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FASE 2

«No alle Messe». La CEI raccoglie quello che ha seminato

Doccia gelata sulla presidenza dei vescovi italiani: si attendeva la ripresa delle Messe con popolo il 10 maggio, invece il presidente del Consiglio Conte ha annunciato che il ritorno in chiesa è rinviato a data da destinarsi. Stizzito comunicato della CEI che finalmente si accorge che con la libertà di culto è la stessa Costituzione a venire calpestata. Date le misure di sicurezza, i vescovi potrebbero decidere in autonomia di riprendere le Messe con il popolo, ma avrà la CEI il coraggio di andare fino in fondo? O prevarranno le solite logiche politiche alla ricerca di un compromesso? Intanto molti laici e preti sono sul piede di guerra.
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Libertà religiosa 27_04_2020

Uno schiaffone così, duro, condito da una sottile presa in giro, da parte del “devoto” presidente del Consiglio Giuseppe Conte, il cardinale Gualtiero Bassetti non se lo sarebbe mai aspettato. Il “no alle Messe” tra i provvedimenti della cosiddetta fase 2 è stata una doccia gelata per il presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI), dopo che lo stesso Bassetti, non più di tre giorni fa, aveva annunciato trionfante «È ora di tornare a Messa»: era sicuro che il 10 maggio avrebbe visto, seppur con forti limitazioni, la ripresa delle Messe con popolo.

Negli ultimi giorni, i segnali in tal senso si erano moltiplicati: nell’intervista pubblicata da Avvenire il 23 aprile, il ministro dell’Interno Lamorgese esprimeva tutta la sua attenzione per il «tema dell’esercizio della libertà di culto» e assicurava che «in considerazione di un quadro sanitario in parziale miglioramento, sono allo studio del governo nuove misure per consentire il più ampio esercizio della libertà di culto». E ieri il vice-presidente della CEI, monsignor Mario Meini, sempre ad Avvenire si mostrava fiducioso pur avvertendo che ci sarebbero state molte restrizioni per garantire la massima sicurezza dal punto di vista sanitario. Vale a dire che la CEI aveva concesso moltissimo al governo in cambio della possibilità di dire che si riaprivano le Messe al popolo (in realtà a una sua rappresentanza).

E invece ieri nel tardo pomeriggio, mentre veniva annunciata la conferenza stampa di Conte per presentare il nuovo decreto che regola la fase 2, trapelava l’indiscrezione del no alle Messe, confermato poi dallo stesso presidente del Consiglio. Funerali solo con i parenti stretti fino a un massimo di 15 persone, «preferibilmente tenuti all’aperto», e per il momento niente Messe. La valutazione sulla possibilità di riprendere le «cerimonie religiose» (questa l’espressione usata da Conte) verrà fatta più avanti senza una scadenza precisa. Con i beffardi ringraziamenti di Conte alla CEI per la fattiva collaborazione prestata in questo periodo, a dare l’impressione che il «no alle Messe» fosse frutto di un accordo.

E invece no: neanche mezz’ora dalla fine della conferenza stampa e con una tempestività senza precedenti, la CEI rendeva noto un comunicato dai toni inusualmente forti, da amante tradita. Ma come? Abbiamo «accettato con sofferenza e senso di responsabilità, le limitazioni governative per fare fronte all’emergenza sanitaria»; «abbiamo avviato una interlocuzione continua e disponibile» con il ministro dell’Interno e con il presidente del Consiglio, a cui però abbiamo detto «in maniera esplicita che la Chiesa esige di poter riprendere la sua azione pastorale»; abbiamo presentato «Orientamenti e Protocolli con cui affrontare una fase transitoria nel pieno rispetto di tutte le norme sanitarie»; e voi ci trattate così?

Eh no, dice la CEI: «I Vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto».

