonda l'onore dovuto ai genitori" .
Questo comandamento si collega allora strettamente ai primi tre e in particolare al Timore di Dio. Il rispetto dovuto ai genitori ha un legame stretto con quel rispetto che dobbiamo a Dio e alla Sua paternità.
Ai figli è richiesta nei confronti dei genitori obbedienza sino all'età della loro emancipazione, ovvero sino al tempo in cui essi vivono nella casa genitoriale e non sono indipendenti dalla famiglia di origine. Questo non è un dovere assoluto ed il Catechismo lo dice esplicitamente: "... Ma se in coscienza sono persuasi che è moralmente riprovevole obbedire a un dato ordine, non vi obbediscano" (n. 2217)
Il decadimento della nostra società e del nostro tempo, ma soprattutto il decadimento dell’uomo dopo il peccato originale, rende possibile anche questo tipo di situazione. Il dovere di obbedire ai genitori è perciò condizionato alla moralità degli ordini che vengono impartiti.
L'articolo 2218 riguarda invece le responsabilità dei figli verso i genitori una volta che i primi sono divenuti adulti. Rimane infatti un senso di responsabilità, anche dopo aver lasciato la casa paterna, che diventa particolarmente evidente laddove ci sono situazioni di bisogno, di solitudine e di necessità. Questa responsabilità nasce da un senso di riconoscenza per il dono della vita, del sostentamento, dell'educazione ricevuto, ma anche del fatto che nel genitore si rispecchia in qualche modo il senso della paternità divina. Questo ovviamente non significa necessariamente che l'amore dei genitori assomiglia a quello di Dio; anzi, può anche esserne molto lontano. Ma proprio nelle situazioni più difficili, l'occhio della fede oltrepassa tanti problemi e tante divergenze, per andare all'elemento fondativo di questa relazione genitoriale.
Nell'articolo 2220 il Catechismo, mostra che all'interno del comandamento, c'è anche il dovere di riconoscenza verso tutti coloro dai quali si è ricevuto il dono della fede o in ogni caso il dono di un sostegno nella vita della fede. Non solo i genitori, ma anche i nonni, i pastori, i catechisti, i maestri e gli amici. Tutte quelle persone che nella vita hanno giocato un ruolo fondamentale nel trasmetterci la fede, nel sostenerci e nell'aiutarci a custodirla. A tutte queste persone siamo legati con un dovere di riconoscenza, non inferiore a quello dovuto a coloro che ci hanno dato la vita biologica.
- A partire dal n. 2221, il Catechismo parla anche del DOVERE DEI GENITORI. Mettere al mondo i figli è un impegno legato all’educazione. I genitori ricevono da Dio il diritto e il dovere inalienabile dell'educazione dei propri figli: «La fecondità dell'amore coniugale non si riduce alla sola procreazione dei figli, ma deve estendersi alla loro educazione morale e alla loro formazione spirituale. La funzione educativa dei genitori “è tanto importante che, se manca, può a stento essere supplita”. Il diritto e il dovere dell'educazione sono, per i genitori, primari e inalienabili».
I primi responsabili dell'educazione dei figli sono i genitori, il contesto più adeguato per l'educazione dei figli è la famiglia. È importante ribadirlo, perché le famiglie oggi tendono a delegare molto all'esterno l'educazione dei figli; questo è ancor più vero se si considera il tempo che essi trascorrono lontano da casa, magari in contesti ove l'educazione esterna non è in linea con quella impartita in casa. Per esempio, il figlio va per 8 ore in una scuola che si sceglie perché è vicino a casa o perché magari la si ritiene prestigiosa per motivi sociali, ma che allo stesso tempo è molto diversa dallo stile educativo della famiglia; e questa divaricazione pian piano svilisce l'educazione.
Vi è anche il caso dell’ingerenza vera e propria dei poteri pubblici, i quali credono che spetti in qualche modo allo Stato dare l'educazione fondamentale all'individuo. Il famoso slogan che i figli non sono proprietà dei genitori, spesso sottende, anche in modo subdolo, che invece siano proprietà dello Stato.
I contenuti di questa educazione si trovano al numero 2223. È importante ribadire due cose:
1. La famiglia è un ambiante dove vi è un certo modo di vivere, dove i genitori danno l'esempio. Ma questo aspetto importante non è l’unica dimensione dell’educazione: il buon esempio è fondamentale, ma non basta. È importante anche che i genitori esercitino un’azione di contenimento e direzione, occorre mettere dei divieti, in quanto ci sono momenti e circostanze di vita in cui l'ottimo esempio dei genitori non viene recepito. Viceversa imporre delle regole che non sono supportate dall'esempio della vita crea chiaramente confusione e non educazione.
2. Vi è poi l'importanza dell'educazione all'abnegazione, al giudizio e alla padronanza di sé. Questi tre aspetti sono importanti perché fanno riferimento alle virtù. L'ABNEGAZIONE, ovvero alla capacità di sacrificio, di servizio reciproco, di sottomettere le proprie voglie per connettersi con gli altri. E ancora, la PADRONANZA DI SÉ, ovvero la capacità di mettere a freno le passioni istintive e armonizzarle in una personalità matura, dove la ragionevolezza prende le redini e essa stessa si sottomette ai criteri più alti della fede. Da ultimo il GIUDIZIO, la capacità di esprimere un giudizio sulla realtà, che diventa un bagaglio fondamentale, perché costituisce una grande pietra di paragone di fronte a tante e troppe ideologie che divengono sempre più pervasive.
