Nascita al Cielo di Beatrice e il dies natalis di Petrarca
Beatrice e Laura muoiono, rispettivamente nella Vita nova e nel Canzoniere: così come la Vita nova è la storia della vita del poeta rinnovata dall’incontro con l’amata, il capolavoro petrarchesco costituisce il romanzo d’amore di un uomo che ha visto deviare la propria condotta dalla via virtuosa dopo avere conosciuto Laura. Vi è una grande differenza: se il giorno in cui Beatrice va in Cielo costituisce il dies natalis della donna, la morte di Laura rappresenta il Natale di Petrarca.
Tante grandi eroine della letteratura mondiale muoiono all’interno del capolavoro che le ha immortalate come personaggio imperituro dell’arte. Nell’Eneide, abbandonata dal nuovo marito Enea, rinnegata la promessa fatta sulle ceneri di Sicheo, Didone si suicida. Nella Gerusalemme liberata Clorinda viene uccisa in un duello da Tancredi, che non sa di combattere contro l‘amata, armata non della propria corazza.
Anche Beatrice e Laura muoiono, rispettivamente nella Vita nova e nel Canzoniere. Del resto, il Rerum vulgarium fragmenta vuole competere con l’opera giovanile di Dante: così come la Vita nova è la storia della vita del poeta rinnovata dall’incontro con l’amata, il capolavoro petrarchesco costituisce il romanzo d’amore di un uomo che ha visto deviare la propria condotta dalla via virtuosa dopo avere conosciuto Laura e che ha lentamente ripreso coscienza della strada buona, una volta che la donna si è allontanata da questa terra.
Vi è, però, una grande differenza tra le due morti. Se il giorno in cui Beatrice va in Cielo (l’8 giugno 1290) costituisce il dies natalis di quella giovane donna, spentasi a ventiquattro anni, la morte di Laura durante la peste nera del 1348 rappresenta il dies natalis per Petrarca, il suo Natale. Nella Vita nova la morte di Beatrice è preannunciata da alcuni segni: la malattia di Dante, la morte del papà di Beatrice, la visione dell’amata che ascende al cielo. Alla fine Beatrice muore davvero. La data, Dante lo comprende bene, ha in sé un valore simbolico, perché contiene il numero nove:
dicerò come ebbe luogo ne la sua partita […]. Io dico che, secondo l’usanza d’Arabia, l’anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese; e secondo l’usanza di Siria, ella si partio nel nono mese de l’anno, […] e secondo l’usanza nostra, ella si partio in quello anno de la nostra indizione, cioè de li anni Domini, in cui lo perfetto numero nove volte era compiuto in quello centinaio nel quale in questo mondo ella fue posta, ed ella fue de li cristiani del terzodecimo centinaio. […] Lo numero del tre è la radice del nove […]. Dunque se lo tre è fattore per se medesimo del nove, e lo fattore per se medesimo de li miracoli è tre, cioè Padre e Figlio e Spirito Santo, li quali sono tre e uno, questa donna fue accompagnata da questo numero del nove a dare ad intendere ch’ella era uno nove, cioè uno miracolo, la cui radice, cioè del miracolo, è solamente la mirabile Trinitade.
L’incontro con questa donna ha, quindi, un valore religioso e sacrale. Attraverso Beatrice Dante ha incontrato Gesù. Nei primi tempi dopo la morte della donna Dante pensa di trovare consolazione in una donna gentile che sembra comprendere il suo dolore e prova compassione per lui. Apparsogli in sogno nella gloria del Cielo, Beatrice richiama il poeta al significato dell’incontro. Così Dante promette di scrivere per Beatrice versi che mai nessuno ha scritto per l’amata: è in un certo senso la profezia della composizione della Commedia e, in particolar modo, del Paradiso, che verrà composto vent’anni più tardi.