Finalmente un sussulto di dignità, verrebbe da dire. L’avessero detto due mesi fa non saremmo a questo punto, anche perché le condizioni di sicurezza che si potrebbero applicare nella fase 2 si potevano tranquillamente applicare fin dall’inizio senza arrivare alla sospensione delle Messe. Peraltro le condizioni veramente necessarie per la celebrazione delle Messe mantenendo la sicurezza, non sono così complicate, come dimostrano le indicazioni presentate all’arcivescovado di Milano dal nostro epidemiologo Paolo Gulisano, sulla base delle conoscenze sul Covid-19 fin qui acquisite (clicca qui).

Conte ha subito replicato al comunicato della CEI, affermando in una nota che «prende atto» della protesta e promette che «già nei prossimi giorni si studierà un protocollo che consenta quanto prima la partecipazione dei fedeli alle celebrazioni liturgiche in condizioni di massima sicurezza». Un modo per prendere tempo, anche perché dalla conferenza stampa di ieri sera è parso evidente che a decidere veramente sulle misure da prendere non sono i ministri o il presidente del Consiglio, ma il Comitato tecnico-scientifico. E qui si evidenzia un errore clamoroso fatto dalla CEI: ovvero non avere insistito per avere un suo rappresentante in seno a questo Comitato e aver privilegiato la via politica pensando di poter contare sull’amicizia con il presidente del Consiglio. Calcolo evidentemente sbagliato. Ma la cosa peggiore è stato l’atteggiamento avuto fin dall’inizio nei confronti del governo: sottomesso e con lo zucchetto in mano a mendicare qualche concessione. Da servi si sono comportati, da servi vengono ora trattati.

La CEI sente anche il fiato sul collo della base: laici, preti e anche vescovi, già insoddisfatti per la resa senza condizioni nella fase 1, adesso sono già sul piede di guerra nei confronti di una presidenza della Conferenza Episcopale che agisce in modo verticistico e completamente staccata dal popolo che dovrebbe rappresentare (altro che sinodalità!).

Per questo deve anche provare a fare la voce grossa con il governo. La prima strada è un sottile ricatto. «Dovrebbe essere chiaro a tutti – conclude il comunicato CEI - che l’impegno al servizio verso i poveri, così significativo in questa emergenza, nasce da una fede che deve potersi nutrire alle sue sorgenti, in particolare la vita sacramentale». Come a dire: se volete che continuiamo ad aiutarvi nell’assistenza ai poveri, ridateci le Messe, anche perché senza popolo in chiesa non arrivano neanche i soldi (clicca qui).

E se il Comitato tecnico-scientifico non si lascia commuovere? Nel comunicato viene finalmente affermato un principio importante, che la Bussola ha sempre sostenuto fin dal principio, ma che finora la CEI aveva sempre ignorato: «Alla Presidenza del Consiglio e al Comitato tecnico-scientifico si richiama il dovere di distinguere tra la loro responsabilità - dare indicazioni precise di carattere sanitario - e quella della Chiesa, chiamata a organizzare la vita della comunità cristiana, nel rispetto delle misure disposte, ma nella pienezza della propria autonomia». In altre parole: il governo deve dirci la distanza da tenere tra le persone e che condizioni sono necessarie, poi all’interno della chiesa, con le persone che sono dentro, decidiamo noi cosa fare. È ciò che in fondo prevede la Costituzione.

Se la CEI vuole essere credibile deve dunque dare seguito a queste parole. Le Messe sono possibili fin da subito, nel rispetto delle condizioni di distanziamento sociale poste dal governo. Basta seguire le disposizioni cui abbiamo già fatto riferimento (clicca qui). Vuol dire chiamare alla rivolta? No. Sarebbe semplicemente una riaffermazione della propria libertà e della propria sovranità, che il governo tecnocratico sta calpestando insieme alla Costituzione. E il popolo certamente seguirebbe.

Avranno i vescovi il coraggio di andare fino in fondo? Speriamo di sì, ma temiamo di no; temiamo cioè che alla fine nella CEI prevalga il solito mercanteggiamento politico alla ricerca di un compromesso. L’unica possibilità è un forte movimento dal basso, laici e preti che facciano pressione sui rispettivi vescovi per difendere la libertà religiosa, mai così a rischio prima in Italia.