Il numero 2229 torna sul diritto/dovere fondamentale dei genitori: "Primi responsabili dell'educazione dei figli, i genitori hanno il diritto di scegliere per loro una scuola rispondente alle proprie convinzioni. È, questo, un diritto fondamentale. I genitori, nei limiti del possibile, hanno il dovere di scegliere le scuole che li possano aiutare nel migliore dei modi nel loro compito di educatori cristiani. I pubblici poteri hanno il dovere di garantire tale diritto dei genitori e di assicurare le condizioni concrete per poterlo esercitare".
Qui è riassunta la battaglia sostenuta da tempo da molte famiglie per la libertà di educazione. Un esempio nascente sono le realtà delle scuole parentali, che sono una risorsa straordinaria.
- Il quarto comandamento si occupa anche dei doveri dei cittadini nei confronti delle autorità civili e dei doveri delle autorità civili nei confronti dei loro sottoposti. Nel numero 2235 si spiega L'ORIGINE DIVINA DELL'AUTORITÀ CIVILE.
"Coloro che sono rivestiti d'autorità, la devono esercitare come un servizio. «Colui che vorrà diventare grande tra voi, si farà vostro servo » (Mt 20,26). L'esercizio di un'autorità è moralmente delimitato dalla sua origine divina, dalla sua natura ragionevole e dal suo oggetto specifico. Nessuno può comandare o istituire ciò che è contrario alla dignità delle persone e alla legge naturale".
Il Catechismo si sgancia da una concezione anarchica, come se il potere fosse un male in sé. Dall'altra parte troviamo la netta consapevolezza che questo potere civile, proprio perché ha la sua origine divina, in essa trova la sua ragion d'essere e i suoi limiti. Per questo, ad esempio, qualsiasi autorità non può comandare ciò che è contrario al bene effettivo delle persone e al bene comune, ovvero alla dignità e alla legge naturale dell'uomo: "I poteri politici sono tenuti a rispettare i diritti fondamentali della persona umana. Cercheranno di attuare con umanità la giustizia, nel rispetto del diritto di ciascuno, soprattutto delle famiglie e dei diseredati" (2237).
La posizione cristiana è molto chiara: non è una condanna del potere politico; anzi, il potere politico per sé stesso è un bene, perché presiede all’ordine pubblico, al bene comune. E tuttavia ci sono dei limiti ben chiari dati dalla natura stessa di questo potere; se esso deve promuovere la dignità delle persone è chiaro che nel momento in cui viola la legge naturale o il principio di dignità, va contro a sé stesso e diventa illecito.
La famosa frase: "Date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio" non significa la totale separazione dei due ambiti, ma è esattamente il contrario: Cesare non può esigere ciò che è di Dio.
Il n. 2238 inizia la parte dedicata ai DOVERI DEI CITTADINI e ricorda che: "Coloro che sono sottomessi all'autorità considereranno i loro superiori come rappresentanti di Dio, che li ha costituiti ministri dei suoi doni: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore [...]. Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio» (1 Pt 2,13.16). La leale collaborazione dei cittadini comporta il diritto, talvolta il dovere, di fare le giuste rimostranze su ciò che a loro sembra nuocere alla dignità delle persone e al bene della comunità".
C'è un dovere da parte dei cittadini di essere sottomessi all'autorità civile, ma non è un dovere assoluto a prescindere. Infatti, "il cittadino è obbligato in coscienza a non seguire le prescrizioni delle autorità civili quando tali precetti sono contrari alle esigenze dell'ordine morale, ai diritti fondamentali delle persone o agli insegnamenti del Vangelo. Il rifiuto d'obbedienza alle autorità civili, quando le loro richieste contrastano con quelle della retta coscienza, trova la sua giustificazione nella distinzione tra il servizio di Dio e il servizio della comunità politica. «Rendete [...] a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio» (Mt 22,21). «Bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5,29)" (2242).
Come vedete, c’è addirittura un dovere di rifiutare l'obbedienza quando l'autorità civile prevarica, ovvero quando impone cose contrarie alle esigenze dell'ordine morale, dei diritti fondamentali della persona e del Vangelo. E bisogna fare attenzione che non si tratta di un contrasto con la coscienza, come essa è intesa in senso moderno, ma di una retta coscienza, ovvero di una coscienza formata rettamente. Quanto abbiamo detto è molto importante, perché in un'epoca segnata dal secolarismo e da un ateismo pratico, è chiaro che aumentano le concezioni del potere assoluto, proprio perché viene meno il loro fondamento nell’autorità divina.
L'articolo 2243 spiega la possibilità di RESISTERE ALL'OPPRESSIONE DEL POTERE politico e questa resistenza legittima e doverosa in certe situazioni, può ricorrere talvolta alla sollevazione armata. Il Catechismo circoscrive le condizioni che rendono questo ricorso legittimo: “La resistenza all'oppressione del potere politico non ricorrerà legittimamente alle armi, salvo quando sussistano tutte insieme le seguenti condizioni: 1. in caso di violazioni certe, gravi e prolungate dei diritti fondamentali; 2. dopo che si siano tentate tutte le altre vie; 3. senza che si provochino disordini peggiori; 4. qualora vi sia una fondata speranza di successo; 5. se è impossibile intravedere ragionevolmente soluzioni migliori”.