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CAUCASO

Nagorno Karabakh: Erdogan arriva, gli armeni se ne vanno

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A coronamento della vittoria dell’Azerbaigian sull’enclave armena del Nagorno Karabakh, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è recato in visita ufficiale in territorio azero e ha incontrato il suo omologo e alleato Ilham Alyiev. Fuga di massa degli armeni che temono la pulizia etnica.

Esteri 26_09_2023
Aliyev ed Erdogan

A coronamento della vittoria dell’Azerbaigian sull’enclave armena del Nagorno Karabakh, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan si è recato in visita ufficiale in territorio azero, nell’exclave di Nakhchivan, dove ha incontrato il suo omologo e alleato Ilham Aliyev. Il territorio di Nakhchivan è una striscia di terra che confina fra l’Armenia e la Turchia, separata dal resto dello Stato azero, molto significativa sia per motivi storici che geografici. Era terra armena, prima che gli azeri cancellassero ogni traccia del passato cristiano ed è l’unico punto in cui i due popoli turcofoni musulmani si toccano.

Per gli armeni, già traumatizzati dalla fine di ogni speranza di indipendenza, o quantomeno di sopravvivenza della (ormai ex) Repubblica di Artsakh nel Nagorno Karabakh, la visita di Erdogan è la realizzazione di un incubo. Poco più di un secolo dopo il genocidio ottomano degli armeni, la Turchia, tramite il suo alleato azero, ha cancellato un altro pezzo di storia dell’Armenia nel Caucaso. Per chi vive nel Nagorno Karabakh è sempre stato chiaro che la guerra contro l’enclave fosse voluta dai turchi, che hanno fornito alle forze azere armi, droni, assistenza e anche mercenari siriani e libici nella guerra del 2020. Il discorso del presidente turco è altisonante, come quelli che seguono una vittoria personale: “È motivo di orgoglio che l'operazione sia stata portata a termine con successo in un breve periodo di tempo, con la massima sensibilità per i diritti dei civili”, ha dichiarato nel corso della visita. Si è parlato anche di questioni più pratiche, come la firma di un accordo per la costruzione di un nuovo gasdotto che collegherà i due Paesi. Ma è la missione storica che conta di più, l’idea di avere messo un altro tassello nel mosaico della ricostruzione ottomana.

Ricapitolando, l’Artsakh, dopo trent’anni di difficile coesistenza con l’Azerbaigian, in cui è sempre stato territorialmente incluso, è stato distrutto con una raffinata strategia di assedio. Nella prima fase, con la guerra dell’autunno 2020, gli azeri hanno conquistato la città di Shusha e la metà del territorio, inclusi tutti i valichi di frontiera con l’Armenia, tranne un’unica strada, il corridoio di Lachin. Con la fase successiva, iniziata nel dicembre 2022, il corridoio di Lachin è stato chiuso da presunte manifestazioni di ecologisti azeri, poi sostituiti (a partire dalla primavera scorsa) dalle truppe regolari. In questo modo, gli armeni del Nagorno Karabakh sono stati presi per fame e sfinimento. Il 19 settembre è bastata una vigorosa azione di artiglieria contro tutte le postazioni armene, per spingere le autorità locali alla resa, anche perché nel frattempo era venuto meno il sostegno della stessa Armenia.

La pressione politica maggiore la sta subendo, infatti, il governo Pashinian, a Erevan. Il premier accusa la Russia di essere venuta meno al suo dovere di alleato e di non aver mosso un dito con le truppe di interposizione, che avrebbero dovuto garantire la sopravvivenza dell’enclave armena. «Numerosi casi di terrore contro la popolazione armena del Nagorno-Karabakh, il blocco illegale del corridoio di Lachin e l’attacco dell'Azerbaigian del 19 settembre contro il Nagorno-Karabakh – ha dichiarato il premier armeno - hanno sollevato seri interrogativi sugli obiettivi e le motivazioni del contingente di pace della Federazione Russa in Nagorno-Karabakh». Temendo per la sicurezza del suo stesso Paese, il governo di Erevan si sta rivolgendo sempre più agli Usa, incluse prime esercitazioni comuni, le Eagle Partner che, pur coinvolgendo meno di cento militari statunitensi, hanno provocato le ire del Cremlino. Mosca ribalta l’accusa a Erevan, sostenendo che sia proprio l’avvicinamento del governo Pashinian agli Usa a provocare l’inazione russa: «La leadership di Erevan – si legge nel comunicato del Ministero degli Esteri russo - sta commettendo un grave errore cercando deliberatamente di distruggere i legami multiformi e secolari dell'Armenia con la Russia e tenendo il Paese in ostaggio dei giochi geopolitici dell'Occidente».

Nel frattempo, gli armeni che ancora abitano nel Nagorno Karabakh, circa 120mila persone in tutto, stanno abbandonando in fretta la regione. Non si fidano della promessa azera secondo cui i loro diritti saranno rispettati. A migliaia stanno abbandonando le loro case. Ieri mattina erano giunti in territorio armeno 3mila profughi, nel pomeriggio erano già più di 6mila. Nella fuga è esploso un deposito di carburante, provocando almeno 20 morti e decine di feriti. Gli ospedali locali, già a dura prova per l'attacco azero e carenti di medicinali, sarebbero al collasso. Nikol Pashinian si sta preparando al peggio, dunque alla possibilità di accogliere tutti e 120mila armeni dell’ex Artsakh. Le autorità del governo indipendentista promettono di essere le ultime a lasciare la capitale Stepanakert, nonostante siano quelle che rischiano maggiormente di essere passate per le armi. Forniranno assistenza medica e carburante per chi decide di fuggire.