Novak: La vera emergenza globale è il crollo delle nascite
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Ormai il 75% dei Paesi nel mondo ha tassi di fecondità sotto il livello di sostituzione, è urgente invertire la tendenza per evitare il disastro economico e sociale. Oggi in Occidente è conveniente non avere figli, gli Stati devono impedire questa discriminazione e creare un ambiente favorevole alla famiglia e alla vita. Parla Katalin Novak, ex presidente della Repubblica ungherese e fondatrice di una ONG internazionale che si occupa della crisi demografica.

«Il crollo demografico è una emergenza globale e va messa in testa alle priorità nelle relazioni internazionali». Ad affermarlo è Katalin Novak, ex ministro per la Famiglia ed ex presidente della Repubblica in Ungheria, dove le politiche familiari e pro-nataliste degli ultimi 15 anni hanno raccolto importanti successi. L’abbiamo incontrata a Londra, lo scorso febbraio, durante la ARC Conference di cui è stata tra le promotrici e dove ha presentato la neonata organizzazione non governativa X-Y Worldwide che ha fondato insieme al demografo Stephen Shaw. In effetti la tendenza demografica mondiale è allarmante: se è vero che l’inverno demografico è particolarmente pesante nei Paesi sviluppati, dove il calo delle nascite dura da decenni, ormai il 75% dei Paesi nel mondo ha tassi di fecondità al di sotto di 2.1 figli per donna, che è il livello di sostituzione della popolazione. E con questi ritmi entro la fine del secolo tutti i Paesi lo saranno, con gravi conseguenze economiche e sociali. Già oggi il tasso di fecondità globale è di 2,2 figli per donna, l’ONU prevede un calo a 1,68 per il 2050 e a 1,57 per il 2100. Per allora la popolazione mondiale sarà in calo in numeri assoluti già da almeno venti anni.
Katalin Novak, sposata e madre di tre figli, vero architetto delle politiche familiari e pro-nataliste ungheresi, dopo le dimissioni forzate da presidente della Repubblica nel febbraio 2024 ha dunque deciso di passare dal laboratorio Ungheria alle politiche globali.
Signora Novak, l’Ungheria viene spesso citata ad esempio da chi sostiene le necessità di politiche a favore della famiglia e della natalità. Qual è il bilancio vero della sua esperienza?
Sono stata responsabile delle politiche familiari per otto anni e i risultati sono stati molto positivi. Quando ho iniziato nel 2010 in Ungheria il tasso di fecondità era molto basso, e nel 2011 ha toccato il minimo storico con 1,21 figli per donna. Da allora c’è stata un’inversione di tendenza: il tasso di fecondità è aumentato del 25%, quindi è un bel successo. Negli stessi anni il numero di matrimoni è raddoppiato e gli aborti si sono dimezzati. Poi purtroppo la tendenza ha subito uno stop con la pandemia Covid e poi con la guerra in Ucraina, con tutte le conseguenze economiche che questo ha comportato. Si è comunque creata una cultura pro-famiglia che credo permetterà di riprendere il cammino.
Io però adesso mi sto occupando di questi temi a livello globale, perché questa è un’emergenza globale e come tale vorremmo affrontarla.
Cosa pensa di fare con la sua associazione?
Noi facciamo anzitutto ricerca per comprendere e spiegare il perché di questi bassi tassi di fertilità, poi lavoriamo sulla comunicazione e quindi come consulenti di governi, Stati, autorità locali; anche aziende, perché le aziende sono interessate a cambiare il clima intorno alla scelta di avere figli e comprendono meglio le implicazioni negative di questi bassi tassi di fecondità.
Quali sono le misure di maggiore successo in Ungheria che pensa di poter riproporre a livello globale?
Decidere di avere dei figli non è anzitutto una questione di soldi, ma è anche una questione di soldi. Nelle società moderne da un punto di vista economico non è conveniente avere figli. È un’affermazione dura, ma è vero. Avere figli è molto costoso, richiede un impegno di tempo enorme, richiede tantissima energia e non c’è un ritorno economico. E per accedere ai servizi sociali avere figli o non averli non fa differenza. Quindi avere figli è tutt’altro che conveniente dal punto di vista economico e sociale. Questo è il motivo per cui abbiamo bisogno di politiche sociali e familiari che diminuiscano lo squilibrio economico tra chi ha figli e chi non ne ha. Questo significa sgravi fiscali, sostegno per le abitazioni, sostegno finanziario per l’educazione dei figli (vedi i congedi parentali); e poi altri servizi sanitari per i bambini, sostegno alle famiglie monoparentali - perché dobbiamo essere consapevoli che molte famiglie purtroppo si dividono -, sostegno economico a chi provvede a bambini malati. Inoltre è fondamentale che gli Stati, le associazioni familiari, le imprese contribuiscano a creare una mentalità favorevole alla famiglia e ai figli rispetto alla situazione attuale.
