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Omogenitorialità: la Procura di Padova la chiede, nonostante la Legge 40

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Per 37 bambini, avuti tramite eterologa da 33 coppie di lesbiche, la Procura di Padova aveva chiesto la cancellazione del cognome della partner non madre biologica. Ma c'è un colpo di scena: ora chiede al tribunale di rivolgersi alla Consulta.

Famiglia 15_11_2023
Manifestazione delle "famiglie arcobaleno"

La legge 40/04 sulla fecondazione artificiale esclude che le coppie omosessuali possano accedere a questa tecnica. E così le coppie gay vanno all’estero per avere un bimbo in provetta. È successo anche a 33 coppie lesbiche del padovano. Tornate in Italia avevano chiesto all’ufficiale di stato civile del comune patavino di registrare i pargoli come figli di entrambe le donne. Cosa che, dal 2017, è puntualmente sempre avvenuta, sebbene per il nostro ordinamento giuridico – e così anche per madre natura -  un bambino può essere figlio solo di un uomo e di una donna. Dunque le registrazioni erano palesemente illegittime: la nostra legislazione non riconosce l’omogenitorialità, sebbene molti giudici e amministratori locali abbiano deciso in modo differente negli ultimi.

Da qui la decisione della Procura di Padova, in ossequio al decreto del ministro dell’Interno Piantedosi, di chiedere al Tribunale, il giugno scorso, la rettifica degli atti di nascita, cancellando il cognome della donna non madre biologica, di tutti i 37 bambini di queste 33 coppie lesbiche (nel frattempo il comune di Padova ha riconosciuto altri bambini di quattro coppie lesbiche).

Ieri erano iniziate le prime quattro udienze di altrettante coppie quando è arrivato il colpo di scena. La Procura ha fatto dietro front e, dietro richiesta di molti avvocati difensori, ha chiesto al Tribunale di sollevare questione di legittimità costituzionale in relazione al divieto della legge 40 che non permette, come accennato, alle coppie omosessuali di accedere alla fecondazione artificiale, ovviamente di tipo eterologo. Il cambio di direzione è motivato dal fatto che c’è stato un altrettanto cambio ai vertici della Procura.

Nel 2012 la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 32, aveva sollecitato il legislatore ad intervenire in materia aprendo in qualche modo all’omogenitorialità, ma il Parlamento, per fortuna, nulla fece (qui un approfondimento). Nel frattempo molti giudici avevano aggirato i divieti normativi indicando la strada dell’adozione in casi particolari, ma le coppie gay avevano sempre accettato questa soluzione obtorto collo perché pareva loro di essere genitori di serie B. Anche i giudici tutelari intervenuti su richiesta del Tribunale patavino, nel caso qui in esame, avevano indicato nella stepchild adoption un escamotage per legittimare l’omogenitorialità. In uno dei pareri redatti da un giudice tutelare possiamo infatti leggere: «In assenza dell'invocato intervento del legislatore considerate le favorevoli pronunce, il procedimento di adozione in casi particolari rappresenta allo stato attuale l'istituto presente nel nostro ordinamento per poter riconoscere al minore lo status di figlio del genitore di intenzione».

Dunque ancora un volta dallo stato di diritto siamo finiti nello stato d’arbitrio dove una circolare del Ministro dell’Interno è buttata nel cestino e si va dritti per la propria strada, noncuranti che inventarsi una famiglia inesistente nella Costituzione è questione che riguarda in modo importante l’ordine pubblico, su cui ha l’onere di vigilare proprio il ministro Piantedosi.

Ma il trucchetto ormai rodatissimo in merito ai principi non negoziabili è quello di chiamare in causa la Consulta la quale, permeata da forte spirito progressista, ogni volta crea uno strappo sempre più grande nel tessuto normativo che tutela la famiglia e la vita. E dopo che la Consulta locuta est il Parlamento non può che adeguarsi. Nei migliori dei casi fa orecchie da mercanti e rimane inerte. Ma non potrà farlo per sempre perché ormai l’omogenitorialità, tramite stepchild adoption, è entrata per via giurisprudenziale nel nostro Paese e dunque chiede una sua piena applicazione, ossia il riconoscimento diretto, senza passare dall’adozione, che il tal bambino è figlio legittimo di due uomini o di due donne.

Lo avevamo già appuntato il giugno scorso commentando la decisione della Procura di Padova di annullare le trascrizioni delle 33 coppie patavine: «se la doppia omogenitorialità è permessa in un caso - tramite stepchild adoption - non si comprende perché non estenderla anche nel caso dell’eterologa, tecnica con cui sono venuti alla luce i 37 bambini veneti. Accettato il principio - sì alla doppia omogenitorialità - occorre essere coerenti e quindi si deve applicare il principio in tutte le modalità in cui esso si può esprimere: stepchild adoption ed eterologa. Accettate le premesse non si può che accettarne anche le conclusioni».

Ed eravamo stati facili profeti nel prevedere quello che è accaduto ieri: «Dunque, la trascrizione automatica della filiazione avvenuta all’estero tramite eterologa da parte di coppie gay è solo questione di tempo. Come è questione di tempo l’eliminazione nella Legge 40 del divieto per le coppie gay di ricorrere all’eterologa». Il prevedibile ricorso alla Corte costituzionale chiesto dalla Procura mira proprio a questo obiettivo.