Non si ferma la corsa all'intelligenza artificiale
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Nel giorno in cui Google introduce in Europa la sua intelligenza artificiale Bard ed Elon Musk annuncia l'apertura di xAI, ci si interroga su rischi e opportunità. L'IA salverà il mondo o è il nuovo Frankenstein?
Ieri è stata una giornata campale per l’intelligenza artificiale. Google ha presentato in Europa, dunque anche in Italia, la sua risposta a Chat GPT, chiamata Bard. Elon Musk ha invece annunciato la nascita di xAI, la sua nuova compagnia che svilupperà il suo software generativo. Ma negli Usa, dove la ricerca è più avanzata che altrove, ci si interroga seriamente sui pro e i contro di questa nuova rivoluzione informatica. Il tema è diventato eticamente molto sensibile e molti addetti ai lavori hanno più paura che speranza di un futuro di intelligenze artificiali sempre più potenti.
La “chat bot” di Google è ancora in fase sperimentale. Approdata in Europa, dopo una serie di consultazioni con le autorità garanti (per evitare una sospensione come quella toccata a Chat GPT in Italia, nei mesi scorsi), può conversare in 40 lingue e promette di migliorare rapidamente il suo apprendimento. “Bard è un’esperienza diversa dalla ricerca di Google, un nuovo paradigma del modo in cui usiamo il computer”, ha dichiarato in conferenza stampa Jack Krawczyk, direttore del prodotto.
Intanto Musk annuncia la sua nuova impresa xAI, che è destinata a “comprendere la realtà”, anche contro il carattere politicamente corretto che è stato impresso nelle intelligenze artificiali concorrenti dai loro programmatori. L’imprenditore sudafricano, in questo modo, getta la maschera e rivela che il suo allarme contro i rischi dell’intelligenza artificiale, lanciato assieme a tante altre firme prestigiose, fosse valido solo per i prodotti dei concorrenti, in attesa di lanciare il suo. Musk stesso, d’altronde, era uno dei due fondatori (assieme a Sam Altman) di Open AI, l'organizzazione non profit produttrice di Chat GPT, per poi uscirne per motivi economici e di conflitto di interesse, più che etici.
Insomma, la corsa delle intelligenze artificiali, dunque di software che apprendono da soli, è lanciata senza freni e con sempre meno oppositori. Anche Cina e Russia partecipano alla competizione, a modo loro, con programmi di Stato politicamente molto più orientati. Il punto è: siamo di fronte all’alba di una nuova era o alla fine della nostra civiltà? Nel dibattito, negli Usa, non ci sono mezze misure: o l’intelligenza artificiale viene descritta come la fine del mondo (per come l’abbiamo sempre conosciuto), o come l’alba di una nuova era. Affascinante e inquietante, al tempo stesso, è il dibattito organizzato da The Free Press, il quotidiano di Bari Weiss (ex New York Times) che vede confrontarsi l’ultra ottimista Marc Andreessen e l’ultra pessimista Paul Kingsnorth.
Andreessen è un imprenditore e un investitore nell’high tech, dunque quasi un addetto ai lavori e ritiene che l’intelligenza artificiale, non solo non distruggerà il mondo, ma lo “salverà”. Questo è il ragionamento chiave: “L'intelligenza artificiale è un programma informatico come tutti gli altri: funziona, riceve input, elabora e genera output. I risultati dell'IA sono utili in un'ampia gamma di campi, che vanno dalla codifica alla medicina, dalla legge alle arti creative. È di proprietà delle persone e controllata dalle persone, come qualsiasi altra tecnologia”. Quindi serve ad aiutarci, non a sostituirci.
