Nino, il coiffeur che cambia il look (e la vita) ai clochard
Nino è un parrucchiere-volontario dei senza fissa dimora, è convinto che a chi ha di meno dovremmo dare il nostro meglio. Lui fa barba e capelli ai poveri presso il Rifugio Caritas della Stazione Centrale, ex-dormitorio di fratel Ettore, ora ristrutturato. Un taglio e una remise en fome che possono cambiare la vita.
«Ai poveri, a chi non ha una casa non possiamo dare abiti smessi, camicie logore e fuori moda, no, a queste persone dovremmo regalare i nostri vestiti più belli nel tentativo di restituire loro un guizzo di gioia», ha detto qualche anno fa la trasgressiva e irriverente artista Carol Rama, a Torino, nel corso di incontro informale con intellettuali e pittori. Una Robin Hood laica e dark in odore di giustizia sociale? Diciamo che non è l’unica a pensarla così. Anche il coiffeur Nino, parrucchiere-volontario dei senza fissa dimora, è convinto che a chi ha di meno dovremmo dare il nostro meglio. Autenticità e non “finzione”. «Da circa due anni faccio il parrucchiere dei senzatetto, esercito questa professione presso il Rifugio Caritas della Stazione Centrale di Milano, quello di via Sammartini 116, ex-dormitorio di fratel Ettore, ora ristrutturato. Qui seguo il metodo utilizzato in salone: mostro a ogni clochard, che per me è un cliente anche se non paga, quali fra i tagli alla moda sono i più adatti al suo viso. Poi lascio che lui scelga spiegando nel dettaglio in che modo adatterò quella certa pettinatura ai suoi lineamenti».
Fare l’hair stylist di chi ha perso tutto casa-lavoro-famiglia è un servizio, un servizio ancora più sfidante di quello routinario con gli habitué dei centri bellezza. Chi ha vagabondato mesi, anni, chi ha provato il disprezzo degli altri, chi è isolato, ha più carattere e personalità. Sembra un paradosso, ma è quanto si tocca ogni giorno con mano, se si fa il mestiere di Nino. Proprio per questo persone così hanno più bisogno che il coiffeur abbia nei loro confronti attenzione, cultura, naturalezza. «Non è stato facile trovare l’acconciatura corta giusta per Paolo, 38 enne, separato, sette mesi di vita in automobile con un ex taglio a spazzola in disfacimento o per Matthieu, 25 anni della Costa d’Avorio con riccioli-Africa da mesi non trattati con shampoo e o ancora per Gaetano, over50, look iper-classico da Napoli-centro. É proprio qui nell’ex-dormitorio di Fratel Ettore dove si ricoverano i più disperati, i più soli, quelli dall’aspetto sgualcito che uno stilista può mettere alla prova le sue competenze», dice Nino. Sì, regalare uno stile, una forma a capigliature incolte, districare ciuffi di capelli sparsi e stopposi è un’arte che richiede più creatività, entusiasmo e tanta virtuosistica pazienza professionale.
«Un parroco di montagna dove qualche volta andavo a Messa con mio figlio diceva che un cristiano ha il dovere di mettere un segno più nelle situazioni in cui si trova. Ed è quel che cerco di fare rendendo belli e di nuovo degni di uno sguardo e di un sorriso coloro che non hanno neppure più un posto dove dormire», continua Nino. Il coordinatore del Rifugio Luca Valisi spiega che molti, dopo il segno più del parrucchiere, hanno trovato lavoro: spesso, infatti, nel nostro mondo patinato, basta rimuovere lo stigma sociale determinato da un aspetto disordinato per rimontare la china. Non solo, a volte, sono sufficienti due ritocchi per mettere in moto la macchina psicologica che spinge a rovesciare in positivo la sorte. Un cambiamento del proprio aspetto aiuta ad acquisire maggior fiducia in se stessi e nelle proprie capacità, indispensabili premesse per una nuova vita. Lo sprint che viene da una piega è un ottimo carburante. «La conferma mi viene dalle conversazioni che faccio durante la remise en forme: all’inizio i “clienti” mi parlano con drammaticità delle loro tribolazioni. Poi, man mano che il taglio prende forma, il racconto si alleggerisce e carica di speranza. C’è chi, proprio durante la seduta comincia a fare progetti e me li sottopone. Un ragazzo egiziano voleva riciclarsi nelle professioni d’aiuto: gli sarebbe piaciuto dare una mano a smistare i vestiti da distribuire ai poveri, un giovane italiano appassionato di cucina desiderava riprendere gli studi da pasticcere».
L’egiziano e l’italiano ce l’hanno fatta anche perché si sono presentati ai colloqui di formazione professionale e poi di lavoro con un aspetto di nuovo gradevole. Come loro anche altri sono stati favoriti dall’aspetto più decoroso nella ricerca di una occupazione. Il “Salone”, anche se viene allestito due volte alla settimana al Rifugio, non è un negozio qualsiasi, sottintende un’atmosfera e una relazione diversa fra chi dà e chi riceve il servizio. «Nello specchio di Nino mi sono visto diverso, più simile, forse, a quel che sono realmente: dopo il taglio ho ripreso a studiare informatica con il pc del Rifugio e ora lavoro. Potrei dire che ho ricominciato a vivere», racconta Ernesto, clochard da tre anni.