No a Maria Corredentrice, il Vaticano fa confusione
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Inappropriato parlare di Corredenzione, sentenzia il Dicastero per la Dottrina della Fede. Quel titolo, usato più volte da san Giovanni Paolo II, per Fernández rischia di «oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo». Ma di oscuro c'è solo l'ennesimo documento che confonde invece di chiarire, a partire da una ricostruzione scorretta che minimizza il contributo di santi e teologi.
- L'interventismo di Fernández per "blindare" la Madonna, di Stefano Chiappalone
Martedì 4 novembre, il Dicastero della Dottrina della Fede ha pubblicato una Nota dottrinale di 80 paragrafi, approvata da papa Leone XIV, nella quale ci viene spiegato che «considerata la necessità di spiegare il ruolo subordinato di Maria a Cristo nell’opera della Redenzione, è sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria» (§ 22, corsivo nel testo). Sempre inappropriato ci dicono dal Dicastero; almeno per i lettori delle principali lingue in cui è stato pubblicato il documento, perché il testo inglese si limita ad un «it would not be appropriate», omettendo l’avverbio e preferendo il condizionale. Ma siccome qualcuno deve aver deciso che l’originale dei documenti della Chiesa non si debba più scrivere nella lingua latina, è lasciato alla preferenza dei lettori quale versione scegliere.
Appena tre giorni prima, sabato 1° novembre, Leone XIV proclamava san John Henry Newman dottore della Chiesa. Piccolo dettaglio: Newman era uno di quelli che aveva difeso la possibilità di utilizzare il titolo di Corredentrice. La proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione (1854) aveva turbato, tra gli altri, il mondo anglicano. L’amico e compagno di John Henry Newman nell’avventura dell’Oxford Movement, Edward B. Pusey, formulò le obiezioni del mondo anglicano nell’Eirenicon, al quale Newman rispose con la nota Letter to the Rev. E. B. Pusey on his recent Eirenicon, che costituisce il trattato mariologico per eccellenza di Newman. Pusey si lamentava che la corredenzione non era affermata «in isolati passi di un autore devozionale […], ma nelle risposte formali indirizzate da Arcivescovi e Vescovi al Papa in merito a ciò che essi auspicano riguardo alla dichiarazione dell’Immacolata Concezione come articolo di fede» (An Eirenicon, London, 1865, pp. 151-152). Ed aggiungeva con disappunto che «questa dottrina, a cui qui si allude, è elaborata dai teologi cattolici romani di ogni scuola».
Newman era ben consapevole della conoscenza approfondita che Pusey aveva dell’insegnamento dei Padri della Chiesa; era perciò sorpreso del fatto che egli potesse accusare il mondo cattolico di una “quasi idolatria” nei confronti della SS. Vergine, a motivo dell’abbondanza di titoli onorifici e di densità teologica attribuiti alla Madonna, perché era proprio la «Chiesa indivisa», a cui Pusey si appellava, ad essere tanto generosa nei titoli mariani. «Quando si vede che Lei, con i Padri, dà a Maria i titoli di Madre di Dio, seconda Eva e Madre di ogni vivente, Madre della vita, Stella del mattino, mistico nuovo Cielo, Scettro dell’ortodossia, tutta immacolata Madre della santità, e simili, la gente potrebbe interpretare come una misera contropartita per tale modo di esprimersi le sue proteste contro chi dà a Maria il titolo di Corredentrice e Sacerdotessa».
Mai Newman avrebbe pensato che sarebbe arrivato un giorno in cui si sarebbe dovuto difendere il titolo di Corredentrice di fronte non ad un anglicano, ma al prefetto dell’ex-Sant’Uffizio. Nientemeno. La ragione per cui il Dicastero cassa il titolo di Corredentrice è la sua potenzialità di generare «confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana, perché “in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati”» (At 4,12). E ancora: «il pericolo di oscurare il ruolo esclusivo di Gesù Cristo […] non costituirebbe un vero onore alla Madre». Affermazioni non originali, dal momento che sono tipiche delle obiezioni protestanti, ma di certo molto curiose in un documento ufficiale che si propone di rispondere a questioni che risveglierebbero «con frequenza, dubbi nei fedeli più semplici»; sì, perché nell’epoca della gestione Fernández, le Note dottrinali non esistono più per chiarire ciò che potrebbe apparire confuso, ma per rendere confuso ciò che era già chiaro.
Logica richiederebbe infatti che, se un termine che si è ormai ampiamente diffuso – non solo nella devozione dei fedeli, ma anche negli interventi papali ed episcopali e nei documenti ufficiali della Chiesa (si pensi ai due decreti, rispettivamente del 1913 e del 1914, del Sant’Uffizio) –, viene eventualmente frainteso in modo non conforme alla retta dottrina, la Santa Seda intervenga per chiarire e confermare, non per alimentare ulteriormente il fraintendimento e liquidare un titolo che si è ormai affermato a livello teologico e magisteriale.