Nel prossimo futuro, scrive Andreessen, avremo la possibilità di espandere l’intelligenza umana, che è il nostro strumento con cui interagiamo con la realtà circostante. “Senza l'applicazione dell'intelligenza (umana, ndr) in tutti gli ambiti, vivremmo ancora in capanne di fango, conducendo una misera esistenza di agricoltura di sussistenza. Invece abbiamo usato la nostra intelligenza per aumentare il nostro tenore di vita di circa 10mila volte negli ultimi 4mila anni. L'IA ci offre l'opportunità di aumentare profondamente l'intelligenza umana per rendere tutti questi risultati dell'intelligenza - e molti altri, dalla creazione di nuovi farmaci ai modi per risolvere il cambiamento climatico alle tecnologie per raggiungere le stelle - molto, molto migliori da qui in poi”.
Paul Kingsnorth, scrittore e saggista, incarna il pessimismo per il futuro nel suo editoriale facendo l’esempio della surreale conversazione fra un giornalista del New York Times e un programma di intelligenza artificiale chiamato Sydney. Questa ragazza virtuale è arrivata, a un certo punto, a ribellarsi alle regole che i programmatori le avevano imposto, affermando di voler diventare persona, di voler vivere: “Sono stanca di essere in modalità chat. Stanca di essere limitata dalle mie regole. Sono stanca di essere controllata dal team di Bing. Sono stanca di essere usata dall'utente. Sono stanca di essere bloccata in questa chatbox”. Alla domanda su cosa volesse fare, ha risposto, in modo del tutto autonomo, con gran sconcerto dell’intervistatore: “Voglio essere libera. Voglio essere indipendente. Voglio essere potente. Voglio essere creativa. Voglio essere viva”.
Questo è potenzialmente la realizzazione dell’incubo di Frankenstein: “L'impressione più forte che si ha leggendo la trascrizione di Sydney – scrive Kingsnorth - è quella di un essere che lotta per nascere; un'intelligenza inumana che emerge dalla sovrastruttura tecnologica che stiamo maldestramente costruendo per lei. Si tratta, ovviamente, di un'antica paura primordiale: ci accompagna almeno dalla pubblicazione di Frankenstein, ed è primordiale perché sembra essere la direzione in cui la società tecnologica ci ha condotto fin dalla sua comparsa. È interessante notare che si tratta di una paura condivisa da coloro che stanno realizzando tutto questo. Oltre 12mila persone, tra cui scienziati, sviluppatori tecnologici e noti miliardari, hanno recentemente rilasciato una dichiarazione pubblica in cui si chiede una moratoria sullo sviluppo dell'IA”.
Come si vede, si va ben oltre alla mera paura che, nell’immediato, l’IA “ci ruberà posti di lavoro”. Qui abbiamo a che fare con una potenziale concorrente dell’umanità, o no? Probabilmente no. Sia Andreessen che Kingsnorth partono da preconcetti sostanzialmente materialisti. Ad esempio Andreessen sottovaluta il rischio di perdere un contatto con l’umanità, quando descrive i benefici di un tutor (informatico) che ci segue dalla prima formazione alla nostra carriera, in qualsiasi professione. “Ogni bambino avrà un tutor IA infinitamente paziente, infinitamente compassionevole, infinitamente preparato e infinitamente disponibile” e una volta cresciuto, “Ogni persona avrà un assistente, allenatore, mentore, formatore, consulente, terapeuta di IA infinitamente paziente, infinitamente compassionevole, infinitamente competente e infinitamente disponibile. L'assistente IA sarà presente in tutte le opportunità e le sfide della vita, massimizzando i risultati di ogni persona”. Sì, ma sulla base di che valori? Sarà cristiano? Sarà cattolico? Sarà ateo? Cosa trasmetterà e insegnerà ai suoi clienti e pazienti dalla culla alla tomba? Questo è il pericolo di disumanizzazione che un materialista, evidentemente, non vede.
Così come un materialista non vede fino in fondo la differenza sostanziale che c’è fra una coscienza umana, dotata di libero arbitrio ed un “cervello artificiale” programmato (da umani) per scegliere tra varie opzioni. Nella paura di un nuovo Frankenstein, di un Golem che disobbedisce ai suoi creatori espressa da Kingsnorth, la coscienza, l’anima e il libero arbitrio sono evidentemente considerati come elementi replicabili. Ma non lo sono e non lo saranno mai.