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LA TRATTA

Nuova immigrazione, dalle galere di Tunisi

Cambiano quindi le rotte ma non la sostanza dell’immigrazione illegale in Italia. Non arrivano (quasi) più dalla Libia, ma da Tunisia e Algeria. Molto spesso sono i carcerati liberati negli ultimi due indulti del governo tunisino. E si teme ancor di più infliltrazioni dell'Isis da due paesi ad alto tasso di jihadismo.

Politica 12_10_2017
Immigrati dalla Tunisia

Se i flussi dei migranti africani dalla Libia sembrano per il momento congelati o quanti meno rallentati, altre rotte sembrano aprirsi verso le coste italiane per una migrazione di “qualità” diversa e forse ancora più preoccupante.

Specie in un’Italia che (lo dice l’Istat) nel 2016 ha rilasciato 226.934 nuovi permessi di soggiorno, il 5% in meno rispetto all’anno precedente con un calo che ha riguardato soprattutto le migrazioni per lavoro (12.873), diminuite del 41% rispetto al 2015 e che rappresentano ormai solo il 5,7% dei nuovi permessi. Ormai accogliamo quasi esclusivamente persone che hanno chiesto asilo, asilo politico e altre forme di protezione internazionale sono aumentati del 21%. I nuovi permessi per motivi di asilo e protezione umanitaria hanno raggiunto nel 2016 il massimo storico (77.927, il 34% del totale dei nuovi permessi). I Paesi di origine più rappresentati sono Nigeria, Pakistan e Gambia dove non ci sono né guerre né carestie.

Se è presto per illudersi che la rotta libica (da dove sono arrivati in Italia 650 mila immigrati illegali dal 2013, 106.118 sbarcati tra gennaio e il 4 ottobre il -20,68% in meno rispetto ai 133.785 dello stesso periodo del 2016) sia definitivamente chiusa, di certo i trafficanti hanno trovato altre strade per portare in Italia un numero minore di “clienti di qualità” disposti a pagare cifre certo superiori al migrante del Sahel. Invece di gommoni e barconi stracarichi i trafficanti tunisini impiegano più solide barche da pesca che puntano ad aggirare i controlli navali per sbarcare alla chetichella sulle coste siciliane tunisini che, per ragioni facilmente intuibili, non intendono farsi intercettare dalla polizia. Solo in settembre i tunisini giunti in Italia in questo modo sono stati oltre 1.400 (più di quanti ne sono arrivati tra gennaio ed agosto): tra essi vi sono molti criminali scarcerati dai due recenti indulti del governo di Tunisi e macchiatisi per lo più di reati quali rapine, aggressioni e traffico di droga. Non è certo la prima volta che Tunisi ci regala i suoi galeotti: nel 2011 sbarcarono in Italia 24 mila tunisini, inclusi buona parte degli 11mila carcerati fuggiti dalle prigioni in seguito alla rivolta contro il governo del presidente Ben Alì.

Le modalità utilizzate dagli scafisti lasciano inoltre supporre che gli  "sbarchi fantasma" costituiscono la formula ideale per infiltrare in Italia e in Europa jihadisti, terroristi, foreign fighters oltre ai criminali comuni. Meglio tenere ben presente due considerazioni. La prima è che la maggior parte dei criminali tunisini incarcerati si trova nelle galere italiane a conferma di come Tunisi risolva il problema del sovraffollamento carcerario e di come Italia e Ue costituiscano il paradiso per i tanti clan che gestiscono lo spaccio di droga e altri racket. Si tratta di un dejà vu: nei primi anni ’90 con i migranti albanesi arrivarono in Italia migliaia di avanzi di galera, più recentemente abbiamo accolto il peggio dei criminali balcanici (complice un sistema che in Italia garantisce quasi l’impunità) i flussi dalle rotte balcanica e libica sono percorse spesso da criminali di ogni risma. La Tunisia è poi il paese che ha offerto il maggior numero di combattenti allo Stato Islamico con oltre 3mila foreign fighters, il doppio secondo alcune stime, cioè circa lo stesso numero partito dall’intera Europa. Un anno fa Tunisi stimava fossero già ritornati in 800 e aveva valutato impossibile incarcerarli tutti così come la costituzione nazionale impedisce di togliere loro la cittadinanza o negare il rimpatrio.

Nuova rotta anche dall’Algeria, paese ad alto tasso di jihadisti, con una forte intensificazione dei flussi sbarcati in Sardegna con 1088 arrivi tra gennaio e settembre contro i 1.106 dell’intero 2016. Una rotta che ha molto in comune con quella tunisina: vede trasporti diretti e rapidi, con imbarcazioni sicure per una “clientela” relativamente benestante che potrebbe includere un buon numero di criminali e jihadisti che, a differenza dei tunisini, non cercano di dileguarsi ma, come precisa il Sindacato italiano appartenenti polizia (SIAP), hanno l’obiettivo di ottenere il foglio di espulsione con l’obbligo di lasciare l’Italia entro sette giorni, definito dal SIAP “vero e proprio lasciapassare per la Penisola e per tentare di infiltrarsi in altri paesi europei". Un flusso che secondo il sindacato è "capace di immettere nel tessuto sociale sardo, italiano ed europeo soggetti molto vicini all'estremismo islamico" ma anche di determinare “un aumento dei reati comuni commessi dai soggetti di tale etnia che permangono nella provincia” di Cagliari.

Cambiano quindi le rotte ma non la sostanza dell’immigrazione illegale in Italia. La costante resta quella di sempre: accogliamo chiunque paghi criminali per raggiungere le nostre coste.