Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Cecilia a cura di Ermes Dovico
polveriera balcanica

Non si ferma la tensione in Kosovo: 11 italiani tra i feriti

Ascolta la versione audio dell'articolo

30 soldati della NATO e 52 manifestanti colpiti negli scontri del 29 maggio. Tra loro anche i nostri connazionali impegnati nel contingente KFOR. Alla base dei disordini crescenti c'è il boicottaggio serbo causato dal mancato rispetto degli accordi di febbraio da parte kosovara, con reciproco rimbalzo di responsabilità.

Esteri 31_05_2023

Le truppe della NATO di stanza in Kosovo hanno messo in sicurezza un municipio a Zvecan e ieri l'Alleanza atlantica ha cominciato l’invio di altri soldati nella regione, dopo che lunedì 29 maggio ben 30 soldati della NATO e 52 manifestanti erano rimasti feriti negli scontri e l'Unione Europea e gli Stati Uniti avevano esortato le parti a riportare la calma.

Tra i feriti del contingente Nato-Kfor 11 sono italiani: tre sono gravi ma non in pericolo di vita e avrebbero riportato ustioni e fratture. Altri 19 militari appartenenti al contingente ungherese hanno riportato ferite multiple. I disordini nella regione si sono intensificati da quando i sindaci di etnia albanese sono entrati in carica nell'area settentrionale del Kosovo a maggioranza serba, quando le forze di polizia kosovare sono intervenute in particolare nei comuni di Leposavic, Zubin Potok e Zvecan per disperdere i serbi che cercavano di impedire l’ingresso nei comuni ai sindaci di etnia albanese. I sindaci vincitori delle elezioni municipali tenute il 23 aprile nell’area non sono riconosciuti da Belgrado e dalla comunità serba, che in quell’area è maggioranza e che ha boicottato l’appuntamento elettorale che aveva visto un’affluenza del 3,4 per cento.

Il boicottaggio serbo era stato causato dal mancato rispetto da parte kosovara dell’accordo del 27 febbraio scorso nella città di Orhid in Nord Macedonia sotto gli auspici della Unione Europea, implementato il 18 marzo e che abbiamo descritto su La Bussola. Nell’accordo firmato a Bruxelles si prevedeva infatti la costituzione di una speciale autonomia serba tra le municipalità delle regioni di confine. Proprio la decisione del governo di Pristina di occupare le amministrazioni comunali delle cittadine a maggioranza serba, scelta che segnava la tracotante volontà di accrescere il conflitto e ritirarsi dagli accordi internazionali, aveva portato gli Stati Uniti e l’Unione Europea venerdì a rimproverare le autorità kosovare e chiedere loro di rispettare gli impegni presi.

È importante ricordare che la maggioranza serba del Kosovo settentrionale non ha mai accettato la dichiarazione di indipendenza del Kosovo dalla Serbia, avvenuta nel 2008. Per altro verso, gli albanesi costituiscono oltre il 90% della popolazione del Kosovo nel suo complesso, proprio per questa particolare localizzazione regionale dei serbi, Belgrado ed i serbi che vivono in Kosovo chiedevano da tempo l'attuazione di un accordo del 2013 mediato dall'UE per la creazione di un'associazione di comuni autonomi nella loro area, accordo riaffermato lo scorso febbraio e che ancora una volta è stato violato dalle supposte autorità nazionali del Kosovo. Ieri e oggi, nella città di Zvecan, decine di soldati in tenuta antisommossa provenienti da Stati Uniti, Polonia e Italia hanno messo in sicurezza un edificio comunale mentre i serbi protestavano contro l'insediamento di un sindaco albanese; i manifestanti tornati ieri, riprenderanno la propria protesta oggi.

L'ambasciatore degli Stati Uniti in Kosovo Jeffrey Hovenier ha accusato Pristina di aver alimentato le tensioni nel nord, quando le autorità di Pristina avevano invitato i sindaci albanesi a prendere possesso delle amministrazioni comunali, nonostante l'opposizione serba. Washington, il più esplicito sostenitore dell'indipendenza del Kosovo sin dal 2008, ha deciso di cancellare la partecipazione del Kosovo a un'esercitazione militare comune, dopo che Pristina si è rifiutata di ritirare i sindaci e le sue forze di polizia dal nord, tra cui molti ex combattenti kosovari delle armate indipendentiste e anticristiane del UCK.

Anche il capo della politica estera dell'UE Josep Borrell, ormai noto in tutto il mondo più per i suoi appelli alla guerra anti-russa che per la sua azione diplomatica, ha esortato i leader kosovari e serbi a trovare un modo per stemperare le tensioni attraverso il dialogo. «Oggi in Europa c'è già troppa violenza, non possiamo permetterci un altro conflitto», ha dichiarato Borrell durante un briefing a Bruxelles.

Ovviamente Serbia e Kosovo si rimpallano le resposabilità per le tensioni e gli scontri di queste settimane e giornate, tuttavia appare molto improbabile che le nazioni occidentali possano stavolta incolpare di alcunché il presidente serbo Aleksandar Vucic che, dopo aver incontrato ieri a Belgrado gli ambasciatori di Stati Uniti, Italia, Francia, Germania e Gran Bretagna, ha ribadito al sua richiesta: i sindaci albanesi siano rimossi dalle loro cariche nel nord, l’accordo sulle autonomie municipali serbe deve essere rispettato. È chiaro che crescono i sospetti verso Pristina il cui obiettivo appare sempre più quello di separare totalmente il Kosovo e la Metohija  dalla Serbia e, se possibile, di ridurre la popolazione serba al lumincino anche nel nord della regione.

Per altro verso, la Serbia non può entrare in un conflitto aperto con la KFOR, perché queste sono le forze internazionali che dovrebbero garantire la sicurezza dei serbi proprio nelle regioni a maggioranza serba del nord del Kosovo. Edi Rama, presidente albanese e regista delle angherie kosovare, lunedì sera era dovuto intervenire pubblicamente, presumibilmente su pressione americana, nel tentativo di placare la rabbiosa reattività di Pristina richiamando il dialogo “per necessità” e perché le crescenti tensioni rischierebbero di danneggiare «il Kosovo agli occhi dei suoi insostituibili alleati e amici. Più dura questo conflitto pericoloso e inutile, più danneggia il Kosovo», ha scritto Rama su Twitter. Russia e Cina, i Paesi europei e agli USA, sono tutti schierati, anche se con toni diversi, con Belgrado e stigmatizzano l’atteggiamento sleale e incendiario di Pristina. Questo è il momento in cui i Paesi occidentali, Usa ed UE in primis, si facciano un serio esame di coscienza. L’«irresponsabile ed inaccettabile violenza», denunciata dalla premier italiana Giorgia Meloni, è stata causata in buona parte dallo strumentale sostegno incondizionato alle richieste kosovare, in chiave anti serba ed anti-russa. Una follia incendiaria, di cui paghiamo il prezzo.