Molti in Europa ritengono che la soluzione al crollo demografico sia l’immigrazione.
Conosco bene questo modo di approcciare il problema. Ovviamente sta a ogni Stato decidere le proprie politiche sull’immigrazione, ma certamente l’immigrazione non è la soluzione al problema del crollo delle nascite. Per due motivi: primo, perché questo è un problema globale e ciò significa che è un gioco a somma zero se sposti persone da un posto all’altro, quindi non cambia nulla; secondo, si deve aver presente che esiste un divario demografico interno, vale a dire che mediamente le giovani coppie desiderano avere più figli di quelli che effettivamente riescono o possono avere; quindi in Occidente bisogna casomai fare in modo di diminuire o annullare questo divario, quindi aiutando i giovani a soddisfare il loro desiderio di essere genitori.
Lei ricordava giustamente che la decisione di avere figli non è anzitutto economica, quindi un aspetto decisivo è quello culturale. Come promuovere una cultura per la vita?
Questo è molto difficile per uno Stato. È per questo che sono contenta ora di lavorare in un campo più ampio, perché mi posso concentrare anche sugli aspetti emotivi. Sono una madre di tre figli e come tale so che avere figli è soprattutto una decisione emotiva, non economica o razionale. Ma credo anche che per uno Stato che si trova a fare i conti con un basso tasso di fecondità, non è indifferente se il tasso di fecondità rimane così basso oppure aumenta. Pur non dovendo intervenire nelle decisioni personali, è importante che lo Stato favorisca la genitorialità, il tempo da dedicare ai figli, aiuti coloro che vogliono avere figli e crei un clima favorevole, per esempio valorizzando le aziende che creano ambienti family-friendly o le autorità locali e chiunque è in favore delle famiglie. E fa anche la differenza se si favoriscono le famiglie numerose.
Poi dipende anche dalle situazioni locali. In Italia ad esempio, la vostra situazione demografica è molto negativa, ed è davvero triste vedere l’Italia scivolare così in basso; ma anche se l’Italia attualmente registra pochissime nascite, gli italiani hanno ancora un atteggiamento positivo verso i bambini e la vita familiare, quindi potete sperare di invertire la tendenza perché siete una nazione orientata alla famiglia. C’è la possibilità che anche i giovani capiscano che la vita familiare è qualcosa che verrà a mancare se aspetti troppo tempo.
Bisogna anche dire che non tutte le nascite sono uguali. Oggi c’è chi, prendendo a pretesto il calo delle nascite ne approfitta per spingere sulle tecniche di fecondazione artificiale.
Non entro nella questione etica, però anche qui dobbiamo dire che la fecondazione assistita non è la soluzione. I problemi di infertilità nascono soprattutto a causa del ritardo nel decidere di avere un figlio. Se decidi di avere figli a 40 anni e oltre può essere troppo tardi, l’orologio biologico non segue le ideologie.
Qui il problema è anzitutto educativo, si deve far crescere nei giovani la consapevolezza che c’è una finestra della fertilità che va rispettata. A questo si aggiunge il problema di relazioni che sono sempre più instabili.
Ma la vera soluzione è mettere questo problema tra le priorità della politica globale, si deve su questo portare l’attenzione dei giovani. Purtroppo oggi questo argomento viene nascosto, si parla solo di successi professionali, conta solo la carriera individuale, e nessuno viene sfidato sul proprio futuro personale e familiare, su come realizzarlo. Se anche pensi di avere figli in futuro ma sei tra i 30 e i 40 anni e rispondi sempre «sì, sì ma più avanti non ora, perché ora mi devo concentrare su questo o quel progetto, voglio finire questa scuola», o c’è sempre da finire qualcosa; se non ti fermi a riflettere finirà che non avrai mai un figlio.