L'Africa non tollera l'omosessualità. E non accetta lezioni
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Leggi contro l'omosessualità, anche ereditate dal periodo coloniale europeo, sono in vigore nella maggior parte degli Stati africani. In quattro di essi, è prevista anche la pena di morte. Nella tradizione africana, il primo dovere di un uomo è quello di procreare. Non vengono ammesse ingerenze o proteste da parte degli occidentali.
In Africa il ricordo della colonizzazione europea si sta perdendo e si attenuano i sentimenti ostili nei confronti delle ex madre patria. Solo poco più di 70 milioni di africani superano i 60 anni e l’hanno sperimentata, in gran parte da bambini. Di questi, non pochi ritengono che, considerando le condizioni di vita attuali, sia stata un’epoca per certi aspetti migliore. Tuttavia non mancano altri, nuovi motivi di attrito con l’Occidente. Un’accusa ricorrente è di voler imporre modelli di vita estranei alla tradizione africana. Sempre più spesso a creare tensione è il giudizio sull’omosessualità, un comportamento che gli africani non possono concepire dal momento che per tradizione millenaria considerano dovere primario e sacro di ogni uomo e di ogni donna generare figli: per garantire che nessuna linea di discendenza si interrompa e che sempre nuove generazioni assicurino la sopravvivenza della comunità di appartenenza. Per questo, anche se molte leggi che proibiscono i rapporti omosessuali risalgono all’epoca coloniale europea, non le hanno contestate, al contrario.
Nel corso degli anni diversi Stati hanno depenalizzato l’omosessualità, altri hanno mantenuto le sanzioni, altri ancora le hanno inasprite o si apprestano a farlo. Attualmente in 32 paesi africani su 54 i rapporti omosessuali sono proibiti. In quattro, Mauritania, Nigeria (negli stati del nord che hanno adottato la legge islamica), Somalia (nei territori controllati dai jihadisti al Shabaab) e Sudan (che l’ha reintrodotta di recente) è prevista la pena di morte.
Qualunque sia l’orientamento dei governi, la maggior parte degli africani disapprova i rapporti omosessuali e molti a stento li tollerano. Possono eventualmente concordare sulla loro depenalizzazione, o quanto meno accettarla, ma si oppongono alla propaganda Lgbtq, soprattutto se rivolta ai loro figli nelle scuole, sui mass media e in altri ambiti. I leader politici lo sanno e ne tengono conto. A febbraio in Tanzania un decreto governativo ha ordinato la rimozione dalle biblioteche e da tutte le scuole dei libri per ragazzi della serie Diary of a wimpy kid e la sospensione della loro vendita nelle librerie, perché presentano come positive persone transgender, gay, bisessuali.
Sempre a febbraio, in Kenya ha suscitato scandalo e vivaci reazioni la decisione della Corte suprema di consentire ai gay di creare associazioni e gruppi di pressione ufficialmente registrati nonostante che l’omosessualità sia illegale. Parlamento, governo, comunità religiose sono insorti dando voce alla ferma opposizione espressa dall’opinione pubblica, preoccupata che la decisione della Corte suprema aprisse la via ai matrimoni omosessuali. Per una volta il presidente William Ruto e il suo acerrimo avversario, il leader dell’opposizione Raila Odinga, si sono trovati d’accordo nel criticare la Corte. Il presidente ha solennemente promesso che in Kenya i matrimoni tra persone dello stesso sesso non saranno mai ammessi perché “sarebbe contro le culture e le fedi religiose del paese”. Il ministro dell’educazione Ezekiel Machogu ha annunciato misure per impedire l’infiltrazione Lgtbq nei programmi scolastici. È intervenuta anche la First lady, Rachel Ruto, che ha organizzato incontri di preghiera a livello nazionale: “della questione Lgtbq – ha dichiarato – non si dovrebbe neanche parlare nel nostro paese perché farlo equivale a buttare nella spazzatura i nostri principi morali”..
Nella “questione” invece si sono intromessi Stati Uniti e Russia. L’ambasciatore Usa in Kenya ha voluto incontrare la comunità Lgtbq per esprime il sostegno del suo paese: “gli Stati Uniti – ha detto Meg Whitman – fieramente si impegnano a proteggere le persone Lgtbqi+ da discriminazioni e violenza e continueranno a difendere diritti umani e uguaglianza”. L’ambasciata russa invece ha espresso totale sostegno al governo kenyano e ha diffuso messaggi del presidente Putin: “finché sarò presidente, esisteranno soltanto “papà” e “mamma””, si legge in un tweet; e in un altro “i valori tradizionali devono essere protetti altrimenti l’umanità è perduta”.
Anche in Uganda dove, come in Kenya, i rapporti omosessuali sono illegali, è in atto un giro di vite. Da febbraio è iniziata una campagna per controllare le attività delle comunità Lgbtq. Il parlamento ha ordinato una indagine per accertare l’esistenza di iniziative per promuovere l’omosessualità nelle scuole. L’opinione pubblica chiede leggi più severe e più rigore nella loro applicazione. E proprio ieri in Parlamento è stata approvata una legge che prevede pene detentive fino a dieci anni per chiunque venga identificato come Lgbtq+. Nel frattempo l’arcivescovo Stephen Kaziimba, capo della Chiesa anglicana in Uganda, ha respinto la decisione della Chiesa d’Inghilterra di benedire con un rito diverso dal matrimonio le unioni omosessuali e il 10 febbraio ha annunciato che la Chiesa ugandese non può accettarla: “l’unica differenza tra un matrimonio e una cerimonia di “benedizione” è nella terminologia” ha detto.
Il presidente Yoweri Museveni è intervenuto in difesa della proposta di legge e, come in altre occasioni, ne ha approfittato per attaccare l’Occidente e diffidarlo dall’interferire nella vita degli africani. Rivolgendosi al parlamento, lo scorso 17 marzo ha messo fine a ogni discussione aggiungendo che l’Occidente minaccia sanzioni ai paesi africani che si oppongono alle pratiche omosessuali, ma è ipocrita perche anche l’Occidente ha delle tradizioni discutibili. “I paesi occidentali dovrebbero smettere di far perdere tempo all’umanità cercando di imporre le loro pratiche al resto del mondo – ha affermato – gli europei e altri popoli ammettono ad esempio i matrimoni tra cugini e parenti prossimi. Da noi il matrimonio tra membri dello stesso clan è tabù. Dovremmo imporre agli altri delle sanzioni? Non è affar nostro”.