Omogenitorialità sì, ma no a utero in affitto. L'acrobazia della Consulta
In un solo giorno, la Corte Costituzionale si pronuncia due volte per legittimare la doppia omogenitorialità. Non in modo diretto attraverso la pratica dell’utero in affitto, che resta reato, o permettendo l’accesso alla fecondazione eterologa alle coppie gay, ma usando strumentalmente il concetto di "miglior interesse del bambino". Due casi, una coppia omo e una coppia di lesbiche, per il riconoscimento dell'omogenitorialità del "genitore d'intenzione", finiscono con un punto a favore delle lobby gay, ponendosi in contrasto con i principi del nostro ordinamento. La Consulta invita il Parlamento a legiferare al più presto, ma questo significa essere ad un passo dal riconoscimento della maternità surrogata. Il best interest del bambino, stesso principio che spesso legittima l’eutanasia infantile in giro per il mondo, sarà il grimaldello per legittimare la doppia omogenitorialità.
- "ZONA DI LIBERTÀ LGBTQI", L'UE VERSO IL DOGMA ARCOBALENO, di Luca Volontè
Due sentenze della Corte costituzionale sull’omogenitorialità in un giorno solo. Partiamo dalla prima (ne avevamo già parlato qui e qui): gli italiani Riccardo ed Andrea, nomi di fantasia, si «sposano» in Canada - «matrimonio» convertito in unione civile qui da noi in Italia – e là ricorrono alla pratica della maternità surrogata per avere un bambino. Il minore, nome di fantasia Luca, è figlio solo di Riccardo, ma i giudici canadesi riconoscono anche Andrea, cosiddetto «genitore d’intenzione», come «padre» di Luca. La coppia allora chiede che Luca sia riconosciuto come figlio di entrambi anche in Italia, ma l’ufficiale di stato civile rigetta la richiesta perché la maternità surrogata, pratica vietata dall’art. 12 della legge 40/04 ma non punibile se svolta all’estero, contrasta con l’ordine pubblico dal momento che sarebbe pratica svilente la dignità della gestante.
IL BEST INTEREST DEL BAMBINO
Ne nasce una vertenza giudiziaria che arriva sino alla Cassazione. Questa chiede alla Consulta di dichiarare illegittimo il già citato art. 12. Vediamo ora in sintesi le motivazioni addotte dalla Cassazione e da altre associazioni intervenute nel ricorso. La Corte costituzionale, citando la Cassazione, dichiara che il mancato riconoscimento della doppia omogenitorialità recherebbe un vulnus «ai diritti del minore al rispetto della propria vita privata e familiare (art. 8 CEDU), a non subire discriminazioni, a vedere preso in considerazione preminente il proprio interesse, a essere immediatamente registrato alla nascita e ad avere un nome, a conoscere i propri genitori, a essere da loro allevato e a non esserne separato».
Inoltre sarebbe contraddittorio riconoscere come genitore chi ha collaborato attivamente alla maternità surrogata, pratica censurata dal nostro ordinamento, e vietare tale riconoscimento all’altro uomo, invece estraneo a tale pratica. E ancora: si condannerebbe ingiustamente il minore per colpe commesse da altri.
Non si può ovviare con l’adozione da parte del genitore intenzionale? No, afferma la Cassazione, perché l’adozione ha tempi lunghissimi, inoltre metterebbe «il genitore non biologico in una situazione di inferiorità rispetto al genitore biologico [perché non è legittimante]. Altresì, [l’adozione sarebbe] condizionata all’assenso all’adozione da parte del genitore biologico, che potrebbe non prestarlo in caso di crisi della coppia». Infine il minore non stringerebbe legami familiari di rilievo giuridico con i parenti della coppia.
Contro queste motivazioni si sono opposte l’Avvocatura dello Stato e altre associazioni intervenute nel ricorso. Queste le ragioni. Innanzitutto la Consulta in passato ha rifiutato l’idea che entrambi i membri di una coppia omosessuale possano essere riconosciuti come genitori (clicca qui) – al di là del fatto che abbiano o meno fatto ricorso all’utero in affitto - proprio perché per il nostro ordinamento la diversità sessuale in una coppia è requisito imprescindibile per assumere il titolo di «genitore», aspetto che nemmeno la legge Cirinnà è riuscita a demolire completamente.
