Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
CAUCASO

Nagorno Karabakh, armeni sotto il fuoco, dopo 8 mesi di fame

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Alla fame si sono aggiunte le cannonate. Dopo otto mesi di embargo totale, l’esercito dell’Azerbaigian ha bombardato il Nagorno Karabakh, la regione separatista a maggioranza armena. Il governo di Baku annuncia l'inizio di un'operazione "anti-terrorismo". Pashinian, premier armeno, in difficoltà.

Esteri 20_09_2023
Nagorno Karabakh, bombardamento azero

Alla fame si sono aggiunte le cannonate. Dopo otto mesi di embargo totale, l’esercito dell’Azerbaigian ha bombardato il Nagorno Karabakh, la regione separatista a maggioranza armena (la non riconosciuta Repubblica dell’Artsakh). Il governo azero ha proclamato l’inizio di una “operazione anti-terrorismo”, mira al “ritiro delle forze armene” dalla regione e al “ripristino dell’ordine costituzionale”. Per un governo che non ha mai riconosciuto la presenza armena (e cristiana) nella regione incastonata in mezzo al suo territorio nazionale, questo vuol dire solo che la guerra è ricominciata, dopo tre anni di fragile pace e potrebbe concludersi con la cacciata di tutta la popolazione locale.

La settimana era iniziata nel migliore dei modi, con un primo sblocco dell’embargo imposto dall’Azerbaigian al Nagorno-Karabakh. Grazie alla mediazione internazionale, gli armeni dell’Artsakh avevano accettato aiuti umanitari forniti dai russi attraverso la strada di Agdam, controllata dagli azeri. Fino alla settimana scorsa, il governo separatista dell’Artsakh non aveva mai accettato aiuti provenienti da quella direzione, perché erano considerati come un “cavallo di Troia” azero. I russi si sono fatti garanti che gli aiuti non sarebbero stati strumentalizzati da Baku. Successivamente, gli azeri hanno permesso anche il passaggio dei primi convogli di camion dal corridoio di Lachin, bloccato dal dicembre 2022.

Come mai, in questo clima di distensione, sono riprese le ostilità? L’azione militare di ieri ha dato adito ad accuse reciproche, come sempre. Secondo la versione dei fatti fornita dal ministero della Difesa di Baku (azero), le forze armene avrebbero condotto operazioni di minamento nelle aree controllate dagli azeri, condotto incursioni e ricognizioni, concentrato forze nelle aree nevralgiche di confine e sono responsabili della morte di quattro militari. Per il governo separatista di Stepanakert, al contrario, gli azeri hanno continuato a concentrare truppe ed equipaggiamento militare nella regione, per poi passare all’azione senza preavviso.

Secondo il comunicato di Stepanakert: “Nelle ultime 24 ore, gli azeri hanno diffuso false informazioni secondo cui l’Artsakh avrebbe effettuato operazioni di sabotaggio e sparato contro le posizioni azere. E successivamente hanno diffuso informazioni sul lancio di una cosiddetta ‘operazione antiterrorismo’, il che dimostra che tutti questi passi erano stati pianificati in anticipo. Ciò si sposa perfettamente con le notizie di azioni genocide compiute dall’Azerbaigian contro l'Artsakh e la sua popolazione da parte armena negli ultimi mesi”.

Il ministero della Difesa azero comunica che, nell’azione dell’artiglieria, sono stati colpiti esclusivamente obiettivi militari: 60 postazioni e 20 veicoli militari sarebbero stati distrutti. L’ombudsman per i diritti umani di Stepanakert risponde che fra i civili si contano già due morti, di cui uno è un bambino, e almeno 23 feriti.

Oltre alla conta delle perdite, si iniziano anche a contare le vittime politiche. Il primo a perdere è il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinian, che finora aveva scelto la via del dialogo con l’Azerbaigian, al punto da promettere il riconoscimento della sovranità azera sulla regione del Nagorno-Karabakh. Ieri sera, nella capitale Erevan, sono iniziate manifestazioni di massa dell’opposizione per chiedere le dimissioni del premier. Il blocco del corridoio di Lachin e la ripresa delle ostilità sono il chiaro segno che la politica del dialogo non ha funzionato.

La seconda grande sconfitta è la Russia, perché è una missione militare di peacekeeping russa che avrebbe dovuto assicurare il corridoio di Lachin e sono sempre, in teoria, i russi che avrebbero dovuto impedire lo scoppio di recrudescenze del conflitto dopo la guerra del 2020. Il governo armeno non si fida più di Mosca, si sente abbandonato: tutte le energie russe sono assorbite dall’invasione dell’Ucraina, non c’è più spazio per il Caucaso. La sfiducia è tale che, la settimana scorsa, sono iniziate anche esercitazioni comuni delle forze armene con gli Stati Uniti, sul territorio di un alleato tradizionale della Russia. Ed anche l’opposizione pensa al tradimento: nelle manifestazioni di ieri sera, oltre che marciare per chiedere le dimissioni di Pashinian, i manifestanti hanno anche indetto una protesta sotto l’ambasciata russa.

L’Ue, per bocca del presidente del Consiglio Michel, non ha fatto neppure in tempo a vantare il successo dell’ingresso dei primi aiuti umanitari nel Nagorno-Karabakh, attribuito anche alla diplomazia europea. La situazione è degenerata subito dopo, mostrando tutti i limiti di questa mediazione. Il presidente francese Macron ha informato Pashinian che chiederà una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza. È semmai Pashinian che teme di non rimanere premier a lungo, denunciando anche tentativi di golpe a suo danno.