Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
Santa Francesca Saverio Cabrini a cura di Ermes Dovico
IL LIBRO DI COSTANZA MIRIANO

"Niente di ciò che soffri andrà perduto": provare per credere

La croce può essere la via della pienezza: l'ultimo libro di Costanza Miriano, "Niente di ciò che soffri andrà perduto. Misitica della vita quotidiana", fa venir voglia di vedere cosa può accaderti se decidi di accogliere (l'autrice spiega come) ciò che il mondo rigetta: la sofferenza che ti accade, la delusione di una vita in cui ti sembra che i giochi siano fatti. Perché nel leggere quanto è successo a Caterina, Gabriella, Cristina, e altre ancora, quando lo hanno fatto, viene persino invidia.

Cultura 08_09_2020

Non sono molti i libri che riescono nell'impresa di vincere la paura feroce che normalmente afferra ogni uomo, da quando esiste il peccato originale, all'ipotesi che debba smettere di controllare la propria vita per cedere il timone a Chi l'ha creata.

L'ultimo libro di Costanza Miriano, "Niente di ciò che soffri andrà perduto. Misitica della vita quotidiana" (Sonzogno), riesce invece nell'intento, perché fa venire voglia di essere santi, cioé felici. Ma non della felicità da copertina patinata che propone il mondo (che poi scava, scava dietro carriere riuscite, bellezza e fama si nasconde spesso la disperazione del non senso), bensì dell'unica che non ti deluderà e che quindi ha un prezzo altissimo (è la regola dello shopping: più costa, più sai che dura e funziona): la croce. Una croce che abbracciata, fa di te, come lo scalpello di Michelangelo, "un'opera d'arte".

E' così che Costanza smonta il tabù dei tabù della nostra epoca, che poi è la ragione per cui quasi tutti i suoi libri su matrimonio, sottomissione e obbedienza sono stati attaccati e a volte persino banditi: la sofferenza non è che viene appena permessa, ma è necessaria a Dio per regalarci la pienezza divina. Per trasfigurarci. C'è quindi una croce voluta da Dio, disegnata per ciascuno di noi. Non è che te la vai a cercare, ma se capita va accolta come la strada per godere della vista sulle vette dell'Everest. E non è che il male non sia più tale, ma è che accettato per amore si trasforma nel suo opposto.

Questa è, in sintesi, la tesi del libro, convalidata da prove e fatti reali, le storie delle sue numerose amiche necessarie a dimostrare che, per vivere come chicchi di grano che muoiono e danno frutto, bisogna guardare i santi fra noi (in cielo e sulla terra) che ci sono già riusciti: "Io non so come si faccia. Però, ho visto loro", ammette Costanza. Oppure, parlando di come la sua amica Caterina accettando di non ascoltare i suoi desideri disordinati, per cui si era invaghita di un uomo che non era il suo depresso marito, si è trasformata in un essere meraviglioso, spiega che "vorrei tanto somigliarle, o almeno stare con lei tutto il tempo, non so, abitare casa sua, nascondermi sotto la sua ascella...". 

Il metodo è quindi "la compagnia dell'agnello", come l'aveva definita in un altro suo libro ("Obbediere è meglio"), ossia quello della convinvenza con chi, carnalmente, ti ricorda come si fa a vivere, morire e risorgere al pari di Cristo. E che a differenza dello yoga, della meditazione o del reiki non ti promette di stare nella pace nonostante il peso della vita da cui evadere, ma ti mostra come esserelo proprio nelle contraddizioni della giornata, degli amici, della famiglia, ma soprattutto nelle tue, ché si sa che la parte più difficile da accettare e consegnare a Dio sono i propri limiti e le scaramuccie quotidiane (motivo per cui Costanza fa dell'ironia a riguardo costringendoti ad una risata mentre gli occhi sono ancora lucidi per aver appena letto aneddoti della vita della beata Benedetta Bianchi Porro). 