In secondo luogo, gli opponenti ritengono «insufficiente, per l’accertamento di un legame di “vita familiare”, la mera esistenza di un progetto genitoriale, in assenza di legami biologici tra il minore e gli aspiranti genitori». Inoltre nell’adozione si fanno le dovute verifiche sugli adottanti, invece, nel caso di maternità surrogata, il riconoscimento in automatico del «genitore intenzionale» eluderebbe questi controlli. Infine «l’interesse del minore si realizzerebbe attribuendo la maternità a colei che partorisce e affidando – nel solo caso di abbandono del minore, o di incapacità della famiglia d’origine a garantirne la cura – all’adozione».
RIECCO LA STEPCHILD ADOPTION
Cosa ha deciso la Consulta? Da una parte dichiara inammissibile il ricorso e quindi conferma la costituzionalità dell’art. 12 che vieta la maternità surrogata perché «la pratica della maternità surrogata offende in modo intollerabile la dignità della donna e mina nel profondo le relazioni umane».
Su altro fronte però afferma che «l’interesse di un bambino accudito sin dalla nascita (nel caso oggetto del giudizio a quo, ormai da quasi sei anni) da una coppia che ha condiviso la decisione di farlo venire al mondo è quello di ottenere un riconoscimento anche giuridico dei legami che, nella realtà fattuale, già lo uniscono a entrambi i componenti della coppia». E quale tipo di riconoscimento giuridico si potrebbe individuare? Non il riconoscimento chiesto dalla coppia omosessuale, bensì sarebbe possibile ricorrere all’istituto dell’adozione in casi particolari (la cd stepchild adoption) liberata però da tutte le pecche prima ricordate dalla Cassazione. Ovviamente la Consulta non può intervenire in questa materia perché di competenza del legislatore il quale, così esplicitano i giudici, è invitato a provvedere celermente in tal senso.
«IL PARLAMENTO DECIDA»
Ma la Consulta fa un passo in più. Infatti non indica solo la stepchild adoption come soluzione valida sebbene da rivedere, bensì anche un «ventaglio [di] opzioni possibili» su cui il Parlamento può lavorare per riconoscere la doppia omogenitorialità in casi come questi tenendo però fermo il divieto relativo alla maternità surrogata (invito simile, ma non riferito al caso dell’utero in affitto, era già stato rivolto ai parlamentari in un recente passato: cfr. sentenza n. 230 del 2020). Insomma nulla osta ad una legge che possa riconoscere in qualche modo la doppia omogenitorialità nata dalla pratica della maternità surrogata.
MADRE ANCORA UNA VOLTA DIMENTICATA
Un paio di rapide riflessioni prima di passare al secondo caso. Primo: la Consulta, e non è la prima volta che accade, ha legittimato la doppia omogenitorialità, ponendosi in contrasto con i principi del nostro ordinamento. Secondo: riconoscere la doppia omogenitorialità derivante dalla pratica dell’utero in affitto, tramite un percorso che dovrà individuare il Parlamento, significa essere ad un passo dal riconoscimento della stessa pratica della maternità surrogata. Terzo: che dire dell’obiezione in merito al fatto che le colpe dei padri non devono ricadere sui figli? Le scelte dei genitori eccome se ricadono sui figli – è esperienza comune che conferisce grande responsabilità agli adulti – senza poi contare che il «genitore intenzionale» Andrea non è genitore del minore, il quale minore, se proprio vogliamo parlare di suo best interest, avrebbe il diritto di essere educato dalla madre e dal padre biologico. Questa sarebbe la prioritaria soluzione da adottare.
IL SECONDO CASO
Passiamo al secondo caso (ne avevamo già parlato qui). Marta ed Anna, sempre nomi di fantasia, sono una coppia lesbica. La coppia si reca all’estero e Marta ricorre alla fecondazione artificiale eterologa con il benestare della compagna. Nascono due gemelle in Italia e al momento della nascita Anna, «genitrice intenzionale», non avanza nessuna richiesta di essere riconosciuta anche lei come «seconda madre». Poi ci ripensa, ma ormai la coppia si è separata. Anna non può chiedere la stepchild adoption perché manca il consenso di Marta, genitrice biologica.
