Oggi Obama prega nel cuore di Washington
Al 59° National Prayer Breakfast 160 delegazioni di altrettanti Paesi. In passato anche Madre Teresa e Bono.
Oggi a Washington, all’Hotel Hilton di Connecticut Avenue, si svolge l’annuale National Prayer Breakfast, la giornata della preghiera nazionale in cui si rivolgono a Dio “ufficialmente” anche le istituzioni del Paese americano. Sì, perché l’ospite principale è sempre il presidente federale, quest’anno Barack Obama.
A invitare i partecipanti, oggi più di 2mila, è ufficialmente un gruppo di congressmen statunitensi, quest’anno il deputato Repubblicano della Florida Jefferson B. Miller e la deputata Democratica dell’Arizona Ann Kirkpatrick (in carica dal 2009 e sconfitta alle elezioni di “medio termine” del 2 novembre 2010). Spiegano l’evento così: «Storicamente, quando i vertici del nostro Paese hanno sentito il bisogno di sostengo e di direzione si sono rivolti a Dio Onnipotente. In questo stesso spirito, le colazioni di lavoro del Senato e della Camera dei deputati degli Stati Uniti, convocate per approfondire i legami di amicizia, per pregare assieme e per consigliarsi reciprocamente, hanno dato vita al National Prayer Breakfast affinché la richiesta di guida e di forza al Signore fosse inequivoca, per riaffermare la nostra fede e per rinnovare la dedizione del nostro Paese e di noi stessi a Dio e ai Suoi propositi». Un evento «privato», scrivono, ma mai cosa privata è stata di maggior interesse pubblico.
Tutto iniziò nel 1953, per volontà di Abraham Vereide (1886-1969), pastore metodista di origine norvegese e fondatore, nel 1921, a Seattle, delle Goodwill Industries International che si occupano di addestramento professionale, collocamento e servizi privati socialmente utili per i disabili. L’idea di una “colazione di preghiera” che facesse il verso devoto a quelle “di lavoro” venne a Vereide nel 1935 e subito ne fece un movimento di respiro internazionale. Nel 1942 il pastore-imprenditore diede quindi vita all’International Christian Leadership, una organizzazione registrata poi a Chicago come Fellowship Foundation. Il National Prayer Breakfast, che fino al 1970 si chiamava Presidential Prayer Breakfast, quest’anno il 59°, viene organizzato sotto i suoi auspici dalla sede che la Fondazione ha ad Arlington, Virginia, alle porte della capitale federale.
Oggi la dirige Douglas E. Coe, e sul suo conto ne circolano spesso di tutti i colori. Tutto sommato, però, l’accusa principale che gli si muove è quella di essere un tipo piuttosto intransigente nel voler portare i “princìpi non negoziabili” dentro il cuore anche della politica, pur rispettando appieno la “separazione fra Chiese e Stato” che vige in America. Nel 2005 Time lo ha descritto come uno dei 25 evangelical più influenti degli Stati Uniti, assieme ad altri intransigenti come Billy Graham, David Barton, James Dobson o Timothy e Beverly LaHaye, e di solito sono cose così alimentano nell’immaginario di bocca buona l’idea di una potente e danarosa “cabala” al servizio di oscuri progetti da telepredicatori. Però fa sorridere che fra quei 25 “potenti” calvinisti di nuova generazione Time annoverasse pure il senatore cattolico del Partito Repubblicano Rick Santorum e il sacerdote cattolico “ratzingeriano” Richard John Neuhaus (1936-2009)… Al National Prayer Breakfast, del resto, hanno già preso parte pure la beata Madre Teresa di Calcutta e Bono, il cantante degli U2.
La delegazione italiana, che oggi prega assieme al presidente Obama e ad altre 159 rappresentanze provenienti da tutto il mondo, è guidata dal presidente nazionale del Rinnovamento nello Spirito Santo, Salvatore Martinez, per il quale «la situazione internazionale appare sempre più gravida di incognite e di fermenti di disgregazione popolare. Quanto sta accadendo sulla scena nordafricana e mediorientale, solo per guardare appena fuori dai nostri confini italiani, è sintomatico e interrogante». Per questo, aggiunge, «occorre ritrovare un veritiero e più profondo livello di comunicazione sociale e una nuova coesione comunitaria, più attenzione alle reali esigenze della gente, per essere capaci di rispondere all’emersione di nuove povertà materiali, morali e spirituali. Troppi uomini nel mondo vedono precluso il loro futuro di libertà e di pace. Non giova a nessuno alimentare sacche di indigenza e di indifferenza; ecco perché incontri come quelli di Washington possono regalare importanti inversioni di rotta».