Non solo blasfema, la mostra di Carpi è anche una clamorosa truffa
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I quadri di Andrea Saltini in mostra al Museo diocesano di Carpi e al centro di una dura polemica sono copiati dalle opere del famoso coreografo greco Dimitris Papaioannou. La scoperta in un comunicato di Iustitia in Veritate. E la diocesi non ha nulla da dire?
Oltre che dissacrante, la controversa mostra Gratia Plena di Carpi è anche frutto di copiatura. Se non avesse chiuso anticipatamente il 18 aprile, sarebbe stato il caso di scrivere: "Ogni riferimento a opere altrui è da ritenersi puramente casuale", tante volte qualche visitatore fosse rimasto colpito dall’incredibile somiglianza tra alcune opere di Andrea Saltini e altrettante scene dell’artista e coreografo greco Dimitris Papaioannou. Una "ispirazione" evidente ma di cui non viene fatta alcuna menzione né nella presentazione della mostra né in tutte le spiegazioni finora date dall'artista e dai curatori diocesani. Il pubblico che, malgrado tutto, si è fidato della lettura data dal vescovo e dai suoi collaboratori e perciò convinto di trovarsi davanti a un percorso artistico originale, è stato dunque vergognosamente ingannato come risulta dalla palese sovrapposizione che emerge dal confronto tra le rispettive opere.
Ad accorgersene è stato l’avvocato Francesco Fontana, presidente di Iustitia in veritate, che in un comunicato apparso ieri, 19 aprile, spiega: «Fatte le opportune verifiche, in assenza peraltro di evidenti citazioni o riferimenti che in questi casi si devono indicare presentando una qualsiasi “nuova” opera quando si prende ispirazione da altri autori, i quadri del sig. Saltini appaiono in gran parte incredibilmente equiparabili, paurosamente simili o sovrapponibili, quasi una riproduzione delle opere del coreografo greco Dimitris Papaioannou, noto come curatore delle cerimonie di apertura e chiusura delle olimpiadi di Atene nel 2004».
L’ispirazione ci può stare, la rivisitazione pure, ma andrebbe dichiarata. Invece, il nome del coreografo non compare affatto nel catalogo e nemmeno nella pagina della diocesi di Carpi dedicata alla mostra, dove l’artista parla, correttamente, di «rifacimento in chiave contemporanea di Caravaggio» a proposito della Crocifissione di san Pietro, ma nulla dice sull’analogo «rifacimento» delle scene di Papaioannou, per esempio nell’opera Pescatore di uomini (ascensione di san Pietro) – e lasciamo qui da parte l’incongruenza tra l’ascensione (che significa ascendere, salire, e non risulta che san Pietro sia asceso) e una figura che invece giace a terra, nell’acqua (così spiegata da Saltini: «Pietro deposto che ritorna ha anche una sorta di sua origine secondo le scritture cioè pescatore di uomini. Deposto nell’acqua»). In una scena di Ink (2020) di Papaioannou compare un uomo in perizoma disteso nell’acqua incredibilmente simile al san Pietro “asceso”/disteso di Saltini. Le immagini parlano da sole.
Ispirazione “greca” anche per Paraclito, dove un astronauta (che per Saltini rappresenta appunto «il Paraclito, colui che davvero soccorre e difende gli uomini nella storia») sorregge un uomo seminudo, che di nuovo riprende da vicino, vicinissimo una scena di Papaioannou, questa volta da The Great Tamer (2017). Dallo stesso show è ripreso il dipinto intitolato ...non crederò, liberissima reinterpretazione dell’incredulità dell’apostolo Tommaso, dove un uomo si apre la camicia con entrambe le mani mostrando il petto con al centro un pendente rotondo e luccicante. Proprio come in un’analoga scena di The Great Tamer.
L’opera più nota e discussa della mostra carpigiana è INRI (San Longino), anche per il danneggiamento subito il 28 marzo ad opera di un aggressore tuttora ignoto (laddove invece, è bene ricordarlo, la gente “comune” ha reagito a suon di rosari e di pacifiche proteste). L’artista precisa che «il pezzo è stato pensato e si sviluppa orizzontalmente (come raffigurato sul catalogo)», privilegiando «un punto di vista dall’alto», tuttavia, «in fase di progettazione/allestimento (site specific) l’autore ha deciso di installare l’opera in pendenza aggiungendo la seconda opera detta “terra”». Felice scelta, dal momento che, posta in verticale, risulta ancor più evidente la somiglianza tra il Longino di Saltini e i "longini" di Papaioannou, anch'essi in maglione scuro e analoga posa in un’altra scena di The Great Tamer.
Tanto vale saperne di più sulla “materia prima” ovvero sulla poetica di Dimitris Papaioannou, per meglio beneficiare di questa «vera arte contemporanea a soggetto religioso», «una rarità», come la definisce il vicario don Carlo Bellini. Ed è lo stesso Papaioannou, intervistato su The Guardian, a dire che la sua «Non è danza, non è teatro, e non è performance. Non so cosa diavolo sia», e che il suo linguaggio è «l’horror fantascientifico» (parole sue: «Mi sono reso conto che l'horror fantascientifico era la lingua che stavo parlando: c'era molto in comune con Alien, uno dei miei film preferiti»). Ma don Bellini non ci aveva detto che Saltini «fa riferimento esplicito ad una narrazione religiosa e a una teologia che non viene solo allusa» e che il suo «contenuto spirituale scaturisce da una tradizione che viene così attualizzata, interrogata, provocata e alla fine resa viva e interessante oggi»? E invece, ammesso e non concesso che il contenuto spirituale ci sia, sembra scaturire da tutt'altra fonte che col sacro non ha nulla a che fare.
Di un “ingrediente” così importante nella mostra la diocesi di Carpi ci ha tenuto all’oscuro pur prodigandosi di sforzi per farci comprendere le opere esposte in Gratia Plena. Tante parole e nemmeno un cenno alle coreografie di Papaioannou? O forse non lo sapevano neanche loro? «Com’è possibile che gli ideatori e organizzatori dell’esibizione di Carpi», si chiede l’avvocato Fontana nel comunicato citato all’inizio, «non abbiano avuto l’accortezza di fare – prima – i controlli necessari, e che tali dati siano passati inosservati nel catalogo della mostra, che presenta i lavori asserendone il “...tratto distintivo della sua poetica “, perché “..Saltini astrae, e astrae dal vero...”, e dunque le sue creazioni sono “...intrise di spiritualità..”, “...vera arte contemporanea a soggetto religioso, ancora una volta una rarità”, addirittura “...rinnovando l’eredità iconografica e il patrimonio affettivo della nostra tradizione culturale”?». Se così fosse, Fontana ravvisa quantomeno «una culpa in vigilando di chi sa e deve effettuare tali riscontri».
Non resta che rispedire al mittente, cioè alla diocesi stessa, l’accusa di «giudizi (o pregiudizi) irrispettosi» mossa sin dall'inizio a quanti sono rimasti sconcertati dal libero uso dei personaggi sacri. È paradossale che in questa vicenda certi pastori abbiano mostrato, loro sì, «giudizi (o pregiudizi) irrispettosi» verso molti cattolici che si sono sentiti offesi nel proprio sentimento religioso, pur di difendere a oltranza (si veda il comunicato relativo alla chiusura) «un tentativo, in parte pionieristico, per individuare possibili interazioni tra esperienze artistiche contemporanee e cammini religiosi e di ricerca mistica», che poi tanto pionieristico non pare.
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