Motti e minacce: la Cina non fa la mediatrice con Mosca
La telefonata di due ore fra il presidente americano Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping, è un fallimento diplomatico. Pechino sta con Putin. Xi Jinping ricorre a motti tradizionali per spiegare la posizione della Cina. Uno in particolare: “Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.
La telefonata di due ore fra il presidente americano Joe Biden e il suo omologo cinese Xi Jinping, è già passata alla storia per i detti e motti popolari citati dal secondo, per spiegare la posizione della Repubblica Popolare. Uno in particolare: “Spetta a chi ha legato il sonaglio al collo della tigre il compito di toglierlo”.
Biden, dopo l’incontro a Roma del Consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan con Yang Jiechi (responsabile della politica estera del Partito Comunista Cinese), aveva voluto un colloquio al vertice per comunicare il suo messaggio: “la Cina deve stare dalla parte giusta della storia”. Il timore americano è che il colosso asiatico, che ha palesemente dato il via libera all’invasione dell’Ucraina (il 4 febbraio, all’inizio delle Olimpiadi di Pechino) ora possa anche fornire armi e tecnologie alla Russia. Tuttavia, il dubbio è che la Cina possa essere rimasta molto delusa dal modo in cui Putin ha gestito l’invasione. Se Pechino si aspettava un’operazione di guerra ibrida, per innescare un lungo confronto con l’Occidente, un’invasione aperta, con bandiere al vento, a cui sono seguite sanzioni economiche occidentali molto dure, non è certamente nell’interesse della Cina. Nelle dichiarazioni dei giorni scorsi, così come nella conversazione di Xi con il presidente Biden, il vertice cinese ha sempre dichiarato che la guerra in Ucraina “non è quello che auspicavamo”, che un conflitto fra Stati “non è nell’interesse di nessuno”. Partendo da questo presupposto, l’amministrazione statunitense pensa che ci sia ancora un margine di trattativa. Ma dopo Roma e dopo il vertice dei due presidenti, almeno questo primo tentativo di usare la Cina come mediatrice è fallito.
Xi Jinping ha ribadito la linea ufficiale del suo Paese: la responsabilità della guerra ricade interamente sugli Stati Uniti. Questo è il significato del motto sulla tigre. Inoltre, Pechino risponde per le rime a quella che percepisce come una chiara minaccia americana. Quando Biden invita i cinesi a non mandare aiuti militari alla Russia, “se non vuole incorrere in implicazioni e conseguenze non solo da parte americana ma mondiali”, i cinesi rispondono con avvertimenti pesanti. “Questo è un raro caso in cui la Cina ha mandato segnali forti, dichiarando che non accetterà mai la minaccia degli Usa sulla questione ucraina e preparando una risposta dura nel caso gli Usa prendano misure per danneggiare i legittimi interessi cinesi”, si legge sull’editoriale del quotidiano cinese Global Times, all’indomani dei colloqui presidenziali. Il sospetto che la Cina stia fornendo, o stia per fornire, aiuti allo sforzo bellico russo, viene liquidato dalla stampa di Pechino come “disinformazione” e ogni riferimento al caso, come un atto di ostilità.
Lü Xiang, ricercatore dell’Accademia Cinese delle Scienze Sociali, intervistato dal Global Times e messo in evidenza (perché esprime la linea del Partito) usa parole molto dure: l’amministrazione Biden si è dimostrata molto ingenua, credendo che i russi non rispondessero alle “provocazioni” americane ed ora sta gettando benzina sul fuoco in Ucraina, anche se teme che così facendo potrebbe incendiare tutta la Nato. Un altro ricercatore, Yang Xiyu, dell’Istituto Cinese per gli Studi Internazionali, sempre sulle colonne del giornale di Partito, risponde affermando che, dopo “aver messo la Russia nell’angolo”, gli Usa starebbero facendo la stessa cosa con Taiwan. La questione della “provincia ribelle” (così la chiama la Cina popolare) è considerata “la più esplosiva” in assoluto. Gli Usa, secondo gli analisti cinesi, starebbero applicando le lezioni apprese sul campo in Ucraina a Taiwan: non solo osservando come vengono usati armamenti che sono in comune a Mosca e Pechino, ma soprattutto la reazione occidentale ad un Paese invaso. Parole inquietanti che rivelano come la Cina stessa stia prendendo le misure, pensando sempre a una guerra per Taiwan.
Mentre la Cina gode ancora, incredibilmente, di buona stampa in Occidente, in Italia in particolar modo, dove viene vista come possibile mediatrice, i toni dell’informazione politica ufficiale del regime cinese sono duri, a tratti insultanti e strafottenti nei confronti degli Stati Uniti, descritti inequivocabilmente come il nemico. Non vi si intravvede alcun tentativo di porsi come “parte terza”, l’alleanza con Mosca appare strategica e solida.
E quindi la notizia che la Cina stia pensando di inviare aiuti allo sforzo bellico di Putin è veramente così infondata come i vertici cinesi dichiarano? Secondo un funzionario dell’Ue, che ha parlato coperto dall’anonimato al quotidiano Politico, vi sarebbero “prove molto affidabili” su questa intenzione. E l’Ue sta già preparando contromisure economiche contro la Cina, nel caso questi aiuti si concretizzino. “Siamo preoccupati dal fatto che la Cina stia flirtando con la Russia”, dice questo funzionario anonimo, affermando che l’Ue imporrebbe “barriere doganali contro la Cina”, perché “questo è l’unico linguaggio che Pechino capisce”. Nel frattempo non è stato rinviato il vertice fra Cina e Ue previsto per il 1° aprile. Sperando che non vi siano brutti scherzi.