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Mollicone, esperienza o no, l’eutanasia resta un male in sé

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Federico Mollicone (FdI) dice alla Stampa di aver capito, dopo un coma farmacologico, che l’eutanasia a volte può essere «un'opzione». In realtà, ci sono azioni che la ragione riconosce come intrinsecamente malvagie senza bisogno dell’esperienza. L’eutanasia è una di queste.

Editoriali 04_10_2024
Federico Mollicone (LaPresse)

Il presidente della commissione Cultura della Camera Federico Mollicone (Fratelli d’Italia) rivela a La Stampa che, dopo un’esperienza di coma farmacologico accadutagli due anni fa, oggi si ritrova possibilista sull’eutanasia.

Mollicone racconta che, a seguito di un malore che lo colpì proprio a Montecitorio, «decisero di stabilizzarmi in coma farmacologico. In quelle ore, però, restai sempre cosciente. Perfettamente lucido. Ascoltavo e capivo tutto quel che succedeva intorno a me, ma ero paralizzato. Non potevo muovere neppure gli occhi. Ero diventato un oggetto dotato di coscienza. Mi sentii completamente impotente. Ero disperato». E così gli venne da pensare: «“Se sono condannato a restare in queste condizioni, meglio che qualcuno stacchi la spina”. Non volevo diventare un peso, restare attaccato a una macchina. Ma non sapevo di essere stato messo in coma farmacologico, temevo che la cosa non fosse reversibile». E così conclude: «Ora capisco che, in certi casi limite, l'eutanasia possa essere un'opzione», aggiungendo, però, che in caso di voto sull’eutanasia si allineerebbe alle direttive del partito.

Mollicone in buona sostanza ripropone il seguente luogo comune: “Prima di giudicare bisogna mettersi nei panni degli altri”, conosciuto anche sotto la variante “Se non lo provi, non lo puoi sapere”. E, dunque, dovremmo tutti passare ciò che ha passato Mollicone prima di esprimere un giudizio corretto sull’eutanasia.

Ora, il tema del contributo e del ruolo dell’esperienza nella formulazione del giudizio morale è assai articolato e in questa sede possiamo solo sfiorare la sua complessità. Ma, relativamente alla sola questione eutanasia, ci basti dire che, innanzitutto, la ragione, in relazione ad alcune condotte, può formulare validamente un giudizio certo sulle medesime, anche senza far esperienza diretta di tali condotte. Ad esempio, non serve necessariamente drogarsi per affermare che la droga è un male o rubare per dire che il furto è un atto malvagio o assassinare per concludere che l’omicidio è un male. Venendo alle parole dell’on. Mollicone, occorre aggiungere che, in modo analogo, la ragione, senza necessariamente far esperienza delle situazioni che hanno condotto ad alcune scelte, può comprendere che quelle scelte sono sbagliate. Ad esempio, drogarsi è sempre sbagliato e il giudizio rimarrà valido anche se chi lo formula non ha mai sperimentato sulla propria pelle un profondo disagio giovanile; rubare è sempre sbagliato e il giudizio rimarrà valido anche se chi l’ha formulato non è mai stato sottopagato in vita sua; uccidere, come accade nell’eutanasia, è sempre un atto malvagio e il giudizio rimarrà vero anche se chi l’ha formulato non ha passato le pene dell’inferno che ha passato l’on. Mollicone.

Questo perché la ragione, anche senza sporcarsi le mani con l’esperienza diretta, è in grado di giudicare validamente il fine prossimo perseguito quando si vuole assassinare qualcuno e dunque il fine prossimo di qualsiasi omicidio compiuto in qualsiasi circostanza e per qualsiasi motivo, dato che paragona questo fine prossimo alla dignità personale e da qui si produce un giudizio censorio: uccidere una persona innocente è contrario alla dignità personale. È sempre contrario alla dignità personale, dunque anche quando la persona è molto sofferente o vive una condizione di estrema disabilità come quella patita da Mollicone. In altri termini, la condizione particolare sperimentata da quest’ultimo non ha il potere di mutare la natura dell’atto eutanasico. La condizione fortemente drammatica da lui sofferta può fargli sembrare che l’eutanasia sia atto misericordioso, ma la ragione, a freddo, deve comunque riconoscere che privare della vita una persona innocente, seppur consenziente e sofferente, non è atto consono alla preziosità intrinseca della persona stessa.

Vi sono dunque azioni intrinsecamente malvagie che la ragione riconosce come tali senza doversi necessariamente calare nelle infinite circostanze in cui queste azioni si potrebbero compiere. Sono atti ricompresi nel genere degli “assoluti morali” perché la loro malizia è data dal fine perseguito che è malvagio e non dipende dalle circostanze (né dalle intenzioni), ossia il fine e la sua immoralità rimangono immutati nonostante le circostanze drammatiche in cui si è deciso di perseguire quel fine, di compiere quella scelta. Un atto di pedofilia rimarrebbe malvagio anche se il pedofilo fosse mosso da pulsioni incontrollabili, anche se patisse le più violente tentazioni della carne, anche se fosse minacciato di morte. Nessuno in questo caso direbbe: “Mettiti nei panni del pedofilo prima di giudicare”. I “panni” di colui che ha compiuto una scelta malvagia, ossia le circostanze e le intenzioni che lo hanno mosso, quindi non hanno il potere di mutarne la natura. Circostanze e intenzioni semmai possono incidere sulla responsabilità personale.

Inoltre, relativamente al caso dell’on. Mollicone, è forse proprio la condizione emotiva di chi è parte in causa che determina spesso un offuscamento della ragione che impedisce ai diretti interessati di scorgere il vero bene da compiere. Un sano distacco dagli eventi, non di rado, aiuta nel compiere le scelte giuste. Da ciò si evince che la terzietà è spesso aspetto importante, anche se non l’unico e il più rilevante, per tentare di formulare un giudizio il più possibile oggettivo e spassionato. Rivestire una posizione neutra, ad esempio in una lite, può aiutare in questo senso. Di contro, essere coinvolto emotivamente in una certa esperienza potrebbe falsare il giudizio. Nei processi giudiziari, infatti, il magistrato deve essere super partes e se, ad esempio, è parente o conoscente dell’imputato deve rigettare l’incarico.

In conclusione, l’eutanasia è una condotta intrinsecamente malvagia e quindi come tale deve essere sempre rifiutata. L’esperienza drammatica di chi ha vissuto una condizione fortemente opprimente, come quella patita dall’on. Mollicone, non ha il potere di mutare questo giudizio, perché non ha il potere di cambiare l’identità morale della scelta eutanasica.



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