Schegge di vangelo a cura di don Stefano Bimbi
il caso

Miracolo eucaristico, l'accordo segreto via Whatsapp tra diocesi di Ravenna e Asl

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Il dirigente Asl che ha effettuato l'indagine sull'Ostia del possibile miracolo eucaristico di Savarna ammette alla Bussola che «tra Asl e Diocesi c'era un accordo di riservatezza». Impossibile sapere su quali elementi il vescovo dica che non c'è sangue, contrariamente a quanto accertato in un esame precedente. Il giallo del campione sparito, che avrebbe potuto consentire nuove indagini. 

Ecclesia 25_06_2024

«Tra la Asl e la Diocesi di Ravenna c’era un accordo di riservatezza sul materiale del presunto Miracolo Eucaristico di Savarna. Il materiale analizzato è stato utilizzato tutto, quindi ora non c’è più». Queste parole, pronunciate alla Bussola da Vittorio Sambri, direttore del laboratorio Asl di Pievesestina, contribuiscono ad aprire ancora più interrogativi circa il fenomeno del probabile miracolo eucaristico che si sarebbe verificato il 28 gennaio 2023 nella chiesa di Savarna.

Come scrivevamo ieri, la Diocesi, non ha mai fornito la refertazione proveniente dall’Asl a cui aveva affidato l’Ostia da analizzare; una refertazione negativa in forza della quale il vescovo Lorenzo Ghizzoni ha smentito la presenza di sangue umano nella particola. Eppure, per smentire la precedente indagine effettuata nel laboratorio dell’anatomopatologa di Schio Maria Cristina Antonini, che invece aveva trovato tracce ematiche nell’Ostia, sarebbe stato necessario un referto dettagliato, nelle modalità e nel contenuto, delle analisi effettuate da parte dell’Asl.

Il motivo di questa reticenza è oggi svelato dal direttore del laboratorio Asl, che nel corso di una telefonata piuttosto “burrascosa” con la Bussola, terminata con il telefono sbattuto in faccia al cronista, ha dichiarato che «i risultati dell’indagine sono stati comunicati con un accordo di riservatezza che esisteva tra noi e il vescovo». Il perché non sia possibile ancora oggi vedere le indagini effettuate, la metodologia utilizzata e conoscere che cosa davvero l’Asl ha scritto al vescovo su quell’Ostia non è mai stato chiarito.

Però è certo che la modalità di comunicazione scelta dall’Asl per informare la Diocesi di Ravenna è una modalità quantomeno insolita, non propriamente scientifica dato che tutto si è svolto - almeno in prima battuta perché non sappiamo se ci sono state altre comunicazioni più ufficiali - con un messaggio sul profilo Whatsapp del vescovo Ghizzoni. Messaggio che, come accade sovente negli ambienti di curia, gira veloce di bocca in bocca e di cui la Bussola è entrata in possesso e che mostra qui in esclusiva.

È scritto dallo stesso Sambri ed è rivolto al vescovo: «Buongiorno Eccelenza, uso questo metodo di comunicazione poco ortodosso per non disturbarLa. Le indagini microscopiche e molecolari condotte sulla partiucola “caduta” a terra lo socrso gennio hanno confermato che NON esiste alcuna presenza di sangue ne di altro materiale biologicvo di verosimile origeine umana. Se avesse piacere di approfondire, sono ovviamente a Sua disposionz».

Si tratta dunque di una comunicazione informale, scritta approssimativamente come dimostrano i numerosi refusi del testo, volutamente informale proprio in virtù di quell’accordo di riservatezza confermato da Sambri e che chiude con estrema facilità una vicenda che invece stava interrogando e non poco i fedeli.

Perché Sambri non voleva disturbare il vescovo con una comunicazione più dettagliata, precisa, ufficiale, scientifica dato che ne avrebbe avuto tutti i diritti, trattandosi di un fatto che era già di dominio pubblico per il quale l’Asl era stata investita in quanto ente pubblico?

Una comunicazione privata, dunque, tra un dirigente dell’Asl e il vescovo, per stessa volontà delle parti, che pone qualche interrogativo sulla serietà con la quale sono state condotte le indagini, ma per la quale però non si può invocare la privacy, dato che contraddice l’interesse pubblico di una vicenda che era stata la stessa Diocesi a presentare pubblicamente il 29 giugno '23.

