"Noi possumus", il cuore delle aperture di Amoris Laetitia
Era tutto già scritto. Alcune interpretazioni del capitolo VIII di Amoris laetitia riprendono vecchie teorie. Lo dimostra un libro scritto della San Paolo nel 2005 dai cardinali Kasper e Martini. In punta di penna si sono battute linee precise su liturgia, ecumenismo, morale.
«Era tutto già scritto», dice il teologo che da anni insegna in importanti atenei, «in fondo Amoris laetitia riprende vecchie teorie che fin dagli anni settanta hanno i loro sponsor tra teologi e pastori». Nel frattempo porge un libro da sfogliare. Il titolo è importante: Fedeltà e rinnovamento. Il Concilio Vaticano II 40 anni dopo, a cura di monsignor Bruno Forte e un parterre de rois imponente di co-autori. Lo edita San Paolo nel 2005, poco dopo l’elezione di Joseph Ratzinger a pontefice.
Ci sono i defunti cardinali Loris Capovilla, già segretario di san Giovanni XXIII, e Carlo Maria Martini, “Ante-papa” per sua definizione; l’ex cerimoniere liturgico di Giovanni Paolo II, monsignor Piero Marini; infine, il cardinale Walter Kasper, allora presidente del Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani. Un gruppo significativo di pastori e teologi che, senza troppa fantasia, si potrebbe definire come una dependance di quel “Gruppo di San Gallo”, composto da eminentissimi cardinali del centro nord europa, che si ritrovava nella cittadina svizzera a meditare e fare squadra rispetto alla riforma della Chiesa. E’ un segreto di Pulcinella rivelare che i cardinali Walter Kasper, Karl Lehmann, Achille Silvestrini, Basil Hume, Cormac Murphy-O'Connor, Godfried Danneels e Carlo Maria Martini si ritrovassero a San Gallo, e non è un segreto neppure dire che non avessero particolare sintonia con il papa polacco e il suo prefetto dell’ex Sant’Ufficio.
La svolta nella dottrina morale della Chiesa, intesa anche nella sua applicazione pastorale, da realizzarsi sulle ali di un certo “spirito del Concilio” si manifestò con particolare evidenza dopo l’enciclica del beato Paolo VI, Humanae vitae (1968), che ribadiva l’insegnamento tradizionale sulla contraccezione e sull’amore umano. Il pontificato di Giovanni Paolo II, e poi quello di Bendetto XVI, agli occhi di molti rappresentavano un freno alle istanze di una “nuova” Chiesa. C’è stato chi non si è dato per vinto e ha occupato con imponenza la parte “culturale” della chiesa. Libri, cattedre, riviste, seminari, salotti, venivano ben presidiati da chi voleva andare anche oltre la lettera del concilio. In punta di penna, in modo raffinato, si sono battute linee precise sulla liturgia, l’ecumenismo, la morale, indipendentemente dal fatto che da Paolo VI in poi i papi si premurassero di avvertire che non si doveva fare a pezzi tutto ciò che era prima.
Sfogliando il libro pubblicato nel 2005 ci si rende facilmente conto di quale passione animasse chi voleva andare comunque oltre. Il cardinale Kasper in quel libro riflette sulla costituzione pastorale Gaudium et spes che il Concilio dedicò, non senza travaglio, ad un rinnovato rapporto tra Chiesa e mondo moderno. E’ tutto nuovo, scrive il cardinale tedesco, ciò che promana da quel testo, non solo nuovi temi (scienza, cultura, famiglia, matrimonio, pace, guerra), ma soprattutto «nuovo è il modo in cui il documento li affronta: un atteggiamento dialogico».
La Chiesa, spiega Kasper, «non offre più con toni apocalittici che tutto nel mondo è male, quasi opera del maligno; piuttosto sa riconoscere anche ciò che esiste di positivo». Questa attenzione si rivolge alle situazioni della «vita vissuta concreta» e comporta proprio l’essenza della pastoralità intesa come il calare della dottrina nelle situazioni. «La Chiesa», scandisce il cardinale, «non ha nessuna competenza dottrinale che le permette di formulare un giudizio definitivo sulle situazioni concrete». La sua attenzione quindi si rivolge al tema della coscienza, ravvisando, a suo giudizio, che il Concilio aveva lasciato aperte le porte per una ulteriore riflessione sulle situazioni di «oscuramento e accecamento» oltre la condizione di “invincibile ignoranza”.
