La decisione di non partecipare al Conclave da parte del prelato scozzese, accusato di "comportamento inappropriato" con quattro seminaristi più di 30 anni fa, costituisce una profonda ferita per la Chiesa...
- cardinali sotto tiro, si dimette O'Brien di R. Cascioli

Il cardinale scozzese Keith O'Brien, arcivescovo di St. Andrews e Edimburgo, per raggiunti limiti di età, ha presentato le dimissioni a Benedetto XVI, così come prevede il canone 401, 1° comma del Codice di diritto canonico. Compie, infatti, 75 anni il prossimo 17 marzo. E fin qui nulla di straordinario.
Ma non appena il papa ha accettato le sue dimissioni, il cardinale O’Brien ha annunciato che non avrebbe partecipato al conclave: «Chiedo la benedizione di Dio sui miei fratelli cardinali» che presto saranno a Roma per eleggere il nuovo papa, «io non mi aggiungerò a loro di persona per questo conclave. Non voglio che l’attenzione dei media a Roma sia concentrata su di me».
O’Brien, quindi, non lascia il cardinalato, ma semplicemente sceglie di non partecipare all’elezione del futuro pontefice. Questa decisione, che è stata accolta con dolore dai cattolici scozzesi, segue la campagna di accuse lanciata contro O'Brien, accuse di «comportamento inappropriato» mosse contro di lui da tre sacerdoti e da un ex sacerdote. Non sappiamo evidentemente se le accuse siano fondate o meno, non conosciamo l’identità degli accusatori, tanto meno l’attendibilità di quanto affermano.
Il gesto del cardinale O'Brien, però, si presta a due differenti interpretazioni.
La prima si evince dalla sua stessa dichiarazione: evitare che i mezzi di comunicazione concentrino l’attenzione su di lui e sulle accuse mosse.
La seconda consiste nell’aver perso l’autorevolezza e la credibilità che si richiede a un padre cardinale.
Sia nel primo che nel secondo caso la Chiesa come istituzione ne esce ferita e perde la sua libertà di azione: un membro del collegio cardinalizio deliberatamente, a causa di pressioni esterne, sceglie di non concorrere all’elezione del pontefice, elezione che è uno degli atti più decisivi per la storia della Chiesa e che esprime maggiormente la dimensione collegiale. È lesa gravemente la libertas Ecclesiae, tanto cara al grande Ambrogio e difesa costantemente da tutti i padri della Chiesa e dai pontefici. È una sorta di paradosso: i mezzi di comunicazione, che storicamente sono stati un fattore di sviluppo della libertà di pensiero, diventano uno strumento di persecuzione e di lesione della libertà, in particolare della libertà di religione, e attentano anche alla discrezione che dovrebbe contraddistinguere le fasi istruttoria e dibattimentale di un processo penale.
Ma anche la Chiesa nella sua realtà più vera e sostanziale di Corpo mistico di Cristo ne risulta danneggiata. Se le accuse risultassero fondate, per quanto i fatti risalgano agli inizi degli anni ’80, sarebbero fatti gravissimi che oltraggiano l’opera salvifica di Gesù Cristo, ledono la santità di tutto il Corpo mistico e attentano alla bellezza divina della Sposa di Cristo: il peccato di un membro, laico o cardinale che sia, danneggia sempre e inevitabilmente tutte le altre membra. Se le accuse, invece, risultassero false, il Corpo mistico della Chiesa è comunque danneggiato dai giudizi malevoli e dalle divisioni provocate dalla diffusione del falso e della calunnia.
In ogni caso è una perdita della dimensione ecclesiale. Perciò vale la pena concludere con le parole del cardinal Giacomo Biffi (La fortuna di appartenergli. Lettera confidenziale ai credenti, Esd 2012): «Abituiamoci a chiedere ogni giorno perdono a questa nostra Madre carissima [la Chiesa] per tutto ciò che ci avviene di pensare, di dire, di compiere con animo non integralmente eccelesiale».
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