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IL CASO

Musulmani italiani: un'occasione e un rischio

In Italia ci sono 1 milione e 0ttocentomia islamici, di cui 245mila sono cittadini. Ovviamente nella stragrande maggioranza non sono terroristi né loro simpatizzanti, ma se si vuole promuovere una vera integrazione isolando estremisti e violenti bisogna tornare alla lezione di Ratisbona di Benedetto XVI.

Libertà religiosa 14_11_2015
Giovani musulmani italiani

Per uno di quei paradossi che la cronaca ci propone spesso, la tragedia di Parigi è avvenuta nel bel mezzo del convegno romano "Da musulmani immigrati a cittadini italiani", che si è svolto venerdì e sabato presso la Facoltà Valdese di Teologia, dove ho presentato la relazione di apertura. Un convegno che avrebbe voluto celebrare, pur senza nascondere problemi e rischi, l'integrazione come cittadini italiani di decine di migliaia di musulmani, immigrati o figli di immigrati, che negli ultimi anni hanno acquisito la cittadinanza del nostro Paese. Quanti sono? E come inciderà su di loro la nuova vicenda terroristica di Parigi?

Anzitutto, i numeri. Sono al centro del mestiere del sociologo, ma sono anche un punto di partenza obbligatorio per tutti. A Roma ho presentato in anteprima una elaborazione statistica del CESNUR, il Centro Studi sulle Nuove Religioni di cui sono fondatore, parte di una nuova versione della "Enciclopedia delle religioni in Italia" da me diretta insieme a PierLuigi Zoccateli che sarà online il mese prossimo sul sito cesnur.com. Quanto al numero di musulmani cittadini italiani, essi sono nel 2015 245.600, la terza minoranza religiosa fra i cittadini italiani dopo i protestanti (442.000) e i Testimoni di Geova (422.000). Si tratta solo dei cittadini italiani, compresi quelli che hanno acquisito la cittadinanza negli ultimi anni, tra i quali da un quinto a un quarto sono di origine marocchina. Vanno aggiunti un milione e seicentomila musulmani presenti fra gli immigrati non cittadini residenti sul territorio italiano. In totale, oltre un milione e ottocentomila musulmani sono presenti in Italia fra cittadini e non cittadini.

Ovviamente in Italia non ci sono un milione e ottocentomila terroristi. Al contrario, la grande maggioranza dei musulmani presenti in Italia condanna con fermezza attentati come quelli di Parigi e aspira a coesistere in pace con la maggioranza non musulmana. Si potrebbe dire che c'è più difficoltà a condannare gli attentati che colpiscono obiettivi ebraici o israeliani, ma a simpatizzare per al-Qa'ida o per l'ISIS sono davvero in pochi. Da una parte, dunque, occorre evitare generalizzazioni e stereotipi che rischiamo sempre di prevalere in momenti di forte e giustificata emozione. Dall'altra, si deve tenere conto che una minoranza piccola ma pericolosa di ultra-fondamentalisti, alimentata da una predicazione radicale, dove pesca e recluta il terrorismo, esiste in Italia come in Francia e altrove, e intensificare la vigilanza è obbligatorio. Senza dimenticare che le cause ultime di quello che è successo a Parigi non sono in Europa ma in Siria e in Iraq.

Non lo ha detto Salvini, ma un popolare blogger saudita: "Non tutti i musulmani sono terroristi. Ma oggi ho l'impressione che tutti i terroristi siano musulmani". Neanche questo è vero - ci sono terroristi legati all'estremismo induista, protestante fondamentalista e perfino buddhista, o al narcotraffico - ma segnala un'altra verità scomoda. I terroristi sono parte dell'islam. Dire che "non c'entrano nulla con l'islam" non è meno infondato che sostenere che tutti i musulmani sono terroristi. 