Nel corso di un’intervista a un giornale locale, il vicario generale don Alberto Brunelli aveva per la prima volta reso pubblici i fatti di Savarna avvenuti il 28 gennaio '23 e aveva annunciato l’inizio di una indagine ad opera della Diocesi.

Due giorni prima, il 27 giugno '23, il parroco don Nicolò Giosuè aveva appena consegnato proprio a lui l’Ostia in decomposizione e il materiale analizzato dalla dottoressa Antonini da cui si evinceva la presenza di materiale ematico. Pochi giorni dopo, proprio il vicario generale, quindi il braccio destro di Ghizzoni, annunciava pubblicamente l’apertura di indagini («faremo le opportune verifiche»).

Dunque, per un annuncio già pubblico e di un certo interesse pubblico, perché poi la Diocesi ha scelto la strada di stringere un patto di riservatezza con la Asl incaricata di effettuare quelle indagini, blindando così ogni tipo di informazione su quello che l’Asl può o non può aver trovato durante le indagini? La domanda è importante perché sono ancora tanti i tasselli di questa storia che non vanno al loro posto.

Allo stato attuale, a negare la presenza di sangue è solo il vescovo Ghizzoni, in forza però di indagini scientifiche dell’Asl che solo lui evidentemente ha visto e che non si possono leggere, confrontare, studiare. A questo si aggiunge il messaggio informale inviato dal dirigente al vescovo. Troppo poco per un esame che dovrebbe invece attestare la scrupolosità della Chiesa nel non dare adito a sterili spiritualismi, ma anche nel cogliere tutti i segni possibili del Cielo.

L’accordo di riservatezza, se da un lato poteva valere per l’Asl, che ha effettuato le indagini su commissione della Diocesi, non può valere per il vescovo, però, dato che l’evento di Savarna era già pubblico, su di esso il parroco e diversi fedeli hanno pregato e si sono spinti persino a chiedere supplementi di indagine, che però non sono mai stati accordati. Dunque, Ghizzoni non poteva far valere un accordo di riservatezza perché l’interesse pubblico della vicenda era già ampiamente suscitato proprio dalla stessa diocesi nell’annunciare le indagini.

Agli interrogativi si aggiunge poi anche un ulteriore giallo. Come noto, la dottoressa Antonini aveva reso stabile un campione del tessuto prelevato dall’Ostia per poterlo analizzare, ma anche per metterlo a disposizione di tutta la comunità scientifica per ulteriori esami. Si chiama “blocchetto” o “incluso” ed è un campione di materiale già pronto per l’analisi, stabilizzato. Quell’incluso è stato consegnato dal parroco alla curia, ma ora non si sa che fine abbia fatto, né si sa se l’Asl abbia analizzato il blocchetto preparato dalla dottoresa Antonini o se invece abbia messo sotto la lente del microscopio un altro campione ricavato dall’Ostia, che il vicario aveva detto di aver riposto in un luogo sicuro.

Ebbene, di tutto questo oggi non c’è traccia, né la Diocesi ha mai detto che cosa ne è stato tanto che secondo alcuni sarebbe addirittura stato buttato, nonostante sia certo che si tratti di un’Ostia consacrata. Sicuramente un problema dal punto di vista della fede, ma anche scientifico, perché come ha ribadito la dottoressa Antonini anche alla Bussola, «sarebbe gravissimo se si fossero sbarazzati dell’incluso da me preparato, tracciato e codificato, perché così facendo hanno cancellato ogni traccia di un probabile miracolo eucaristico».

L'impressione, anche alla luce del fatto che in un comunicato successivo, la Diocesi abbia addirittura messo in dubbio che l'Ostia fosse davvero consacrata - e dunque presenza reale di Cristo - è che la ricerca della verità e di chiarezza per non alimentare credenze o miracolismi, stia producendo un boomerang non previsto. 



Ravenna

Il probabile miracolo eucaristico che imbarazza la Diocesi

24_06_2024 Andrea Zambrano

Ravenna. Ostia caduta a terra viene raccolta, il giorno dopo inizia a cambiare d'aspetto. Il parroco la fa analizzare in un laboratorio di anatomia patologica e si trovano tracce ematiche. Ma il vescovo si fa consegnare tutto e nega che si tratti di sangue. Però non fornisce un referto pubblico e mette tutto a tacere, tanto che oggi l'Ostia sembra scomparsa o peggio ancora buttata.