Omogenitorialità, il sì della Consulta discrimina i bambini
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Pronunciandosi sul caso di due donne lesbiche e sul figlio avuto in provetta da una di loro, la Corte costituzionale ha stabilito che anche la “madre intenzionale” va riconosciuta come genitore. I giudici legittimano così l’omogenitorialità, vietata dalla legge, e condannano i bambini a crescere orfani di almeno un genitore.

Ieri la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 68/2025, ha detto “sì” all’omogenitorialità. Fino a ieri qual era il quadro giuridico sull’omogenitorialità? Da una parte c’era e c’è la legge che la vieta, dato che per l’ordinamento giuridico un bambino può essere figlio solo di un uomo e di una donna (cfr. art. 5 legge 40/2004, 231 Cc, 243 bis Cc, 246 Cc, 247 Cc, 250 Cc, 262 Cc, 269 Cc, 408 Cc, 566 Cc, 568 Cc, 599 Cc, 643 Cc). Su altro fronte abbiamo avuto sindaci e soprattutto giudici, anche quelli della Cassazione (ricordiamo la sentenza del 2018), che hanno permesso l’omogenitorialità riconoscendo gli atti di nascita formatisi all’estero di figlio di coppie gay e aprendo a queste ultime le porte alla stepchild adoption.
Ieri però la svolta, perché la Consulta ha giuridicamente legittimato l’omogenitorialità, seppur in un solo caso specifico che vedremo. Un placet che ha dunque valore pienamente normativo dato che cassa un articolo di legge, l’art. 8 della legge 40 che disciplina la fecondazione extracorporea, decisione che si pone in dissonanza con una sua precedente sentenza (n. 32 del 2021) che giudicò un caso molto simile. Dal divieto di omogenitorialità siamo dunque passati alla sua legittimazione. Per giungere alla sua piena legittimazione, la Corte ha chiesto l’intervento del Parlamento.
Illustriamo allora, in modo sintetico, i passaggi argomentativi della Corte. Partiamo dai fatti. Due donne lesbiche vanno all’estero e una di essa si sottopone alla pratica della fecondazione artificiale eterologa. Il bambino nasce in Italia e viene registrato dall’ufficiale di stato civile come figlio della madre biologica e della compagna, la cosiddetta madre intenzionale. La Procura della Repubblica impugna l’atto presso il Tribunale di Lucca in merito al riconoscimento della genitorialità in capo alla donna non madre biologica e quest’ultimo solleva questioni di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 9 della legge 40/2004.
Tralasciando l’art. 9, non giudicato incostituzionale dalla stessa Consulta, analizziamo l’art. 8. Secondo questo articolo, il figlio nato in provetta può essere riconosciuto dalla coppia sposata o dalla coppia convivente ma eterosessuale. Infatti la legge 40 permette l’accesso alla fecondazione artificiale solo a coppie eterosessuali. Se una coppia omosessuale accede alla fecondazione artificiale all’estero non subisce sanzioni, ma, tornando in patria, la donna che non ha partorito il bambino non può essere riconosciuta come genitore. Il Tribunale di Lucca contesta proprio questo punto: è incostituzionale che l’art. 8 non contempli anche il caso di riconoscimento del figlio da parte di coppie omosessuali.
Da notare che né il Tribunale né la Consulta contestano l’art. 5 della legge 40 che vieta l’accesso alla Fivet delle coppie omosessuali, ma “solo” l’art. 8 che riguarda il riconoscimento. Questo per due motivi: in primis perché l’art. 8 è più pertinente al caso sottoposto al Tribunale di Lucca; in secondo luogo perché i giudici di Lucca e quelli romani sapevano che era più alla loro portata questa vittoria – permettere il riconoscimento del figlio alle coppie gay – piuttosto che tentare sin da subito la legittimazione dell’accesso alla fecondazione artificiale per le coppie omosessuali. Ben sapendo poi che, avendo ottenuto questo primo risultato, il bottino più ricco arriverà di conseguenza.
La Consulta dà ragione al Tribunale di Lucca disegnando questo percorso argomentativo. La compagna, non madre biologica, è già genitore perché concordando con l’altra donna il ricorso alla provetta si è automaticamente assunta anche la responsabilità di essere genitore. Perciò si diventa genitore nel momento stesso in cui si decide di avere un figlio, sia per vie naturali che artificiali. Questa argomentazione di carattere psicologico-sociale trova, secondo i giudici, anche dei puntelli normativi. Innanzitutto proprio l’art. 8 afferma che la genitorialità delle coppie di fatto nasce dall’aver concordato insieme la volontà di avere un figlio in provetta. In secondo luogo l’art. 6 ci dice che una volta che si è deciso di intraprendere la strada della fecondazione artificiale non si può più tornare indietro e quindi, inevitabilmente (eccetto nel caso di aborto), si diventa madri e padri. Quindi la volontà di accedere alla provetta fa immediatamente diventare i membri della coppia genitori. Inoltre abbiamo l’art. 9. Questo articolo vietava l’azione di disconoscimento del bambino, sia da parte del genitore biologico che di quello “intenzionale”, una volta fatto ricorso alla fecondazione eterologa, al tempo vietata. I giudici interpretano così l’articolo: una volta che c’è il bambino, sei genitore e lo sei anche nell’ipotesi in cui, come nel caso presente, hai avuto il bambino seppur in violazione della legge italiana. Proprio come ai tempi della legge 40, quando il compagno della donna che aveva avuto un figlio con l’eterologa, allora vietata, era comunque considerato il genitore di quel figlio, seppur non suo biologicamente e seppur avuto contra legem.
