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IL LIBRO/ LA GRANDE BUGIA VERDE

Nicola Porro smonta la grande bugia verde, facendo parlare scienziati

È a repentaglio il nostro sistema di vita. È questa la tesi del recente saggio La grande bugia verde di Nicola Porro, corroborata dalle voci degli scienziati.

Cultura 30_08_2024
Il libro di Nicola Porro: La grande bugia verde

«Non c’è campo della nostra vita che non sia contagiato dalle certezze green. Come ci spostiamo, come ci divertiamo, come mangiamo, come viviamo, come spendiamo, come ci curiamo, come cresciamo i nostri figli, tutto è condizionato da un racconto che non osiamo o non abbiamo voglia di mettere in dubbio». Così il giornalista Nicola Porro introduce il suo saggio La grande bugia verde (Liberliberi 2024, pp. 247), nel quale raccoglie una serie di contributi di scienziati autorevoli silenziati dal ‘politicamente corretto’ per smascherare, con dati reali, i luoghi comuni più diffusi sull’allarmismo climatico che, accusando di negazionismo i dissenzienti, di fatto «vuole impedire alla scienza di mettersi sempre in dubbio e discussione».

La tesi mainstream secondo cui la riconduzione all’uomo e le sue emissioni basti a spiegare la complessità del clima non regge affatto sul piano scientifico. Il clima cambia, ma è sempre cambiato, anche «indipendentemente dalla presenza dell’uomo». Inoltre non bisogna commettere l’errore grossolano di identificare il clima con il meteo, come spesso pure fanno intenzionalmente i media, dimenticando piuttosto che è necessario considerare il valore medio nell’arco di trent’anni di tempo meteorologico per ottenere un dato utile per comprendere l’andamento climatico. Il riscaldamento globale è ormai un dogma talmente indiscutibile che a Milano gli sono state attribuite persino le buche delle strade, come l’esigenza di non tagliare il verde pubblico in nome della tutela della biodiversità.

Eppure i modelli climatici che lo annunciano sono inadeguati perché escludono variabili fondamentali. D’altra parte se «la stessa rilevazione delle temperature è soggetta a supposizioni, semplificazioni e congetture, sarà ancora più aleatoria ogni capacità predittiva». I Global Climate Models non riescono infatti a riprodurre le oscillazioni climatiche naturali, per cui le loro previsioni sono puntualmente disattese. Si tratta in effetti di modelli riduzionistici e semplicistici che non considerano tutti i fattori che influenzano il clima, a partire dall’attività solare, compresa quella sul piano magnetico fin troppo trascurata. Le attività vulcaniche come lo stesso posizionamento delle stazioni di rilevamento incidono in maniera notevole sul dato della temperatura che viene registrato, come evidenzia nel suo contributo il professor Scafetta. E ancora, le correnti a getto causate dal riscaldamento solare e soggette alle onde di Roosby, il riscaldamento della temperatura superficiale del Pacifico come il suo raffreddamento sono, per esempio, altri fattori scollegati dalla CO2 e non contemplati nei modelli previsionali eppure capaci di influenzare il clima, come osserva il docente Mazzarella.

La storia geologica del nostro pianeta sconfessa anche i catastrofisti dell’IPCC, il Gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico, che continuano a tuonare che se la temperatura dovesse aumentare di circa 2 gradi sarà la fine per il pianeta. Basti ricordare che Annibale nel 218 a.C. valicò le Alpi con gli elefanti, «segno che il clima doveva essere più caldo dell’attuale», sottolinea il professor Crescenti. «Il clima è sempre cambiato con l’alternarsi sistematico di fasi fredde e fasi calde. Negli ultimi 400mila anni si sono alternate fasi calde della durata di 10mila anni e fasi fredde di circa 90mila anni. L’ultima fase calda è detta Olocene ed è quella che stiamo vivendo. Non c’è correlazione tra l’aumento della CO2 registrato dal 1880 e l’andamento nello stesso periodo della temperatura», ribadisce il già presidente della Società Geologica Italiana e già Magnifico Rettore dell’Università D’Annunzio di Chieti-Pescara. Attraverso uno studio che mostra i grafici dell’inesistenza di una correlazione evidente tra concentrazione di CO2 e temperatura registrate, gli illustri fisici Happer (Princeton) e Lindzen (MIT) rilevano piuttosto come all’aumentare della prima corrisponda al contrario una diminuzione della seconda, e viceversa. Inoltre essi ribadiscono che l’anidride carbonica è un mattone fondamentale per la vita sulla terra, al punto che con livelli più elevati di CO2 «le piante crescono meglio e producono fiori e frutti migliori».

I ghiacciai dell’Artico non si sciolgono, anzi nel 2022 «hanno guadagnato quasi 600 miliardi di tonnellate di nuova neve» oltre la media del periodo 1981-2010, osserva il professor Graziano, il quale constata altresì come tale consistente implemento interessi anche i ghiacciai del polo sud che «stanno aumentando la loro espansione da più di quarant’anni e a una media annuale di 22.250 km2», secondo i dati del National Snow e Ice Data Center americano. Anche i disastri naturali e gli uragani non sono in crescita; date le tecniche più accurate di rilevazione, è «in aumento la capacità di reporting», come evidenziano rispettivamente i docenti Alimonti e Pezzoli. Stesso discorso per gli incendi, aumentati in Europa soltanto in Grecia e diminuiti in Portogallo, mentre negli altri Paesi il loro numero si assesta nella media degli ultimi quindici anni. Negli Stati Uniti invece è stata registrata una riduzione significativa in termini di superficie bruciata in valore assoluto. Allo stesso modo, come non scompariranno le città costiere, anzi molti atolli tropicali hanno visto crescere la propria superficie emersa, così anche il dissesto idrogeologico non è imputabile all’anidride carbonica ma semmai alla mancata manutenzione da parte dell’uomo.

L’ultima parte del saggio di Porro lascia emergere gli interessi economici della finanza woke, che impone alle imprese stringenti criteri ESG, ossia l’attuazione di politiche green per poter ricevere fondi d’investimento, naturalmente sempre a carico dei consumatori. Basti pensare che dietro la voce ‘oneri di sistema’ che compare in bolletta si cela il costo dell’incentivo goduto da qualcun altro per installare pannelli fotovoltaici e pale eoliche; o che si ingannino i cittadini esaltando la potenza di un impianto green e tralasciando l’energia di molto inferiore che riesce concretamente a generare. Inoltre se da un lato per diminuire di neanche un grado la temperatura del pianeta i Paesi industrializzati sostengono i costi esorbitanti delle politiche ‘zero emissioni’, dall’altro i Paesi in via di sviluppo continuano ad aumentare tali emissioni e hanno tutte «le ragioni sociali ed economiche per farlo».

In effetti «la tecnologia delle fonti rinnovabili costa molto, consuma abbondanti risorse e impatta sull’ambiente», fa notare il professor Mirandola, come testimoniano tra l’altro in maniera emblematica l’assemblaggio e lo smaltimento delle componenti delle batterie delle auto elettriche. L’energia proveniente dal fotovoltaico e dall’eolico poi «ha bassa densità di potenza, richiede grandi superfici di raccolta, non è sempre disponibile, è imprevedibile e discontinua e dipende dal luogo». Alla luce di tali considerazioni risulta dunque evidente come in realtà l’obiettivo ideologico ‘zero emissioni’ sia solo un pretesto per poter «riorganizzare finanziariamente l’economia mondiale – come sostiene il professor Giaccio – per il benessere non del pianeta, ma della grande finanza».