Nigeria, popolo in trappola
Il governo nigeriano respinge sdegnosamente l'idea di un intervento internazionale per combattere le milizie islamiche di Boko Haram. Eppure gli ultimi drammatici eventi dimostrano proprio che l'esercito nigeriano, da solo, non ce la fa. I vescovi nigeriani non condannano tanto l'insensibilità dell'Occidente, quanto quella del loro governo.
“La Nigeria non ha bisogno di truppe né delle Nazioni Unite né dell’Unione Africana per far fronte a Boko Haram. Nel nord est del paese è concentrato quasi il 50% dell’esercito nigeriano, il che dimostra con quanta serietà il governo stia affrontando la situazione”. Il 23 gennaio, con queste parole, il consigliere alla sicurezza nazionale Sambo Dasuki ha chiarito che cosa ne pensa il governo nigeriano di eventuali interventi militari stranieri.
La Nigeria “è perfettamente in grado di risolvere da sola il problema islamista, al pari dei vicini Niger, Camerun e Ciad” ha aggiunto Sambo Dasuki parlando ai giornalisti della Bbc. Caso mai, ha insistito, sono l’ONU e l’UA ad aver bisogno dei militari nigeriani “che difatti costituiscono il grosso dei caschi blu impegnati nelle missioni di peacekepping in Africa”.
Che il governo nigeriano non intenda ammettere truppe straniere sul proprio territorio è confermato dal fatto che la forza multinazionale composta da Nigeria, Ciad, Niger e Camerun di cui si è parlato nei giorni scorsi durante un summit svoltosi a Niamey, capitale del Niger, avrà il suo quartier generale non in Nigeria, bensì a N’Djamena, la capitale del Ciad: se mai finalmente vedrà la luce, dopo quasi un anno che la comunità internazionale preme inutilmente affinché i quattro paesi uniscano le forze.
Quel che è successo nel frattempo smentisce le affermazioni del governo nigeriano. Nell’anno trascorso Boko Haram ha conquistato un territorio vasto più del Galles creandovi un califfato e ha moltiplicato attacchi e attentati in un crescendo di violenza di cui hanno fatto le spese migliaia di nigeriani morti trucidati e centinaia di migliaia di sfollati e profughi. Il mondo che piangeva le vittime di Parigi ha appreso sbigottito che in Nigeria negli stessi giorni centinaia, forse migliaia di persone erano state uccise in poche ore in una cittadina, poi ridotta in macerie, e che altre decine erano morte in una serie di attentati dinamitardi messi a segno utilizzando delle bambine involontariamente suicide, mandate a morire imbottite di esplosivo.
È in questo clima che i vescovi nigeriani hanno fatto sentire la loro voce. Per primo ha parlato Ignatius Ayau Kaigama, arcivescovo di Jos, capitale dell’omonimo stato, e presidente della Conferenza episcopale nigeriana. Intervistato dalla Bbc, “non c’è speranza – ha detto – se potessimo fermare Boko Haram, l’avremmo già fatto e invece loro continuano ad attaccare, a uccidere, a conquistare dei territori, del tutto indisturbati”. Ha poi spiegato che la comunità internazionale dovrebbe essere unita e determinata: sempre, “non solo quando qualcosa succede in Europa, ma anche quando succede in Nigeria, in Niger, in Camerun. Dobbiamo mobilitare tutte le nostre risorse internazionali contro chi arreca tanto dolore”.
In una successiva intervista rilasciata all’agenzia Fides, Monsignor Kaigama ha rinnovato il suo appello all’unità internazionale. Ma, ha detto, prima ancora “occorre unità all’interno del mio paese perché tutti sono in pericolo, cristiani e musulmani: penso alla grande manifestazione di Parigi e auspico anche qui una grande marcia di unità nazionale che superi le divisioni politiche, etniche e religiose. Dobbiamo dire no alla violenza e trovare una soluzione ai problemi che affliggono la Nigeria”.
Pochi giorni dopo, il 20 gennaio, ha preso la parola Monsignor Oliver Dashe Doeme, vescovo di Maiduguri, capitale del Borno, lo stato nord orientale ormai in gran parte sotto il controllo di Boko Haram. Intervistato da Aiuto alla Chiesa che soffre, ha dichiarato: “per sconfiggere Boko Haram ci vuole un intervento militare da parte dell’Occidente”, una campagna con truppe di terra e forze aeree, sul modello di quella intrapresa in Mali dalla Francia nel 2013, che ha rapidamente fermato i gruppi armati legati ad al Qaeda.
Quasi tutti hanno interpretato le parole dei vescovi nigeriani come una denuncia dell’Occidente che ignora la minaccia rappresentata da Boko Haram e assiste inerte al dramma della Nigeria. Ma la loro richiesta di aiuto alla comunità internazionale suona piuttosto come un atto di accusa contro il governo, la classe politica, i militari nigeriani. Boko Haram ha sostenitori tra i politici, nell’esercito e nei servizi segreti. La corruzione, diffusa a ogni livello dell’apparato statale e militare, demoralizza le truppe, dirotta il denaro destinato al settore militare, persino armi e munizioni spariscono dalle caserme, venduti dagli ufficiali.
Il 3 gennaio, dopo 16 ore di combattimenti, i militari nigeriani sono fuggiti, sconfitti dai miliziani di Boko Haram, lasciando nelle loro mani la base militare di Baga. Alcuni giorni or sono Abubakar Shekau, il leader di Boko Haram, ha dichiarato di aver prelevato nella base armi sufficienti ad “annientare la Nigeria”.
Un popolo in trappola, indifeso va “verso un futuro oscuro”, per usare le parole di Monsignor Doeme. Il 23 gennaio il direttore di Caritas Nigeria, padre Evaristus Bassey, ha lanciato a sua volta un appello al mondo affinché si prenda cura, più di quanto già non faccia, delle persone scampate alla violenza di Boko Haram: molti non hanno più una casa a cui tornare, tutti hanno bisogno di aiuto. Vivono in condizioni insostenibili in campi improvvisati, devono molto alla generosità delle comunità disposte a ospitarli: “pagano – ha spiegato all’agenzia di stampa Misna padre Bassey – la mancanza di pianificazione dell’assistenza da parte del governo nigeriano” che tutt’al più “si limita a curare la distribuzione di razioni alimentari senza preoccuparsi di garantire ripari adeguati e campi di accoglienza vivibili”.