Per tutte queste ragioni, secondo la Consulta, anche la compagna non madre biologica è genitore legale a tutti gli effetti. Da ciò discende che la mancata previsione nell’art. 8 della possibilità di riconoscimento del figlio avuto all’estero tramite eterologa da coppia lesbica lede il diritto del figlio ad essere educato dai propri genitori ex artt. 2 e 30 Cost., lede la sua identità personale ex art 31 Cost. perché gli si toglie uno dei genitori e lede il diritto del figlio a non essere discriminato ex art. 3 Cost., dato che solo i figli di coppie omosessuali non possono essere riconosciuti. A questo proposito la Corte richiama una propria sentenza, la n. 494 del 2002, che legittimava la filiazione incestuosa perché altrimenti questi bambini sarebbero stati figli di serie B (scordandosi di aver legittimato in tal modo la famiglia incestuosa che è contro natura). E dunque, in modo analogo, i giudici hanno pensato di legittimare l’omogenitorialità per il miglior interesse dei bambini anche se la legge la vieta. Essendo le due donne ritenute genitori legali del minore, l’art. 8 poi violerebbe l’art. 30 della Cost. perché non permetterebbe a costoro di esercitare i diritti e soddisfare i doveri inerenti il loro stato.
L’Avvocatura dello Stato è intervenuta in giudizio e ha ricordato che in casi come questi la coppia omosessuale può ricorrere alla stepchild adoption. Risposta dei giudici: innanzitutto la Consulta non ha il compito di trovare soluzioni normative, bensì è chiamata a risolvere questioni di legittimità costituzionale. Quindi l’indicazione dell’Avvocatura non è pertinente con l’ambito d’azione della Consulta. In secondo luogo lo status di figlio nella stepchild adoption è subordinato alla decisione del partner del genitore biologico: non viene ad esistenza immediatamente come nella nascita ed è eventuale. Poi, può passare molto tempo, i costi sono elevati e il giudice può anche rifiutare la richiesta di adozione.
Tutte queste argomentazioni della Consulta crollano di fronte ad un dato evidente: un bambino ha il diritto naturale di essere figlio di un uomo e di una donna. La Consulta gli ha tolto questo diritto per soddisfare le pretese delle coppie omosessuali e quindi ha leso il suo diritto, ex art. 2 Cost, di essere educato dai propri genitori biologici, ha leso la sua identità personale perché lo ha strappato ad uno o ad entrambi i genitori naturali, legittimando così lo stato di orfananza, e infine lo ha discriminato, violando l’art. 3 Cost., perché lo ha condannato non a crescere in una famiglia con un padre e una madre come gli altri bambini, bensì in una relazione dannosa per il suo sviluppo psico-fisico e sociale, vincolandolo così in una condizione di inferiorità. La Corte, su questo punto, è di avviso diverso e arriva a dire, citando una sua sentenza: «“Non esistono neppure certezze scientifiche o dati di esperienza in ordine al fatto che l’inserimento del figlio in una famiglia formata da una coppia omosessuale abbia ripercussioni negative sul piano educativo e dello sviluppo della personalità del minore” (sentenze n. 32 del 2021 e n. 221 del 2019; nello stesso senso, sentenze n. 79 del 2022 e n. 230 del 2020)». Falso. È estesissima la letteratura scientifica sui danni che i minori subiscono quando sono inseriti in relazioni omosessuali o quando manca una figura genitoriale (qui un assaggio).
La Corte ha quindi legittimato l’omogenitorialità di coppia lesbica che ha avuto un figlio tramite eterologa avvenuta all’estero. Le conseguenze sono ovvie: in futuro verrà dichiarato incostituzionale l’art. 5 della legge 40 che vieta la Fivet alle coppie omosessuali e quindi anche le coppie gay potranno diventare genitori a tutti gli effetti di legge. Riconosciuto il diritto all’omogenitorialità in un caso non si potrà che riconoscerlo in tutti i casi. Da qui la modifica di tutta l’attuale normativa che esige la diversità di sesso dei due genitori. Una vera rivoluzione.
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