Anche in questo caso si va in tribunale e quello di Padova, favorevole alle doglianze di Anna, ha però le armi spuntate. Il tutto ruota intorno agli artt. 8 e 9 della legge 40/04. Questi articoli prevedono che la coppia che ha voluto sottoporsi a fecondazione eterologa non possa, una volta venuto alla luce il figlio, fare un passo indietro e non riconoscerlo. Tale divieto di disconoscimento del figlio però riguarda solo le coppie eterosessuali, non quelle omosessuali dato che la legge 40 vieta a costoro di accedere alla fecondazione extracorporea (ovviamente eterologa). Il Tribunale di Padova ricorre presso la Corte costituzionale chiedendo che vengano modificati questi articoli: in tal modo il consenso prestato da Anna alla fecondazione eterologa avrebbe legittimato automaticamente anche lei come «genitore».
LA TRAPPOLA DEL MIGLIOR INTERESSE
Il Tribunale afferma che occorre modificarli in primo luogo perché, altrimenti, le coppie omosex riceverebbero un trattamento differente da quelle etero e dunque sarebbe discriminatorio. In secondo luogo, ancora una volta, perché bisogna pensare al miglior interesse delle gemelline: «in tal modo sarebbe violato il diritto di ciascun bambino ad avere due persone che si assumono la responsabilità di provvedere al suo mantenimento, alla sua educazione e istruzione, nei cui confronti poter vantare diritti successori, ma soprattutto agire in caso di inadempimento e di crisi della coppia».
La madre biologica resiste in giudizio adducendo le seguenti motivazioni: la legge 40 vieta l’accesso alla fecondazione artificiale alle coppie omosessuali, così come confermato dalla stessa Consulta (sentenza n. 221 del 2019); le figlie crescerebbero comunque bene anche solo con lei; non si può riconoscere l’atto di nascita prodotto all’estero perché contrario all’ordine pubblico. Anche l’Avvocatura dello Stato si oppone dichiarando che il Tribunale di Padova non può chiedere alla Consulta ciò che dovrebbe fare il Parlamento, ossia modificare una legge.
La Consulta così risponde: vero è che la fecondazione artificiale è preclusa alle coppie omosessuali, ma se comunque un figlio nasce da tali tecniche occorre agire per il suo migliore interesse. E il suo migliore interesse è crescere anche insieme all’altro «genitore intenzionale», il quale, per assicurare reali tutele ai minori, deve avere un qualche riconoscimento giuridico. Qui sta il gioco di prestigio: la Corte conferma l’inesistenza «di un diritto alla genitorialità delle coppie dello stesso sesso» - quindi la genitorialità è solo rivendicabile dalle coppie etero – eccetto nel caso in cui la doppia omogenitorialità sia necessaria per tutelare il best interest del figlio.
COSI' LA DOPPIA OMOGENITORIALITA' E' LEGITTIMATA
E dunque, come nel primo caso, la Corte dichiara inammissibile il ricorso del tribunale patavino perché non sta alla Corte modificare le leggi, ma, nello stesso tempo, chiede al Parlamento di trovare una soluzione per legittimare la doppia omogenitorialità anche al di fuori del caso in specie. L’invito è quasi un comando: «questa Corte non può esimersi dall’affermare che non sarebbe più tollerabile il protrarsi dell’inerzia legislativa». Una norma che dovrà trovare una pezza quando, in barba alla legge, le coppie gay hanno fatto ricorso alla fecondazione artificiale o all’utero in affitto oppure che, addirittura, potrà eliminare simili paletti discriminatori a danno delle coppie omosex.
Dunque sia nel caso in cui il «genitore intenzionale» entri in campo per via della maternità surrogata sia nel caso in cui faccia la sua comparsa per via della fecondazione eterologa, questo «genitore sociale» deve diventare genitore a tutti gli effetti legali: questo l’imperativo rivolto dalla Consulta al Parlamento per ben due volte nello stesso giorno. Ergo si tratta di legittimare la doppia omogenitorialità, non in modo diretto, ma usando strumentalmente il concetto di «miglior interesse del bambino» (ulteriore reificazione dei minori). Sì dunque all’omogenitorialità non nell’interesse delle coppie gay, ma nell’interesse del bambino. Insomma, una pietosa foglia di fico. Quindi il best interest del bambino, stesso principio che spesso legittima l’eutanasia infantile in giro per il mondo, sarà il grimaldello per legittimare la doppia omogenitorialità.
C’è infine da appuntare che casi come questi si sono potuti verificare e si verificheranno perché a monte si è deciso di legalizzare, da una parte, la pratica della fecondazione artificiale, e, su altro fronte, le Unioni civili. Queste sentenze e le leggi sempre più libertarie che ne verranno rappresentano solo le conseguenze inevitabili e logiche di questo doppio peccato originale.