Perché chiunque abbia una minima conoscenza di come si è sviluppata la riflessione teologica intorno alla corredenzione mariana e delle sue precisazioni fondamentali, sa bene che essa non sostiene una redenzione parallela a quella di Cristo, né una necessità assoluta della collaborazione mariana (de condigno) per la Redenzione, e neppure che Maria SS. non abbia avuto bisogno di essere redenta dal Verbo incarnato, suo Figlio. Tutti aspetti già ampiamente assodati, ma che Tucho & C. preferiscono continuare a fingere che siano confusi e pericolosi.
La Nota arriva pure a presentare un criterio, tratto da non si sa dove, che sarebbe semplicemente esilarante, se non fosse tragicamente presente in un documento ufficiale della Santa Sede: «Quando un’espressione richiede numerose e continue spiegazioni, per evitare che si allontani dal significato corretto, non serve alla fede del Popolo di Dio e diventa sconveniente». Bisognerebbe chiedere al card. Fernández e a mons. Matteo se credano realmente a quanto hanno scritto; perché, seguendo questo principio, bisognerebbe ritrattare praticamente tutti i dogmi mariani. E non solo. Forse che il titolo di Theotokos non richiese – e continua a richiedere – numerose e continue spiegazioni? Forse che il dogma dell’Immacolata Concezione non dev’essere continuamente spiegato per evitare di pensare che la Madonna sia esente dalla redenzione di Cristo? Le formulazioni del dogma trinitario o di quello cristologico non richiedono anch’esse «numerose e continue spiegazioni»? Sarebbero per questo «sconvenienti» e non utili alla fede del Popolo di Dio? Il principio enunciato dalla nota, costituisce di fatto la tomba di ogni definizione dogmatica e della stessa teologia.
Del tutto scorretta è poi la presentazione della storia della dottrina della corredenzione. Lo straordinario contributo di numerosi santi e teologi viene liquidato in appena un paragrafo (§ 17), segno piuttosto evidente che l’intenzione della Nota non era certo quella di fare il punto della situazione, ma di colpire la corredenzione. Altra liquidazione si registra nel misero accenno all’insegnamento dei pontefici, in particolare di san Giovanni Paolo II; salvo poi dedicare due ampi paragrafi alla posizione di Ratzinger (ancora cardinale).
La ragione di questa selezione non è difficile da cogliere: Ratzinger sarebbe, insieme a papa Francesco, a cui viene dedicato l’intero paragrafo § 21, l’auctoritas per sostenere che il titolo di Corredentrice sarebbe inappropriato. A ben vedere, nel votum del 1996, in qualità di Prefetto della CDF, Ratzinger non rifiutava il titolo, ma riteneva che la riflessione teologica non fosse ancora matura per attribuire alla Madonna il titolo di Corredentrice e Mediatrice; la sua contrarietà al titolo, invece, riguarda una semplice intervista del 2002 (nella quale, tra l’altro, si dichiarava favorevole alla dottrina di fondo, come espressione del fatto che Cristo voglia condividere con noi tutto, anche il suo essere redentore). Ma un votum ed un’opinione vengono favorite nella Nota piuttosto che, per esempio, la presentazione del più sistematico insegnamento di Giovanni Paolo II sulla corredenzione mariana; il pontefice polacco (come i predecessori) non aveva poi minimamente esitato ad utilizzare più volte anche quel titolo che adesso Tucho ci spiega essere sconveniente e inappropriato. Giovanni Paolo II, evidentemente, si divertiva ad «oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo».
Ancora una volta, il cardinale Fernández si conferma come un fabbricatore seriale di dubbi e pasticci, come già accadde per le risposte ad alcuni dubbi sollevati da Amoris Lætitia, per le benedizioni alle coppie omo, per la pena di morte e la dignità umana. Doveva essere il primo prefetto da silurare con il nuovo pontificato, ed invece lo ritroviamo ringalluzzito a proseguire la propria opera di confusione. Al male è stato ancora concesso tempo per sfidare la pazienza divina e mettere alla prova la fede dei cristiani.
Apparizioni, il paradigma Fernández slega fede e ragione
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Apparizioni e miracoli, Fernández distorce Benedetto XVI
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Nel documento che intende offrire alcuni chiarimenti rispetto a Dignitas infinita, il prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede inciampa nell’errore di ritenere che la persona umana possa avere dignità "infinita”. Ma questa può essere riferita solo a Dio, mentre la nostra è incommensurabile.
Apparizioni mariane, nuove norme per negare il soprannaturale
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Le nuove norme sulle apparizioni fanno a pezzi l'apologetica
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L'interventismo di Fernández per "blindare" la Madonna
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