Oltre alla convivenza con questi santi, occorre poi pregare, coltivare una relazione seria e quotidiana con Dio, e anche far pregare quando la tempesta impazza e "Radio Satana" (come Costanza chiama l'opera quotidiana del diavolo tentatore) continua a suggerirti che Dio ti vuole fregare e che è meglio disobbedire, evitare le mortificazioni e cedere alla seduzione di immaginarti come sarebbe migliore la tua vita se fosse diversa. Altrimenti, se ci casci, presto o tardi, la mela del serpente perderà la sua attrattiva per farti precipitare nella dissoluzione, perché appunto era solo una mela. Caterina, ne è la prova, perché è risucita a morire e poi risorgere non scappando dalla sua vocazione, pregando e aggrappandosi a Dio. Ma anche perché "tanti amici l'hanno difesa e hanno pregato per lei. In questi momenti di tentazione è fondamentale chiedere ad alcune persone di proteggerti. E' importantissimo, anche, che qualcuno ti spoileri il finale e ti apra gli occhi. Ci vuole qualcuno che sappia tutta la verità perché tu sia custodito nel combattimento". 

Tutto il libro di Costanza è pieno di storie che ci riguardano, di pensieri femminili che assalgono ciascuna di noi (scoprendo che non sono solo tuoi, il che ha del terapeutico), di esercizi e allenamenti necessari a non cedere alla forza della marea per poter passare all'altra e più bella riva. Perché, scrive Costanza, se "sulla teoria sono preparata", la teoria non basta: "C'è il lavoro che solo la grazia può fare: chiedere lo Spirito Santo, chiedere di amare lo sposo come Cristo lo ama, chiedere di accogliere...". A dire che a noi povere creature è difficile amare "quando lo strozzeresti, quando non ti ascolta, quando sembra godere nel sottolineare tutte le tue mancanze, perché un matrimonio è fatto anche di queste povertà". Eppure Gabriella ci è riuscita persino quando il marito se né andato di casa con un'altra, prima ribellandosi ma poi seguendo l'esempio di un'altra beata, Elisabetta Canori Mora, il cui sacrificio estremo (mai parlò male del marito, sempre pregò per lui e non solo) ha portato lei al solo sposalizio che non prevede delusioni e lui alla conversione per cui, morta la moglie, divenne un frate con la fama di santo.

Costanza spiega poi quale sia la "manutenzione" neccessaria affinché un matrimonio (e ogni relazione) non solo non invecchi, ma diventi più giovane e bello con il passare del tempo. E anche qui le mortificazioni non sono poche. Anzi forse sono le più dure da accettare, quelle prive di eroismo, perché riguardano il sì quotidiano alle lavatrici, ai pannolini, alle ore nel traffico, al marito che non ti ascolta o sceglie il mutismo. Anche se poi ogni avversità, piccola o grande, conviene accoglierla, perché "tanto le cose succedono lo stesso", anche se cerchi di scansarle: "Puoi rimanere intrappolato nel combattimento tutta la vita" e rimanere nell'inquietudine perenne "o puoi aderire" con tutti i suoi vantaggi.

La parte più convincente resta infatti il risultato certificato da Costanza: donne che morendo a sé stesse diventano non solo dei giganti che tutti vorremmo imitare ma persino più belle e affascinanti di Giselle Bundchen (Benedetta in punto di morte emanava luce). Perché finalmente riescono a guardare in faccia Dio, come fa Paola, "scorticata viva" dal dolore innocente dei suoi figli: l'incontro con Lui infatti non avviene se lo vogliamo, si legge ancora, ma solo se "spezziamo il nostro ego" che ci impedisce di guardare altro da noi stessi.

Così, "per un mistero che non so spiegare, il dolore è l'amicizia fra l'anima e Dio". Non sappiamo perché, ma la Croce, se accolta, è "il portone d'accesso all'incontro con Dio", con la Bellezza, l'Amore, la Verità, la Giustizia e il cristiano lotta ogni giorno "per cambiare mentalità riguardo ad essa", "per convincersi che non è uno strumento di tortura...ma di liberazione". Come dicono, appunto, le vite di Caterina, Gabriella, Paola e tante altre, confermando quello che scrisse il filosofo Emmanuel Munier: "Le spiegazioni non diminuiscono il grande scandalo della sofferenza. La sua grandezza sta nell’accettazione.(...) si tratta di un segreto inquietante della Provvidenza. Non ci resta altro che amare, amare Dio per quello che fa, e amare intensamente quelli che Egli spezza per amore. Io mi sento piccolo di fronte a loro...Non si è veramente grandi...fino a quando la vita non ci mette alla prova rifiutandoci nettamente, senza appello, qualcosa cui si aspira con tutto il proprio essere”.