Musica sacra, nelle chiese siamo fermi agli anni Settanta
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In molte liturgie riecheggiano note e ritmi della contestazione, che si faceva sentire forte negli anni delle riforme post-conciliari e ancora influenza la mentalità di numerosi ecclesiastici.

Forse non tutti se ne rendono perfettamente conto, ma in molte nostre chiese noi viviamo ancora negli anni ‘70. Cosa significa questo? Significa che una mentalità che si è formata in quegli anni continua ad orientare i comportamenti di molti ecclesiastici.
Gli anni ‘60 e ‘70 furono gli anni della contestazione giovanile, gli anni della rivoluzione sociale, degli hippy, del “vietato vietare”. Il ‘68 fu una contestazione radicale dello status quo, una rivolta contro quello che era l’ordine sociale costituito e contro la tradizione. Non nego affatto che i contestatori potessero anche avere delle buone ragioni, ma una contestazione così radicale non ha veramente risolto i conflitti, ha solo distrutto l’esistente.
Quello che molti non sospettano, è che una delle anime più importanti di questa contestazione era quella cattolica. Un bel libro di Guido Panvini, intitolato Cattolici e violenza politica ci descrive bene questo coinvolgimento cattolico nella contestazione: «Allo scoppio della contestazione studentesca, il mondo giovanile cattolico aveva già maturato una significativa esperienza di mobilitazione e un solido impianto teorico che lo resero l’ambiente più ricettivo alle istanze di protesta dei movimenti. Si tratta di una connotazione contrastante con l’immagine, ricorrente, sia in storiografia che in pubblicistica, di una cultura provinciale e distante da quanto avveniva nella società, poiché succube della tutela ecclesiastica, improvvisamente destatasi in seguito alla ventata di ribellione collettiva».
Quindi i cattolici non erano un elemento accessorio della contestazione, ma ne furono protagonisti.
Un impulso importante ai movimenti di contestazione giovanile fu dato, suo malgrado, dal Concilio Vaticano II, che fu subito usato dai contestatori come scusa per giustificare le posizioni più oltranziste. Ecco perché alcuni parlano di un Concilio dei documenti mentre altri intendono perseguire uno spesso fantomatico “spirito del Concilio” che aprirebbe le porte ad ogni spirito di novità.
Pensiamo bene ad alcune date della riforma liturgica: 1963, promulgazione della Sacrosanctum Concilium; 1969, entrata in vigore del nuovo rito della Messa. Come è facile comprendere, queste riforme si sono attuate nel periodo in cui la contestazione era più forte e violenta anche all’interno del mondo cattolico e, loro malgrado, sono state spesso fagocitate da questo turbinio ideologico perdendo il loro impulso originario che non era certo quello di favorire una rivoluzione liturgica, questa non era certamente l’intenzione della maggioranza dei padri conciliari.
Purtroppo la mentalità contestataria guidò le scelte in merito alla liturgia di molti sacerdoti, e anche di qualche liturgista. Secondo confidenze fatte a chi gli era vicino, e dal tono di alcuni suoi scritti, anche mons. Annibale Bugnini, una delle forze trainanti della riforma liturgica, fu molto amareggiato dagli sviluppi della riforma liturgica stessa a cui lui aveva tanto lavorato.
La musica era un elemento fondamentale nel periodo della contestazione. L’apologeta Corrado Gnerre, nel suo libro La rivoluzione nell’uomo, osserva quanto segue: «La musica rock ha segnato un cambiamento significativo nella cultura musicale. L’aspetto caratteristico di questo genere è la ripresa di antiche e tribali espressioni musicali atte a liberare dai freni inibitori. Una di queste espressioni sono i ritmi cosiddetti afro-cubani a cui il genere rock si è manifestamente rifatto. Dunque, serviva un tipo di musica capace di facilitare il trionfo dell’istintività sulla ragione e sulla volontà; capace inoltre di spingere a un certo tipo di balli che muovessero ossessivamente il corpo. Mentre la musica armonica tradizionale spinge il corpo ad assumere movenze ordinate, la musica rock, invece, spinge a movimenti sganciati da qualsiasi ordine e armonia. Tutto ci viene spiegato dall’origine del termine “rock and roll”, che significa letteralmente “ondeggia e ruota”, una chiara allusione di tipo sessuale».
Ovviamente, questa mentalità ha una influenza anche sulla musica nella liturgia. Essa, malgrado quanto raccomandato dalla Sacrosanctum Concilium, diviene preda del canto ritmico, della frenesia musicale e di testi che introducono nel tempio di Dio in modo neanche tanto velato i temi caldi della rivoluzione del ‘68.
Purtroppo, questa mentalità che si consolidò negli anni ‘70 è ancora molto forte oggi in molti ambienti clericali, cristallizzando una situazione che certamente non ha portato nessun beneficio alla Chiesa, ma anzi ha probabilmente contribuito al progressivo svuotamento dei nostri edifici di culto.
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