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INTERVISTA AL PATRIARCA CATTOLICO

«Noi copti, argine alla violenza estremista in Egitto»

«Le persecuzioni e le ostilità rafforzano il senso di appartenenza. Guardiamo voi in Occidente, e ci diciamo che il rilassamento fa perdere la fede ai cristiani. Da noi la chiese tornano a riempirsi anche dopo gli attentati, la gente tiene alla propria religione più di prima». La Nuova BQ intervista il patriarca copto Sidrak, in Italia con Acs

Libertà religiosa 20_10_2017
Sidrak durante la visita di Papa Francesco in Egitto

Ibrahim Isaac Sidrak è il patriarca di Alessandria capo della Chiesa cattolica copta e il suo è il più “giovane” dei patriarcati orientali in comunione con Roma, essendo stato istituito nel 1895 da papa Leone XIII, per esaudire le richieste degli egiziani che si erano convertiti al cattolicesimo sulla scia del vescovo copto di Gerusalemme Anba Athanasius che si fece cattolico nel 1741. I numeri relativi alla consistenza delle comunità cristiane in Egitto sono piuttosto ballerini. Il gruppo di gran lunga più numeroso è quello dei copti ortodossi egiziani, variamente stimato fra i 5 e i 15 milioni a seconda delle fonti, quello dei copti cattolici a sua volta oscilla fra i 250 e i 300 mila, presenti in tutte le regioni dell’Egitto. A completare il quadro delle presenza cristiane ci sono anche 100 mila egiziani che sono protestanti evangelici. Recentemente Sidrak ha visitato l’Italia e ha preso parte alla presentazione di un rapporto di Aiuto alla Chiesa che soffre  intitolato Perseguitati e Dimenticati e concentrato sulla situazione dei paesi dove le condizioni dei cristiani sono più difficili. Fra essi compare l’Egitto. La Nuova BQ l'ha intervistato sulle condizioni delle Chiese cristiane in quel paese e delle loro comunità di riferimento.

Patriarca Sidrak, quali frutti ha portato la visita del Papa in Egitto? Cosa è cambiato dopo la visita di Francesco?
Una visita non si giudica solo per quello che succede dopo che è conclusa, ma nel nostro caso anche e soprattutto per i cambiamenti che avvengono prima, quando viene preparata. Il fatto che Francesco abbia confermato il viaggio all’indomani degli attentati del 9 aprile ha suscitato grande emozione e partecipazione anche fra gli egiziani musulmani, fra le persone semplici come fra gli intellettuali. Tutti hanno colto l’importanza dell’aiuto che il Papa stava dando all’Egitto e alla sua stabilità con la conferma della visita anche dopo gli attentati. Abbiamo chiesto e ottenuto che lo slogan della visita fosse cambiato da “Il Papa nell’Egitto della pace” a “Il Papa della pace nell’Egitto della pace”, perché bisognava sottolineare il suo contributo a sventare il progetto di chi vuole mettere gli egiziani gli uni contro gli altri. Francesco è stato in Egitto solo 27 ore, ma sono state 27 ore dense di incontri, gesti, discorsi ben preparati e ben pronunciati, semplici e profondi nello stesso tempo, ascoltati con grande interesse anche dai musulmani e dai cristiani copti ortodossi. Adesso stiamo vivendo la fase della riflessione, e stiamo per dare alle stampe un libro celebrativo della visita.

Negli ultimi anni si sono moltiplicati e sono diventati sempre più sanguinosi gli attentati terroristici contro i cristiani. Con quale spirito vivete questi tragici avvenimenti che si ripetono?
Con molta amarezza, sentendoci una comunità rifiutata, indesiderata e presa di mira. In tali circostanze è facile cedere alla tentazione di abbandonare il paese ed emigrare in Occidente. La più grande sfida che viviamo come Chiesa è quella di convincere le persone a restare. Anche i musulmani più lucidi sono preoccupati dell’esodo dei cristiani dall’Egitto e vogliono che noi restiamo, perché sanno che senza di noi il paese non sarebbe più lo stesso e che sarebbe consegnato definitivamente alla violenza estremista.

Quali provvedimenti vi aspettate dalle autorità per rendere più facile la vita dei cristiani in Egitto, non solo per quanto riguarda la sicurezza, ma in generale? 
La sicurezza non è tutto, la sicurezza o la sua mancanza sono l’esito di qualcosa che sta prima. Alle autorità e a tutti gli egiziani chiediamo di proclamare solennemente che i cristiani sono cittadini di prima classe come i loro concittadini musulmani. Chiediamo di affrontare con coraggio le idee salafite e fondamentaliste che predicano il rifiuto del diverso. Noi cristiani viviamo le stesse difficoltà dei nostri concittadini musulmani, soffriamo per gli stessi motivi: i problemi economici e sociali che affliggono il paese, la corruzione della Pubblica Amministrazione, gli attacchi terroristici contro i servitori dello Stato come poliziotti e militari. La crisi economica e gli altri problemi favoriscono l’influenza di idee che vanno contro la tradizione di convivenza religiosa dell’Egitto: chiediamo a tutti gli egiziani di respingerle.

Siete soddisfatti della nuova legge sugli edifici religiosi, approvata nell’agosto dello scorso anno? È davvero diventato più facile per i cristiani costruire o restaurare i loro edifici religiosi?
Il momento per potersi dire soddisfatti non è ancora arrivato. Finora non si è visto alcun cambiamento rispetto a prima, aspettiamo che ciò che è stato approvato e promulgato venga messo in pratica.

