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SCENARIO INQUIETANTE

Nuova Zelanda, eutanasia per Covid? Il "no" dei pro life

Nel Paese guidato da Jacinda Ardern, dopo l’entrata in vigore dell’End of Life Choice Act è emerso il timore che la nuova legge possa applicarsi ai pazienti affetti da Covid o Long Covid. Il Ministero della Salute ha confermato che c’è questa possibilità. Ma i pro vita chiedono che si impedisca quest'altra deriva.

Vita e bioetica 01_10_2022
Jacinda Ardern, premier Nuova Zelanda

È possibile ipotizzare che il Covid possa fornire un pretesto per incrementare la cultura della “buona morte”, le pratiche letali dell’eutanasia? È l’allarme che da tempo è stato lanciato dai pro life britannici, e che è stato rilanciato in terra neozelandese. Qui governa Jacinda Ardern, laburista, che nel giro di cinque anni ha rivoltato la Nuova Zelanda secondo i dettami del politically correct: ha legalizzato il matrimonio tra persone dello stesso sesso, ha sostenuto la legge sull’aborto rimuovendo l’interruzione della gravidanza dal Crimes Act, il codice penale neozelandese, poi nel 2020 ha emanato l’Abortion Legislation Act volto a depenalizzare il reato. Il tutto mentre iniziava l’epidemia del Covid, da lei affrontata con una durezza spietata: il lockdown nella terra dei Maori è stato simile se non peggiore di quello all’italiana. L’anno scorso, il primo ministro aveva anche annunciato l’intenzione di mettere le persone positive al coronavirus in campi di “quarantena”.

E sempre in tempo di Covid, ha introdotto nella legislazione neozelandese la liberalizzazione dell’eutanasia e del suicidio assistito. Il termine utilizzato è precisamente “Assisted dying”, il morire assistito. Un abile gioco linguistico che sottintende, come specifica il Ministero della Salute neozelandese, che “una persona che sta vivendo una sofferenza insopportabile da una malattia terminale possa assumere o ricevere farmaci per porre fine alla propria vita”. Esistono criteri di ammissibilità per avere una morte assistita che il Ministero definisce “rigorosi”: non tutti coloro che hanno una malattia terminale saranno idonei. I neozelandesi di età pari o superiore a 18 anni che hanno una malattia terminale che probabilmente porrà fine alla loro vita entro sei mesi possono essere in grado di accedere alla morte assistita. Il servizio prevede passaggi specifici e valutazioni mediche, secondo criteri stabiliti dalla legge, chiamata End of Life Choice Act 2019. Il Servizio di Morte Assistita è supervisionato dal Ministero della Salute.

Questa End of Life Choice Act è considerata una delle leggi sull’eutanasia più estreme in tutto il mondo e le salvaguardie sono così fragili da essere facilmente aggirabili. Permette sia l’eutanasia che il suicidio assistito per gli adulti affetti da quella che viene definita una malattia che “probabilmente” sarebbe terminale. Esistendo un dubbio, dovrebbe essere necessario fare tutto il possibile per curare e guarire il malato. Si parla anche di condizione di “declino fisico irreversibile” e di “sofferenza insopportabile”, concetti piuttosto discutibili dal punto di vista scientifico; dal momento inoltre che è impossibile prevedere la morte con precisione, nessun medico può veramente sapere se un paziente morirà sicuramente entro questa presunta finestra di sei mesi.

La legge, che ribalta l’ethos tradizionale della medicina della cura, ratificata a seguito di un referendum nel 2020 ed entrata in vigore nel novembre 2021, garantisce a tutti i residenti il diritto di accesso a un medico che li ucciderà entro un periodo di soli quattro giorni dal ricevimento di una richiesta. I medici ricevono per questo tipo di lavoro un bonus governativo di 1.000 dollari neozelandesi (poco meno di 600 euro), più le spese per ogni morte per eutanasia che eseguono.

Presto si è aggiunta una forte preoccupazione per la possibilità che questa normativa possa essere utilizzata per i pazienti affetti da Covid o da quella sindrome mal definita di disturbi e patologie definita come Long Covid.

L’ammissione che i pazienti Covid sono “idonei” per poter accedere all’intervento eutanasico è arrivata dopo che Henoch Kloosterboer, editore del sito web anti-eutanasia The Defender, ha presentato una richiesta specifica di chiarimento al Ministero della Salute, che ha confermato che il diritto all’iniezione letale ai sensi della Legge potrebbe estendersi ai pazienti ammalati gravemente di Covid o che soffrono “insopportabilmente” delle sue conseguenze: “In alcune circostanze una persona con Covid-19 può essere idonea alla morte assistita”. Quali sono queste circostanze? Spetta al medico curante decidere. “L’idoneità è determinata caso per caso; pertanto, il Ministero non può rilasciare dichiarazioni definitive sugli aventi diritto”. Questo linguaggio aperto suggerisce che qualunque malato di Covid potrebbe essere convinto a porre fine alla propria vita prima che lo faccia il virus o le sue conseguenze.

I pro life neozelandesi hanno chiesto al Ministero della Salute di intraprendere azioni urgenti per assicurare che l’End of Life Choice Act non possa essere usato per fornire suicidio assistito o eutanasia ai pazienti Covid e che non ci sia nessuna ambiguità in merito. Si deve assolutamente evitare che la politica apra porte molto pericolose per i pazienti anziani e vulnerabili, in particolare se si verificasse un aumento dei casi definiti di Long Covid, con sintomatologie di dolori diffusi e deficit neurologici, per i quali non venissero indicate cure efficaci, e dove la “fine delle sofferenze” fosse indicata come ultima soluzione.

Sarebbe uno scenario non impossibile, dal momento che già da tempo è stata inculcata nelle persone l’idea che per il Covid non esistono cure efficaci. Inoltre, potrebbe aprire la porta ad altri tipi di morte assistita su richiesta di persone prostrate psicologicamente. È il caso di una donna anziana in Canada, Nancy Russell, che ha scelto di morire per suicidio assistito piuttosto che sopportare un altro blocco da lockdown nella sua casa di cura che l’avrebbe isolata dai suoi amici e familiari. La mentalità eutanasica si sta facendo sempre più strada.