Missioni all'estero, dopo l'Afghanistan andremo in Libia?
I costi e il numero di uomini impiegati per le missioni dell'esercito italiano registrano un calo sensibile rispetto agli anni scorsi. Merito del previsto ritiro dall'Afghanistan. Ma il caos Libia già ci costa. E potrebbe riservarci sorprese.
Le missioni militari italiane all’estero sono state rinnovate per sei mesi dal Consiglio dei ministri con una spesa di 550 milioni che però include anche i fondi per la cooperazione e sviluppo e altre funzioni della Farnesina (67,5 milioni) e altre voci di spesa che includono il contributo italiano per il nuovo comando Nato a Bruxelles (46,3 milioni nel biennio 2014-2015). Nel complesso lo stanziamento sembra indicare una limitata riduzione delle spese su base annua in proporzione al calo progressivo delle forze dispiegate oltremare.
Se nel 2011 la spesa di 1,55 miliardi copriva l’impegno di 8.400 militari nel 2012 gli stanziamenti erano scesi a 1,4 miliardi per 6.700 militari e l’anno scorso a 1,25 miliardi per 5.600 soldati. Una cifra di poco superiore al miliardo potrebbe venire impegnata quest’anno che dovrebbe vedere le truppe dispiegate all’estero scendere dagli attuali 5 mila a circa 4.000 unità a causa del rimpatrio del contingente in Afghanistan. Un calo che potrebbe accentuarsi ulteriormente di altre 6/800 unità, se a Kabul scattasse la cosiddetta “opzione zero” con il ritiro totale delle forze alleate, ipotesi da non escludere se non verrà firmato l’accordo sulla sicurezza Usa-Afghanistan.
Certo la riduzione del contingente in Afghanistan verrà bilanciata da costi crescenti per il rimpatrio di mezzi e materiali da Herat, in tutto 11 chilometri di veicoli e container i cui costi non sono ancora stati resi noti. Le missioni militari vere e proprie da gennaio a giugno assorbiranno 436 milioni ma di questi oltre la metà (245) necessari per sostenere la missione afghana e quella logistica ad Abu Dhabi di supporto per le forze schierate a Herat. La missione dell’Onu in Libano costerà 81,5 milioni, spesa in lieve crescita rispetto ai 153 milioni del 2013, così come si preannunciano più o meno stabili le spese per la lotta alla pirateria somala (25 milioni per il semestre, 53 per l’intero 2013) e in Kosovo (42 milioni contro 75).
Incluse le operazioni minori, sono 33 le missioni attive in 25 Paesi a cui partecipano truppe italiane. In assenza di nuovi improvvisi coinvolgimenti oltremare appare evidente che la conclusione della missione afghana ridurrà notevolmente l’impegno militare in termini di forze e fondi impiegati in un momento in cui le Forze armate vengono impiegate sempre più massicciamente in patria in operazioni “sui generis” coperte con fondi di bilancio o stanziati comunque al di fuori del “decreto missioni”. Dopo aver spalato neve a Milano, raccolto pattume a Napoli e a Palermo e pattugliato le città contro la criminalità, l’Esercito darà presto “la caccia” agli inquinatori e alle discariche abusive di materiali tossici nella “Terra dei Fuochi”, in Campania. La Marina è invece da mesi impegnata nell’operazione Mare Nostrum, varata dal governo per far fronte all’emergenza immigrazione, che sta, di fatto, aiutando decine di migliaia di clandestini ad arricchire mafiosi e terroristi islamici raggiungendo le coste italiane. Un’operazione che proprio per le sue caratteristiche di “supporto” indiretto ai trafficanti di esseri umani è destinata a non concludersi, supportata anche dalla recente semi-abrogazione del reato di immigrazione clandestina.
Un altro buco nero è rappresentato dalle operazioni di supporto alla Libia. Per i primi sei mesi dell’anno spenderemo 5,1 milioni per addestrare le reclute libiche a Tripoli dove sono presenti una quarantina di istruttori italiani e altri 3,6 per la missione della Guardia di Finanza che copre anche la manutenzione, a Napoli, delle 4 motovedette regalate nel 2009 alla Libia per contrastare i traffici illeciti. Dopo averle regalate a Gheddafi, che le impiegò per compiti diversi, incluso l’attacco a pescherecci italiani, ora ne paghiamo pure la manutenzione. Per fortuna che delle sei motovedette donate due sono andate distrutte durante la guerra del 2011 riducendo così gli oneri a nostro carico.
Di rilievo anche l’operazione “Coorte” che ha in programma di addestrare 2.000 reclute libiche a Cassino (Frosinone) nell’ambito di un programma multinazionale che coinvolge altri Paesi nella formazione di 15mila reclute di Tripoli. L’addestramento viene peraltro pagato dal governo libico (50 milioni di euro in 18 mesi), ma solleva qualche perplessità circa il futuro del Paese nordafricano e quindi il buon fine dell’istruzione impartita ai suoi soldati. Non è in discussione l’obiettivo di appoggiare il tentativo del governo libico di acquisire credibilità e di poter riprendere il controllo del Paese, ma Alì Zeidan è già stato sfiduciato dal Parlamento e soprattutto dai Fratelli Musulmani che vogliono mettere le mani sulla Libia dopo aver perso l’Egitto ed essere in profonda crisi in Tunisia. Si tratta dello stesso Parlamento libico dominato dai Fratelli Musulmani che ha approvato la revisione di tutte le leggi non compatibili con la sharia.
Dopo il rapimento di due operai italiani nei pressi di Derna, in Cirenaica (opera forse dei qaedisti che controllano quella zona), la situazione in Libia appare "sempre più compromessa, senza ormai controllo del territorio” ha detto il Ministro degli Esteri, Emma Bonino. Martedì il primo ministro libico Ali Zeidan ha ripetuto in una conferenza stampa a Tripoli che non si dimetterà prima che sia stato trovato il suo successore. Questione forse di giorni e poi, ufficialmente, Italia, Turchia, Gran Bretagna e Stati Uniti saranno coinvolti nell’addestramento di forze armate libiche che risponderanno a un governo islamista. A qualcuno sembra un buon affare?