A parte il fenomeno dell’emigrazione, le Chiese cristiane sono numericamente stabili, oppure state perdendo fedeli attraverso matrimoni fra musulmani e cristiane e attraverso conversioni?
Non ci sono matrimoni fra cristiane e musulmani, e non ci sono conversioni di cristiani all’islam. Gli unici casi di conversioni di cristiani egiziani all’islam riguardano persone che si fanno musulmane per ottenere il divorzio dal coniuge davanti a un tribunale islamico. In Oriente le Chiese sono più forti quando sono sotto pressione: le persecuzioni e le ostilità rafforzano il senso di appartenenza. Guardiamo voi in Occidente, e ci diciamo che il rilassamento fa perdere la fede ai cristiani. Da noi la chiese tornano a riempirsi anche dopo gli attentati, la gente tiene alla propria religione più di prima. Questo non significa necessariamente che la nostra fede sia più profonda della vostra: in gran parte si tratta di una reazione di orgoglio per la propria identità attaccata. Io spero e prego che queste persecuzioni siano anche un’occasione per vivere più profondamente la fede.

Quali sono stati i momenti migliori e quali quelli peggiori per le comunità cristiane in Egitto negli ultimi 100 anni?
Non è facile rispondere: sono successe tante cose, si sono succeduti tanti regimi. I due periodi più brutti sono stati certamente gli 11 mesi della presidenza di Mohamed Morsi, coi Fratelli Musulmani al potere, e la presidenza di Anwar el Sadat dopo la sua famosa dichiarazione: «sono il presidente musulmano di un paese musulmano». Dopo quella dichiarazione si moltiplicarono gli attacchi degli estremisti contro i cristiani, come se avessero avuto il via libera. Di fatti Sadat si appoggiò ai salafiti e ai Fratelli Musulmani, che ufficialmente erano fuorilegge, per consolidare il suo potere. Dopo di lui le cose sono cambiate parzialmente con Mubarak, ma anche con lui si percepiva che esisteva un patto fra i fondamentalisti e il potere: salafiti e Fratelli Musulmani sono stati lasciati liberi di occupare la società, di imporre la loro egemonia culturale, in cambio della loro rinuncia al potere politico e a sfidare il regime. Questo ha avuto effetti nefasti nella regione egiziana dove i cristiani sono più numerosi: l’Alto Egitto. Nei villaggi più emarginati e nei quartieri più poveri delle città gli estremisti si sono infiltrati negli strati popolari, approfittando della miseria e dell’ignoranza della gente.

Forse il periodo che ricordiamo più volentieri è quello di Nasser, che all’esterno era impegnato a unire la nazione araba e all’interno ha promosso politiche favorevoli alle classi povere. La presidenza di Abdelfattah al-Sisi non si può ancora valutare, la gente comincia a essere impaziente, ma sbaglia: l’attuale leader ha ereditato una situazione pesantissima da tutti i punti di vista, problemi economici, sociali e amministrativi che sono stati lasciati incancrenire dai governi che lo hanno preceduto. Ci vuole pazienza. Con lui l’Egitto ha dimostrato di poter realizzare in tempi record un grande progetto, come è stato fatto col rinnovo del Canale di Suez. Ma purtroppo quello è rimasto un caso isolato, e normalmente si registrano in tutti i grandi progetti ritardi e oneri aggiuntivi a causa della corruzione endemica e del fatto che molte persone potenti piegano la legge ai loro interessi. Occorre che il popolo egiziano riprenda coscienza della sua forza e della sua identità, e in questo il ruolo del sistema educativo è fondamentale. La Chiesa copta cattolica dà il suo contributo, con 170 scuole dove studiano insieme cristiani e musulmani.

Quali sono le personalità musulmane che vi ispirano maggiore fiducia e quali sono quelle che vi ispirano sfiducia?
Ci ispirano fiducia gli intellettuali colti e coraggiosi, minacciati di morte perché si espongono scrivendo cosa dovrebbe cambiare nel modo di pensare l’islam in Egitto; ci fanno paura i musulmani che si lasciano strumentalizzare da interessi di paesi stranieri e da gruppi estremisti interni ed esterni al paese. Ci fanno paura le teste vuote, i poveri e gli ignoranti che vengono facilmente strumentalizzati dai malintenzionati.

Come sono i rapporti fra copti cattolici e copti ortodossi? Potrà essere superato il problema della ripetizione del battesimo, per quei cattolici che magari per ragioni matrimoniali desiderano entrare a far parte della Chiesa copta ortodossa?
Purtroppo tutto il lavoro fatto per risolvere il problema della ripetizione dei battesimi è fallito, a causa delle divisioni fra i vescovi ortodossi. Quelli più conservatori, formati al tempo del patriarca Shenouda, si sono opposti all’eliminazione pura e semplice della ripetizione, e hanno ottenuto una formula di compromesso che permette di continuare con la prassi di prima. Il testo della dichiarazione comune firmata da papa Francesco e dal patriarca Tawadros recita infatti che le due Chiese «cercheranno, con tutta sincerità, di non ripetere il Battesimo amministrato in una delle nostre Chiese ad alcuno che desideri ascriversi all’altra». Tawadros è un riformista, vuole una collaborazione rispettosa coi cattolici mentre conserva l’identità ortodossa. Ma i suoi sforzi per proseguire il cammino ecumenico sono spesso vanificati da sentimenti di paura e di fierezza di vescovi e laici della sua Chiesa. Fra i laici ortodossi molti sono sulle posizioni conservatrici ereditate dagli anni di Shenouda, ma molti giovani sono favorevoli all’avvicinamento coi cattolici, vogliono poter scambiare le rispettive ricchezze. Per parte nostra, non ci sottraiamo alla sfida di continuare il cammino ecumenico nonostante le difficoltà, perché se ci fermassimo tornerebbero a crescere i sentimenti di ostilità fra cristiani di Chiese diverse. Che Dio benedica e assista le buone volontà che esistono dentro a tutte le Chiese egiziane.