Mussolini, dal socialismo al fascismo
Socialismo e fascismo sono gemelli separati alla nascita. Lo dimostra anche l'ultima fatica di Mazzuca e Farrell "Il compagno Mussolini", sugli anni di formazione politica nel Partito Socialista del futuro "duce".
In un’epoca di deideologizzazione spinta, a volte si sbiadiscono i ricordi delle singole epoche storiche e si forniscono interpretazioni qualunquistiche e approssimative di fasi importanti della vita del nostro Paese. Le ideologie si riaffacciano a intermittenza nei loro risvolti deteriori come vessilli di differenziazione sul terreno morale, quasi a marcare elementi di presunta superiorità che però non trovano riscontro nei fatti. E’ stato l’errore commesso per decenni dalla sinistra più ideologica e veteromarxista, che ha impregnato la nostra cultura di germi letali per il futuro di molte generazioni; è stato il limite di certa destra che non ha saputo affrancarsi dal fascismo per trasformarsi in corrente di pensiero sinceramente liberale.
Ma accantonando le lenti deformanti delle ideologie e rileggendo pagine di storia trascurate da certa storiografia convenzionale, si scoprono sorprendenti elementi di continuità tra visioni del mondo e della società apparentemente non compatibili tra loro.
Nel libro “Il compagno Mussolini. La metamorfosi di un giovane rivoluzionario” (Rubbettino editore, 350 pagine, con prefazione di Vittorio Feltri), il direttore del quotidiano “Il Giorno” Giancarlo Mazzuca e il giornalista e storico inglese Nicholas Farrell, raccontando la prima parte della vita di Benito Mussolini, quando era socialista, fino a quando è stato direttore de “L’Avanti”, evidenziano la linea neppure troppo sottile che lega socialismo e fascismo. Nel volume si raccontano gli anni giovanili del futuro duce, i suoi primi contatti con il mondo politico, anche attraverso l’esame di documenti inediti. Il libro fa luce su un primo Mussolini che il lettore medio non conosce ed è uscito in contemporanea con una mostra dedicata proprio agli anni giovanili del duce, inaugurata a settembre a Predappio, sua città natale, e che resterà aperta fino al 31 maggio prossimo.
Ed è nelle radici sociali e popolari, socialiste e rivoluzionarie della sua infanzia e poi gioventù che sta il seme dei suoi anni a venire. Del resto il fascismo è stato socialismo, prima di tutto. E anche la Repubblica Sociale è imperniata sul socialismo. Gli anni da socialista di Mussolini sono stati tanti, almeno dal 1903 al 1914 (età giolittiana), se si conta soltanto la militanza vera e propria. E in quegli anni Mussolini fu soprattutto un giornalista, noto per la capacità di stregare i lettori, fino a quando nel 1912 divenne direttore de “L’Avanti”.
Su quegli anni spesso la storiografia ha glissato o si è accontentata di studi parziali. A destra non faceva simpatia quel retaggio tutto proletariato e lotta di classe. A sinistra andava minimizzato, considerando semplicemente Mussolini un opportunista traditore. Non fa dunque comodo a nessuno parlare del giovane, socialista, rivoluzionario, irriverente Mussolini, quasi che il proletariato sia una prerogativa della sinistra, come giustamente evidenziò in un recente articolo Matteo Sacchi, sul Giornale.
Il caso forse più rilevante affrontato nel volume di Mazzuca e Farrell è quello della scelta interventista che portò Mussolini alla rottura con il partito socialista, iniziata con il famoso articolo apparso su “L’Avanti” il 18 ottobre 1914 e intitolato «Dalla neutralità assoluta alla neutralità attiva ed operante». Dal libro emerge che Mussolini subì un lungo travaglio interiore su quel tema e che il suo interventismo si sposava con quello di altri socialisti. E anche nel fondare “Il popolo d'Italia”, una volta abbandonato “L’Avanti”, Mussolini contò su un solido appoggio del partito socialista francese e sui fondi inglesi (su cui Farrell e Mazzuca hanno fatto un piccolo scoop compulsando gli archivi di Oxford e ridimensionandone l'entità). Insomma, non si può dire che il suo fosse un voltafaccia al soldo degli industriali italiani interventisti, come spesso si è detto. Ben prima del cambio di posizione sulla guerra, Mussolini considerava gli Imperi centrali i campioni della reazione.
Tutte da leggere anche le pagine dedicate dai due giornalisti-studiosi al modo in cui Mussolini intendeva il socialismo e la politica. Il futuro duce del fascismo fu affascinato dagli studi dell'antropologo e psicanalista francese Gustave Le Bon, autore de “La Psychologie des foules”, edito nel 1895. Il libro gli lasciò impressa l'idea che la vera e unica forza politica fossero le masse, e che le masse agiscono per fede, non per intelletto: «Che importa al proletario di capire il socialismo come si capisce un teorema? E il socialismo è forse riducibile a un teorema?». Proprio il fascismo fu uno dei movimenti politici più simili ad una fede. Ecco che allora le linee di continuità tra socialismo e fascismo appaiono sempre più evidenti, quasi fossero due facce della stessa medaglia. Non piacciono probabilmente alla storiografia di impronta marxista che ha manipolato a lungo la ricostruzione della storia dei movimenti politici e delle ideologie. Ma è ora di sovvertire tale impostazione manichea e fuorviante e il libro di Mazzuca e Farrell contribuisce a questa svolta.
Secondo gli autori, la scelta di Mussolini - a causa della Prima guerra mondiale - di abbandonare il socialismo internazionalista a favore del socialismo nazionalista (che poi diventò il fascismo), fu una tra le scelte più importanti del Novecento, non solo per l'Italia ma anche per l'Europa e per il mondo. Per Mussolini la Prima guerra mondiale fu una guerra rivoluzionaria e non reazionaria.
Il volume di Mazzuca e Farrell verrà presentato a Milano (Palazzo Cusani, via Brera, 15) lunedì 17 marzo alle ore 18,30 da Vittorio Sgarbi e Maurizio Belpietro.