Mosca mostra i "muscoli nucleari", ma la guerra prosegue sul campo
Intesa sul grano e sospetti sul ruolo britannico nell'attacco ai gasdotti, sullo sfondo del dibattito circa il rischio atomico: uno spettro che la Russia agita sapendo che le conviene più la minaccia che l'uso effettivo, e il conflitto continua su base convenzionale.
La Russia torna a sostenere l’accordo sul grano dopo che i mediatori sono riusciti a ottenere garanzie scritte che l’Ucraina «non utilizzerà il corridoio umanitario e i porti ucraini coinvolti nell'esportazione di beni agricoli per condurre attività militari contro la Russia». Uno sviluppo importante non solo per l’esportazione del grano ucraino (diretto in gran parte on Europa, non nei paesi in via di sviluppo) ma anche per congelare quanto meno la guerra sul Mar Nero dopo l’incursione effettuata il 29 ottobre dai droni aerei e navali contro la base della Flotta del Mar Nero di Sebastopoli.
Pochi, a quanto pare, i danni provocati alle navi dai tre droni navali che sono riusciti a penetrare nella base e a farsi esplodere ma il successo simbolico e mediatico per gli ucraini è stato notevole anche se, come i russi hanno sottolineato, i droni navali erano forniti e gestiti da personale britannico e con ogni probabilità guidati da un drone statunitense in volo sul Mar Nero dopo essere decollato dalla base siciliana di Sigonella.
La ritrovata intesa per il grano sembra quindi garantire Mosca sul fatto che i porti ucraini (come quello di Odessa da cui sarebbero partiti i droni impiegati a Sebastopoli) non verranno più utilizzati per operazioni militari e in cambio i russi non li bombarderanno e continueranno a tenere aperti i corridoi utilizzati dai mercantili. Secondo il ministero della Difesa russo «la preparazione dell’attacco terroristico e l’addestramento del personale militare del 73° Centro speciale per le operazioni marittime ucraino sono stati effettuati sotto la guida di specialisti britannici basati nella città di Ochakiv, nella regione di Mykolaiv. I rappresentanti di questa unità della Marina britannica hanno preso parte alla pianificazione, al supporto e all’attuazione dell’attacco terroristico nel Mar Baltico il 26 settembre ai due gasdotti Nord Stream».
Un sabotaggio effettuato probabilmente con droni carichi di esplosivo, tenuto conto che uno dei tubi del Nord Stream 1, che corre all’interno della zona economica esclusiva svedese, sarebbe rimasto distrutto per una lunghezza di 248 metri, secondo quanto fatto sapere dalla società Nord Stream Ag. Il governo britannico ha respinto le accuse russe ma la Royal Navy ha annunciato il 27 agosto di aver inviato in Ucraina 6 droni subacquei per lo sminamento a seguito di un’altra fornitura, in aprile, di droni navali di superficie statunitensi. Il 21 settembre scorso i media russi rivelarono il ritrovamento sulle coste della Crimea, non lontano dalle base navale di Sebastopoli, di un drone navale del tutto simile a quelli impiegati nell’attacco a Sebastopoli.
Circa le responsabilità di Londra negli attacchi dinamitardi ai gasdotti non sono state al momento presentate prove ma desta perplessità il fatto che, nonostante le esplosioni siano avvenute a ridosso delle coste svedesi, danesi, polacche e tedesche, tutte le inchieste siano state di fatto secretate o “silenziate” e non sia stato consentito alla Russia di partecipare alle commissioni d’inchiesta. Se fossero emerse prove circa responsabilità russe nel sabotaggio dei gasdotti sarebbero state divulgate con ampia grancassa da statunitensi ed europei. Al contrario, il silenzio sui rilievi effettuati nei fondali del Baltico e il segreto posto sulle inchieste lasciano ampio spazio all’ipotesi che le responsabilità non siano da attribuire ai russi. Inoltre, pare che i russi abbiano ricavato prove sul ruolo di Londra dalle intercettazioni delle comunicazioni di Liz Truss, premier britannico all’epoca dei sabotaggi ai gasdotti.
