Nigeria, l'industria dei sequestri degli studenti
Nigeria, aveva fatto scalpore, nel 2014, il rapimento di massa di 274 allieve di un collegio, da parte dei guerriglieri jihadisti di Boko Haram. Da allora i rapimenti sono aumentati esponenzialmente. L'ultimo, in una scuola di Kaya, è avvenuto alla luce del sole. Ma il jihad non c'entra più. Quello dei rapimenti è ormai un'industria.
Forse in Afghanistan le bambine non potranno più andare a scuola, adesso che il Paese è in mano ai Talebani. Nello Zamfara, uno dei 36 stati della federazione nigeriana, dal 2 settembre a scuola non va più nessuno. Tutti gli istituti scolastici pubblici e privati, di ogni ordine e grado sono stati chiusi per ordine del governatore dello Stato dopo il nuovo rapimento di massa di studenti verificatosi il 1° settembre, l’ultimo di una lunga serie iniziata nel dicembre del 2020 quando nello Stato del Katsina, confinante con quello del Zamfara, uomini armati hanno attaccato nella notte dell’11 dicembre un collegio maschile che ospitava 800 studenti e sono riusciti a portarne via 344. Da allora negli Stati nord-occidentali della Nigeria sono stati rapiti più di 1.100 allievi di scuole elementari e secondarie e di scuole coraniche.
Dapprima si era pensato ad azioni di Boko Haram, il gruppo jihadista che combatte per imporre la legge coranica in Nigeria, o di gruppi armati ad esso collegati. Boko Haram è responsabile del sequestro di migliaia di persone: tutto il mondo occidentale si è mobilitato nel 2014 quando, nello Stato nord-orientale del Borno, ha rapito 274 studentesse in un collegio, gran parte delle quali sono ancora nelle mani dei jihadisti. Boko Haram però non si è mai spinto così lontano dalle sue basi situate all’estremità nord-orientale del paese, neanche quando, prima del 2016, era in grado di condurre attacchi e attentati su un territorio molto più esteso di quello attuale. D’altra parte si è presto capito che non si trattava di jihad, ma di sequestri a scopo di estorsione, un tipo di reato molto diffuso in tutta la Nigeria, ma che di solito colpisce singole persone, mentre nel nord ovest del paese ha assunto soprattutto la forma di rapimenti di massa approfittando dell’inerzia delle forze di sicurezza e della corruzione endemica.
All’inizio gli uomini armati colpivano i collegi, arrivavano di notte a bordo i motociclette e furgoni, sparando a raffica, seminavano il panico, neutralizzavano con facilità i guardiani notturni. Il 1° settembre invece hanno agito alla luce del sole, hanno raggiunto poco dopo le 11 di mattina la scuola secondaria di Kaya, un piccolo centro urbano, e indisturbati sono ripartiti portando con sé chi dice 73 chi dice 100 studenti, quasi tutte ragazze di età compresa tra 14 e 19 anni, e un insegnante. Il sequestro è avvenuto a pochi giorni dalla liberazione di diversi ostaggi, rapiti in tre diversi attacchi, alcuni dei quali molto piccoli: sembra che uno abbia solo quattro anni. Anche cinque delle ragazzine rapite a Kaya sono già state liberate e riconsegnate alle famiglie. Secondo l’Unicef inoltre 23 altri studenti sono riusciti a scappare. Anche loro sono già tornati a casa, ma per due si è reso necessario il ricovero in ospedale perché feriti da armi da fuoco, forse mentre si davano alla fuga.
Su chi paghi i riscatti e sull’ammontare non c’è chiarezza. Per certo ci sono stati casi in cui i governi si sono fatti carico di pagare i riscatti di intere scolaresche. Questo ha sollevato critiche da parte di chi sollecita piuttosto un impiego massiccio di agenti e se necessario di militari e ritiene, non a torto, che se le autorità accettano le condizioni dei sequestratori, non si metterà mai fine ai rapimenti. Lo scorso marzo il presidente della repubblica Muhammadu Buhari ha detto ai governatori di smettere di pagare perché questo avrebbe fatto aumentare i sequestri. Ma circa 300 studenti sono ancora nelle mani dei rapitori e inoltre i sequestri continuano. Così centinaia di genitori disperati racimolano tutto il denaro che possono, lo chiedono in prestito a parenti, amici e, se non basta, a degli strozzini, vendono casa, la macchina, se ne hanno una, terreni e qualunque altra cosa di loro proprietà pur di rivedere i figli.
L’agenzia Reuters il 24 agosto ha riportato il caso degli oltre 130 ragazzi rapiti lo scorso maggio durante un attacco in pieno giorno alla scuola islamica Salihu Tanko di Tagina, nello Stato del Niger. Sette sono figli di una coppia, Abubakar Adam e sua moglie. Vendendo la macchina e un appezzamento di terra e con tutti i suoi risparmi, Abubakar ha messo insieme tre milioni di naira, circa 7.300 dollari. Il padre di un ragazzino rapito nella stessa scuola, Aminu Salisu, ha prelevato anche lui tutti i risparmi e ha venduto l’intera merce del suo negozio. Suo figlio ha solo otto anni. Il proprietario della scuola ha svenduto metà dei suoi terreni. Gli abitanti di Tagina – genitori dei ragazzi rapiti, parenti, amici… – hanno raccolto 30 milioni di naira. Poi hanno affidato il denaro a persone di fiducia che sono andate nella foresta e hanno consegnato i riscatti secondo gli accordi presi con i rapitori, i quali hanno intascato il denaro, ma li hanno rimandati indietro con la richiesta di altro denaro e in più sei motociclette.
Il centro studi nigeriano SBM Intelligence calcola che dal 2011 al 2020 le bande di sequestratori abbiano guadagnato più di 18 milioni di dollari, “un flusso di denaro che ha prodotto un flusso di nuovi sequestratori” Bulama Bukarti, dell’Institute for Global Change di Tony Blair, stima che ormai nel nord ovest i criminali che si dedicano ai sequestri di persona siano circa 30mila. Alla Reuters ha dichiarato: “è l’attività più fiorente, più redditizia della Nigeria. Il sequestro di persona è diventato l’occupazione preferita dei giovani in un periodo di crisi economica, inflazione a due cifre e disoccupazione al 33%”.