Genitori condannati per cattiva educazione, cosa dice la morale
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Un sedicenne stupra una ragazza e, in sede civile, il Tribunale di Firenze condanna i genitori a risarcire la vittima per non aver educato il figlio al rispetto per le donne. È lecito far pagare ai genitori le colpe dei figli? Facciamo il punto e qualche domanda politicamente scorretta.
Siamo nel marzo del 2015 in un liceo di Siena. Un ragazzo di 16 anni trascina una sua compagna di classe in uno sgabuzzino e la stupra. Lui viene condannato nel 2022 per violenza sessuale aggravata. Chiuso il procedimento penale, rimane aperto quello civile: vengono chiesti 100.000 euro di risarcimento ai genitori, alla scuola e al Ministero dell’Istruzione. Questi ultimi due soggetti ne sono usciti indenni – nessun addebito alla scuola nemmeno in riferimento alla culpa in vigilando – ma lo stesso non si è potuto dire per i genitori, condannati per culpa in educando ex art. 2048 del Codice civile a risarcire la ragazza con 25.000 euro. Padre e madre non avrebbero educato correttamente il figlio soprattutto relativamente al rispetto per le donne.
La domanda che qui ci poniamo non riguarda tanto questo caso, su cui non ci pronunciamo, bensì il principio che sta a monte del giudizio del Tribunale di Firenze che ha condannato i genitori del violentatore: è lecito far pagare ai genitori per le colpe dei figli? La risposta è la seguente: in capo ai genitori a volte è possibile individuare una responsabilità personale per le condotte dei figli.
Sotto la prospettiva morale occorre distinguere la condotta dalla responsabilità personale. Pensiamo ad un furto. L’atto in sé è intrinsecamente malvagio. Tutti coloro che rubano compiono il medesimo atto malvagio. Ma la responsabilità, quella che viene comunemente detta “colpa”, può variare assai da ladro a ladro. Innanzitutto occorre verificare se viene ad esistenza l’imputabilità, ossia la possibilità di riferire la bontà o la malvagità di un atto al suo autore esprimendo quindi rispettivamente un giudizio di lode o di biasimo. La responsabilità esiste se ci sono il proponimento di compiere un tale atto e la coscienza del valore o disvalore dell’atto.
Una volta appurato che la responsabilità esiste, è necessario comprendere il grado di questa responsabilità, ossia il grado di merito o di colpa. Per far ciò, occorre far riferimento ad un’infinità di criteri: il motivo per cui si è scelto di rubare (rubare ai ricchi per donare ai poveri oppure per arricchire sé stessi), le condizioni soggettive di chi ha agito (persona un po’ alticcia o persona lucida, abitudini pregresse, l’età etc.) e le condizioni oggettive. Tra queste troviamo moltissimi aspetti da tenere in considerazione per comprendere il grado della colpa: i luoghi e i tempi in cui si è compiuto l’atto, l’esempio degli altri, il contesto in cui si è cresciuti, la situazione concreta in cui si è svolto il furto, le modalità dell’atto tra cui la coscienza degli effetti del furto e molti altri, tra cui l’educazione ricevuta.
Fermiamoci su questa condizione perché interessa il caso senese. Partiamo da un esempio: Pino e Lino hanno entrambi 16 anni e ciascuno di essi ha rubato a un ciclista il medesimo modello di bici. Pino è cresciuto in una famiglia di sani valori e gli è sempre stato detto che rubare è un atto grave. L’esempio dei genitori è sempre stato coerente con i principi educativi trasmessi al figlio. Lino è invece stato educato in una famiglia di ladri dove sin da piccolo gli è stato insegnato che rubare è un mestiere come un altro. Appare evidente che, al netto di altre circostanze che qui non prendiamo in considerazione, la responsabilità di Pino nel rubare la bicicletta è maggiore della responsabilità di Lino, perché il primo ha avuto maggiori condizionamenti positivi per comportarsi secondo giustizia.
Un nota bene: Lino, figlio di ladri, è comunque responsabile, perché quando ha compiuto il furto era capace di intendere e volere e la sua scelta era quindi libera e non versava nella cosiddetta ignoranza invincibile, ossia nella convinzione attualmente insuperabile che rubare sia un atto moralmente lecito. In altri termini Lino, pur venendo da una famiglia di ladri, era comunque in grado di comprendere che il furto è un atto ingiusto e quindi poteva anche non rubare. Perciò è imputabile.
Torniamo a Pino e Lino. Quest’ultimo ha meno responsabilità di Pino nell’aver compiuto il furto; e di converso i genitori di Lino, figlio di ladri, hanno maggiori responsabilità relativamente al furto compiuto dal figlio rispetto ai genitori di Pino che, per ipotesi, possono anche essere completamente privi di colpa.
E dunque, senza entrare nel merito del caso senese, possiamo dire che, in astratto, laddove un figlio stupra una ragazza, i genitori possono essere per nulla responsabili – assai difficile da predicarsi nel concreto – oppure poco, abbastanza o molto responsabili. Nel nostro caso concreto il magistrato di Firenze ha giudicato corresponsabili i genitori del sedicenne. Una responsabilità che, torniamo a sottolineare, si somma a quella del ragazzo e non la esclude. Loro colpevoli di averlo educato male, lui colpevole per lo stupro.
Appurato quindi che noi tutti con le nostre parole, gesti ed esempi possiamo influenzare gli altri verso il bene – accumulando meriti – oppure verso il male – accumulando colpe – rimane il duplice problema, sia in ambito morale che soprattutto in quello giuridico, di comprendere innanzitutto se c’è stata una responsabilità di terzi (nel nostro caso: i genitori) nell’aver orientato un’altra persona verso condotte malvagie e, in seconda battuta, di individuare, qualora ci fosse questa responsabilità, il grado di colpa. Capire se i genitori sono corresponsabili dello stupro del figlio e quanto lo sono è impresa ardua proprio perché è quasi impossibile ricostruire gli infiniti condizionamenti positivi e negativi di varia natura a cui è stato sottoposto il ragazzo, oltre all’educazione ricevuta, e il grado di incidenza degli stessi. Il giudice ha dunque il difficile compito di individuare le diverse influenze positive e negative esercitate sul ragazzo – l’educazione, gli amici, i social, la scuola, etc. – di comprenderne il grado di incisività e quanto poi si vanno a compensare a vicenda e infine di tradurre i condizionamenti negativi in una sanzione pecuniaria. Una vera e propria impresa che ci ricorda che la giustizia umana non solo non è infallibile ma, se va bene, è imperfetta. È proprio per questo motivo che Nostro Signore ci disse: «Non giudicate per non essere giudicati» (Mt 7, 1). Non si riferiva al giudizio sulle condotte – noi dobbiamo sapere se il furto o lo stupro sono azioni buone o cattive – ma al giudizio sulla responsabilità. Solo Dio conosce alla perfezione i meriti e le colpe di ciascuno.
In conclusione il caso senese ci ricorda che davvero le colpe dei padri possono ricadere sui figli, nel senso che le mancanze nell’educazione si possono riverberare sulle scelte dei figli, li possono condizionare negativamente. E questo è vero non solo nel caso di delitti turpi come lo stupro, ma anche nel caso di scelte di vita ormai pacificamente accettate da tutti. E dunque è doveroso domandarsi: quali e quante sono le colpe dei genitori che incideranno sul futuro dei figli quando i primi, ad esempio, decidono di divorziare, di mettere al mondo un figlio tramite la provetta, di non aiutarlo quando si scopre omosessuale o fragile nella sua identità sessuale, di non educarlo cristianamente?