La verità è che ci sono diversi modi di reagire alle grandi trasformazioni in corso nel mondo islamico. Ci sono, a seconda del modo di contare e dell'estensione che si dà al termine Europa, da sedici a ventitré milioni di musulmani nel nostro continente. La presenza di così tanti musulmani in Europa crea nuove declinazioni dell'islam. Al convegno di Roma abbiamo visto tante immagini di ragazzi e ragazze musulmane italiane che, magari - nel caso delle donne - con il velo, giocano a pallavolo e frequentano i concerti rock. Succede anche nei Paesi a maggioranza islamica. Lo studioso americano Mark Levine, nel suo «Heavy Metal Islam», ha descritto una scena musicale giovanile in Marocco, Iran, Egitto, Pakistan che raduna decine di migliaia di giovani in concerti di musica rock o metal, comprese le forme più estreme. Concerti dove, contro i divieti islamici, la birra scorre in abbondanza. Queste forme musicali prosperano persino in Arabia Saudita. Ogni tanto la polizia arresta qualcuno, che però poi, come è capitato in Marocco, è liberato a furor di popolo dopo grandi manifestazioni giovanili, che preoccupano i regimi e di cui arrivano poche notizie in Occidente.

Non tutto è positivo, naturalmente, in questi sviluppi. Li cito perché smentiscono gli stereotipi. I giovani che si entusiasmano per l'annuale festival del rock di Casablanca e alcuni dei terroristi di Parigi non hanno solo in comune l'essere marocchini. Spesso vengono dalle stesse famiglie. La loro risposta al cocktail di instabilità politica, repressione, crisi economica e predicazione fondamentalista che caratterizza Paesi come Marocco o Egitto è molto diversa, a seconda dei percorsi biografici. Questa diversità arriva anche in Europa, e rende ogni generalizzazione sbagliata.

Per i musulmani italiani i fatti di Parigi costituiscono un duplice rischio. La minoranza radicale ne trarrà argomento per sostenere che il terrorismo "funziona" e vince. Altri, consapevoli di non avere nulla a che fare con il terrorismo, si sentiranno offesi e umiliati quando a scuola o sul posto di lavoro qualcuno li insulterà come complici degli attentati. 

Ma dal rischio potrà nascere anche un'opportunità. Se c'è, un islam italiano disposto a condannare ogni forma di terrorismo senza se e senza ma dovrebbe battere un colpo. Condannando non solo gli attentati di Parigi - il che è relativamente facile - ma anche la persecuzione e la discriminazione dei cristiani e di altre minoranze religiose in troppi Paesi a maggioranza islamica, e l'uso del terrorismo nella lotta contro Israele. Siamo chiari: penso a un islam che, diventando italiano, rimanga islam. L'islam laico e progressista che hanno in testa certi giornalisti e intellettuali semplicemente non è più islam, e ha scarso seguito fra gli immigrati. La profezia ottimista - per modo di dire - secondo cui venendo in Occidente la maggioranza dei musulmani si sarebbe secolarizzata e avrebbe abbandonato la religione si è rivelata infondata, così come la profezia pessimista secondo cui tutti i giovani musulmani, a contatto con i mali della nostra società, si sarebbero radicalizzati e trasformati in ultra-fondamentalisti. 

L'islam italiano continuerà a essere fatto anche di giovani che leggono quotidianamente il Corano e di ragazze che scelgono il velo non per imposizione familiare ma come simbolo di un'identità che non vogliono abbandonare. Ma che, nello stesso tempo, praticano sport o vanno alle partite di calcio e ai concerti dei musicisti più in voga. È soprattutto tra questi giovani che il dolore delle tragedie potrà far nascere un islam insieme effettivamente islamico e capace di coesistere con identità diverse, nel reciproco rispetto. A patto di isolare i terroristi e i loro fiancheggiatori. E di non negare che esistono, e che sono anche loro musulmani. Era la lezione, non capita, di Benedetto XVI a Ratisbona: non un'offesa all'islam, ma l'invito a riflettere sul fatto che terrorismo e violenza vengono dal suo interno, per studiarne le cause e isolarne i protagonisti. A quella lezione, di un Papa che nello stesso tempo definiva il dialogo con l'islam come obbligatorio, si tratta ora di tornare.