Nonostante l’enciclica Veritatis splendor (1993), che ribadiva molto chiaramente l’esistenza dei cosiddetti “assoluti morali”, secondo Kasper, «rimangono tuttavia dei punti da chiarire e approfondire» sul tema della coscienza e della legge morale naturale. A questo punto l’esempio che viene proposto dal cardinale nel libro del 2005 è rivelatore, e spiega perché si può dire: «era tutto già scritto».
Qual è l’ambito su cui occorre portare avanti le linee che Kasper intravede in Gaudium et spes? Nel «rapporto tra ordine oggettivo e ordine soggettivo, tra norma oggettiva e situazione concreta e soprattutto cosa significhi concretamente questa legge naturale in una situazione di enormi mutamenti culturali e sociali». A questo punto basta rileggere la relazione Kasper al concistoro 2014, quello che ha dato avvio alla riflessione del doppio sinodo sulla famiglia, oppure le interpretazioni del capitolo VIII di Amoris laetitia fornite, ad esempio, dal cardinale Francesco Coccopalmerio o dal professor Rocco Buttiglione, per rendersi conto del fatto che “era tutto già scritto”.
L’articolazione tra ordine oggettivo e responsabilità soggettiva è al cuore delle aperture per l’accesso ai Sacramenti dei divorziati risposati anche conviventi more uxorio. Ossia un caso che appare rientrare a tutti gli effetti nell’adulterio, e quindi tra quegli intrinsece mala da non commettere mai come indica appunto l’enciclica Veritatis splendor.
Nel 2005, anno di pubblicazione del libro collettaneo curato dal teologo Forte, erano passati dodici anni dalla pubblicazione di quell’enciclica su “alcune questioni fondamentali dell’insegnamento morale della Chiesa”, e viene spontaneo domandarsi quale docile accoglienza avesse veramente ricevuto da parte dei pastori. Non solo. Nell’anno 1993, cioè lo stesso anno di Veritatis splendor, tre vescovi tedeschi, lo stesso Kasper, Karl Lehmann e Oskar Saier, pubblicarono una lettera pastorale che apriva all’accesso ai Sacramenti per i divorziati risposati. Lettera che trovò risposta ferma nel 1994 con un documento della Congregazione della Dottrina della fede, a firma Joseph Ratzinger, che ribadiva espressamente l’insegnamento e la prassi già prevista dalla Chiesa con l’esortazione Familiaris consortio n°84.
Eppure dodici anni dopo Veritatis splendor, e undici dopo la lettera della Congregazione per la Dottrina della fede, il cardinale Kasper scriveva che il Concilio era solo «l’inizio di un cammino, ma non ne rappresenta già la fine». E così arriviamo ai giorni nostri, dove alcuni interpretano Amoris laetitia dicendo che, in certi casi, anche due divorziati risposati conviventi more uxorio possono accedere all’Eucaristia. Ma se esistono assoluti morali la cui trasgressione non può mai permettere di raggiungere il bene, come è possibile che gli atti coniugali di un uomo e una donna che sposi non sono, possa in qualche modo rappresentare un eccezione all’adulterio?
I quattro cardinali che hanno posto i “Dubia” al Papa sull’interpretazione di Amoris laetitia, al quinto dubbio si pongono, in effetti, questa domanda: «Dopo "Amoris laetitia" n. 303 si deve ritenere ancora valido l’insegnamento dell’enciclica di San Giovanni Paolo II "Veritatis splendor" n. 56, fondato sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione della Chiesa, che esclude un’interpretazione creativa del ruolo della coscienza e afferma che la coscienza non è mai autorizzata a legittimare eccezioni alle norme morali assolute che proibiscono azioni intrinsecamente cattive per il loro oggetto?»
La domanda è di assoluto interesse. Anche perché se in Amoris laetitia c’è un nuovo paradigma morale per l’articolazione tra ordine oggettivo e ordine soggettivo che comporta eccezioni all’adulterio, un domani su cosa si eserciterà la prossima eccezione?