Il Canzoniere appare, invece, diviso in due parti: In vita di Madonna Laura e In morte di madonna Laura. Appartengono alla prima divisione i componimenti I-CCLXIII (ovvero dall’1 al 263), alla seconda le poesie CCLXIV-CCCLXVI (cioè dal 264 al 366). Ora proviamo a studiare strutture e date dell’opera. Immaginiamo che il sonetto di apertura del Canzoniere (Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono) corrisponda alla data del 6 aprile (giorno in cui Petrarca incontra Laura). Consideriamo poi il Canzoniere come un breviario laico di trecento sessantasei componimenti e mettiamo in relazione temporale le poesie ai giorni dell’anno. La poesia che apre la seconda parte In morte di Madonna Laura (corrispondente al numero CCLXIV) viene a coincidere con il 25 dicembre. In altre parole il giorno in cui muore Laura nasce Gesù. La corrispondenza è profondamente simbolica. Solo la scomparsa di Laura permette a Petrarca il definitivo allontanamento da lei e l’inizio del percorso di conversione.
La peste nera si diffuse in Sicilia a partire dalla fine del 1347. Raggiunse poi Napoli, Genova, Venezia. A marzo iniziò a imperversare a Firenze. Ma intanto l’Europa vedeva il tragico dilagare della pandemia. Ad Avignone, sede papale nella cosiddetta cattività avignonese, da gennaio ad agosto morirono centocinquantamila persone. Il 19 maggio Petrarca è colpito dalla tragica notizia della morte di Laura. Così in quei giorni annota in un codice:
Laura, illustre per le sue virtù e a lungo celebrata nei miei carmi, apparve per la prima volta ai miei occhi nel primo tempo della mia adolescenza, l’anno del Signore 1327, il sesto giorno di aprile, nella chiesa di s. Chiara in Avignone, a mattutino; e in quella stessa città, nello stesso mese di aprile, nello stesso giorno, nella stessa prima ora del giorno, l’anno 1348, alla luce del giorno è stata sottratta quella luce. […] La notizia dolorosa mi raggiunse a Parma. […] Il suo corpo castissimo e bellissimo fu messo a riposare nel cimitero dei frati minori, il giorno stesso in cui ella morì, al vespro. Sono convinto che l’anima sua sia ritornata al cielo, da dove era venuta.
A pochi giorni dopo la morte di Laura risale probabilmente anche il componimento CCLXVII in cui Petrarca rimpiange la scomparsa dello sguardo, del viso, del portamento, delle parole che lo hanno conquistato:
Oimè il bel viso, oimè il soave sguardo,
oimè il leggiadro portamento altero;
oimè il parlar ch’ogni aspro ingegno et fero
facevi humile, ed ogni huom vil gagliardo!
et oimè il dolce riso, onde uscío ’l dardo
di che morte, altro bene omai non spero:
alma real, dignissima d’impero,
se non fossi fra noi scesa sí tardo!
Per voi conven ch’io arda, e ’n voi respire,
ch’i’ pur fui vostro; et se di voi son privo,
via men d’ogni sventura altra mi dole.
Di speranza m’empieste et di desire,
quand’io partí’ dal sommo piacer vivo;
ma ’l vento ne portava le parole.
L’amata Laura ha riempito di speranza e di desiderio il poeta. La scomparsa della donna è la maggior sventura che potesse occorrere al poeta. Pochi mesi più tardi, verso la fine di luglio, Petrarca apprese che all’inizio del mese era scomparso anche il cardinale Colonna. Il poeta scrisse allora il sonetto CCLXIX in cui Petrarca ricordava le morti di entrambe le persone care, il cardinale e Laura, denominati rispettivamente «l’alta colonna e ’l verde lauro», il «doppio thesauro», grazie al quale il poeta poteva vivere lieto ed essere orgoglioso. Gli ultimi versi sono particolarmente amareggiati e dolenti:
O nostra vita ch’è sí bella in vista,
com perde agevolmente in un matino
quel che ’n molti anni a gran pena s’acquista!
La coscienza della precarietà della vita, della fugacità del tempo, dell’angoscia provocata dagli affanni presenti e passati riempiono l’animo del poeta che è perfino tentato dall’idea del suicidio. Assalito dall’inerzia, Petrarca sembra aver perso il gusto per ogni aspetto del reale. Percepisce l’inconsistenza dei beni terreni. Solo una conversione radicale del cuore potrebbe salvarlo. Ma in questo momento Petrarca non se ne sente capace, perché non riesce a staccarsi dall’io vecchio.