Netanyahu interrompe il flusso di aiuti a Gaza, per riavere gli ostaggi
Per prolungare la prima fase della tregua e riavere gli altri ostaggi, per non ritirare le truppe dal confine fra Gaza ed Egitto, Netanyahu usa come arma di pressione il blocco degli aiuti umanitari che entrano nella Striscia.

«Sono finiti i pranzi gratis», ha dichiarato cinicamente il primo ministro Benjamin Netanyahu al termine della prima fase dell’accordo tra israeliani e Hamas, mentre dava disposizione all’esercito di bloccare tutti i valichi per il transito degli aiuti umanitari.
La prima fase del cessate il fuoco tra Israele e Hamas, infatti, è scaduta sabato scorso, lo stesso giorno dell’inizio del Ramadan, il mese sacro dei musulmani. Secondo gli accordi approvati da entrambe le parti, si sarebbe dovuto passare alla seconda fase che prevedeva il rilascio di altri ostaggi, ancora detenuti nella Striscia, mentre l'esercito israeliano avrebbe dovuto lasciare l'enclave, compreso il corridoio Filadelfia, cioè quella parte di territorio al confine tra Gaza e l'Egitto, che Israele ritiene indispensabile tenere sotto controllo e che non ha alcuna intenzione di abbandonare. Ora, allo scadere della prima fase del cessate il fuoco, il governo israeliano fa marcia indietro facendo nuove proposte. Netanyahu ha chiesto ad Hamas di continuare il cessate il fuoco prolungando la prima fase dell'accordo per altri 42 giorni, per tutto il Ramadan e la Pasqua ebraica, e liberare gli ostaggi per evitare così una ripresa dei combattimenti. Il primo ministro, forte dell'appoggio americano, ha dichiarato che non è sua intenzione sedersi intorno ad un tavolo per i colloqui se non nell’ipotesi in cui Hamas accetti la resa, in caso contrario Israele è pronto a riprendere la guerra. Hamas, da parte sua, ha insistito nel proseguire su quanto concordato, invitando Israele a non rimettere in discussione quanto già deciso. Una delegazione israeliana che si era recata a Doha per iniziare le trattative è rientrata, infatti, in meno di ventiquattr'ore, non avendo il governo alcuna intenzione di dare l’ordine all’esercito di abbandonare il territorio di Gaza.
Netanyahu è consapevole che gli israeliani sono stanchi di questa guerra e lo sono anche i miliziani di Hamas, indeboliti e in forte difficoltà, nonostante le vergognose sceneggiate di forza diffuse durante la liberazione degli ostaggi. Il primo ministro ha problemi per la tenuta del suo governo, in particolare con i partiti dell’estrema destra ultranazionalista, che chiedono, invece, con insistenza d’interrompere qualsiasi negoziato e invadere completamente la Striscia. Nonostante quindici mesi di una guerra devastante, le innumerevoli incursioni dell’aviazione israeliana e le numerose azioni portate a termine dai carri armati in supporto ai soldati di terra, tutto ciò non è stato sufficiente per piegare Hamas. Ma Netanyahu non demorde e minaccia di sferrare una guerra totale, forte anche del nuovo via libera alla consegna di armi, per oltre 4 miliardi di dollari, da parte americana.
Il primo ministro ha deciso di bloccare immediatamente gli aiuti umanitari destinati alla popolazione della Striscia e di interrompere la fornitura di elettricità e di acqua come rappresaglia al rifiuto di Hamas di proseguire con la prima fase dell'accordo. «Con il completamento della prima fase dell'accordo sugli ostaggi e alla luce del rifiuto di Hamas di accettare la proposta Steve Witkoff, il consigliere di Trump per il Medio Oriente, per la prosecuzione dei negoziati, che Israele aveva accettato, il primo ministro Netanyahu ha deciso che l'ingresso dei beni e delle forniture nella Striscia sarà bloccato», si legge in una dichiarazione diffusa dall'ufficio del primo ministro. La risposta di Hamas non si è fatta attendere: «Le decisioni di Netanyahu e del suo governo sono un vero e proprio ricatto. Va detto che le disposizioni di Netanyahu contraddicono quanto sottoscritto all'articolo 14 dell’accordo, che stabilisce che tutte le misure della prima fase continueranno nella seconda fase e che i garanti faranno ogni sforzo per assicurare la continuazione dei negoziati fino al raggiungimento di un accordo sui termini della seconda fase». Interrompere gli aiuti umanitari, però, non punisce solamente i cittadini di Gaza, ma anche i 24 ostaggi rimasti ancora in vita.
Ferma condanna dalle Nazioni Unite e dai paesi di tutto il mondo. «Usare il cibo come arma da guerra è inaccettabile» ha detto il portavoce del Qatar. «La decisione di Israele di bloccare gli aiuti a oltre due milioni di palestinesi nella Striscia è un atto sconsiderato di punizione collettiva» ha postato su X il responsabile dell’associazione Oxfam International. E i familiari degli ostaggi sono scesi nuovamente in piazza contro il governo, accusando Netanyahu di voler prolungare la guerra. «Quando posso alzarmi la mattina e rispondere ai miei figli quando il loro padre detenuto a Gaza tornerà a casa?» ha chiesto Mirian Lavi al primo ministro.
Ieri, decine di famiglie delle vittime del 7 ottobre sono state bloccate all’ingresso della Knesset. Avevano raggiunto il parlamento per chiedere una commissione d'inchiesta sulla strage. «Il 7 ottobre si sarebbe potuto evitare», ha dichiarato Eyal Eshel, padre dell'osservatore sul campo dell'Idf, Roni Eshel, ucciso dai terroristi di Hamas, in quella tragica data.
Nella Striscia gli attacchi proseguono e la lunga scia di morti si allunga giorno dopo giorno. Domenica scorsa, una persona è stata uccisa in un attacco con un drone a Beit Hanun, nel nord di Gaza, mentre un’altra è stata assassinata da un cecchino a Rafat. Ad Abasan, una cittadina a sud di Khan Yunis è stata ammazzata mentre un'altra è stata ferita in modo grave sempre da un drone. Anche ieri mattina gli elicotteri hanno lanciato missili contro abitazioni di Rafat e Khan Yunis.
Ieri mattina, ad Haifa, una persona è stata uccisa e altre tre sono rimaste ferite nel corso di un accoltellamento ad una fermata degli autobus nelle vicinanze di un centro commerciale. L’attentatore, un druso israeliano, è stato ucciso dalle forze di sicurezza.
Ma la diplomazia non si ferma. In particolare l’Egitto, che ha avanzato la proposta di estendere la prima fase dell’accordo di due settimane, chiedendo all’Unione Europea di scendere in campo facendo pressioni sul governo israeliano perché rispetti gli accordi sottoscritti e favorisca la piena attuazione della tregua.
In Cisgiordania, il ministro dell'Autorità Nazionale Palestinese Mu'ayyad Shaaban, capo della Commissione per la resistenza al muro e agli insediamenti, ha affermato che le forze di occupazione israeliane e i coloni hanno effettuato 1.705 attacchi durante lo scorso mese di febbraio e che la cittadina di Jenin è sotto assedio da oltre quaranta giorni. A Gerusalemme est, invece, oltre 500 coloni israeliani avrebbero fatto irruzione nel complesso della moschea di Al-Aqsa con il sostegno dei soldati israeliani, nel secondo giorno di Ramadan per il quale Israele ha imposto limitazioni agli ingressi nei luoghi di culto, ostacoli severamente criticate dalle autorità religiose palestinesi.