Mentre Putin si riserva il diritto di far saltare ancora il tavolo in caso di una «nuova violazione delle garanzie» da parte ucraina, continua il circo, per lo più mediatico, intorno al rischio che i russi impieghino armi nucleari in Ucraina. Il New York Times ha citato funzionari dell’intelligence Usa, secondo cui i vertici militari russi hanno discusso a metà ottobre dell’impiego di armi nucleari tattiche in Ucraina. Il ministero degli Esteri russo ha sottolineato che «la dottrina nucleare nazionale consente una reazione con armi nucleari esclusivamente in risposta a un'aggressione atomica o ad una minaccia all' esistenza stessa dello Stato» e del resto lo stesso portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale statunitense, John Kirby, ha dichiarato che non c’è nessun segnale che la Russia si stia preparando a usare armi nucleari contro l'Ucraina. «Siamo stati chiari fin dall' inizio, le parole della Russia sul potenziale uso delle armi nucleari sono profondamente preoccupanti e le prendiamo sul serio. Continuiamo a monitore ma non vediamo indicazioni che la Russia si stia preparando per tale uso».
La questione è tutta incentrata sul fraintendimento (non casuale) delle valutazioni di Mosca circa il ricorso ad armi atomiche qualora la sicurezza della Federazione Russa fosse in pericolo: elemento peraltro presente nella dottrina d’impiego di tutte le potenze nucleari che si riservano il ricorso a tali armi non solo in caso di attacco atomico ma quando è in pericolo la sicurezza e l’integrità nazionale. Al tempo stesso Mosca ha tutto l’interesse a mostrare i “muscoli nucleari” per far comprendere che non è disposta a perdere la guerra in Ucraina anche se è evidente che un’esplosione atomica, anche se limitata a una delle circa 2.000 testate tattiche di cui dispone la Russia secondo le valutazioni del Pentagono, non avrebbe alcun senso né comporterebbe vantaggi per la Russia. Anzi, le truppe di Mosca puntano a “liberare” ampi territori ucraini che una volta contaminati da radiazioni non potrebbero venire abitati mentre i confini nazionali sono troppo vicini per sfuggire alle radiazioni sprigionate da un’arma atomica.
La guerra in Ucraina continuerà quindi a svilupparsi su base convenzionale, un campo in cui i russi stanno riprendendo ad attaccare un po’ su tutti i fronti. A nord stanno riguadagnando terreno tra le regioni di Kharkhiv e Luhansk dove in estate avevano perduto Kupyansk, Izyum e Lyman ma stanno avanzando di alcuni chilometri anche nel settore di Donetsk e di Bakhmut. Più a sud, nel settore di Kherson, incandescente ormai da mesi, i russi continuano a respingere le offensive ucraine che cercano di riprendere la città e ricacciare le forze di Mosca oltre il fiume Dnepr.
Non è chiaro se in questo settore i russi puntino a indebolire il più possibile l’esercito ucraino prima di ritirarsi oltre il fiume o se le fortificazioni realizzate nelle ultime settimane e i rinforzi spediti in questo settore abbiano lo scopo di mantenere il controllo della riva occidentale e della città di Kherson a oltranza. Oltre 70 mila civili sono stati evacuati in zone sicure al di là del fiume e in Crimea col chiaro obiettivo di sottrarli alle rappresaglie ucraine in caso di ritirata e di non esporli alla violenza dei bombardamenti e dei combattimenti casa per casa qualora le truppe di Kiev penetrassero in città. Di certo in questo settore Mosca ha messo in campo i migliori reparti di fanteria leggera incluse truppe aviotrasportate e fucilieri di Marina.
Del resto, l’arrivo sui fronti bellici di almeno 80 mila dei 300 mila riservisti mobilitati nel mese di ottobre ha consentito a Mosca di rimpolpare i ranghi dei reparti e di riprendere un atteggiamento offensivo in coincidenza con il degrado progressivo delle infrastrutture energetiche ucraine, soprattutto quelle elettriche, colpite ogni giorno dai missili russi. Mosca sembra determinata quindi a togliere a Kiev le risorse per soddisfare i bisogni primari dei cittadini e alimentare lo sforzo bellico.