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FORUM DI TRIPOLI

Migrazioni, un carico ingiusto sull'Europa

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Al Forum sulla migrazione trans-mediterranea è stato riproposto il solito schema secondo cui l'Europa si deve fare carico dello sviluppo dei Paesi di origine e deve finanziare i Paesi di transito. Ma l'Europa è la vittima dell'emigrazione illegale, non la responsabile.

Politica 22_07_2024

Il 17 luglio si è svolto a Tripoli, in Libia, il Forum sulla migrazione trans mediterranea, un incontro internazionale al quale hanno partecipato la Lega Araba, l’Unione Africana, l’Unione Europea e, oltre alla Libia, 11 paesi: quattro di quelli verso cui si dirigono gli emigranti illegali – Italia, Spagna, Grecia e Malta, mancava Cipro –, due dei paesi da cui si imbarcano – Algeria e Tunisia, tre con la Libia –, il Niger, che è attraversato da una delle principali rotte di terra, e inoltre Sudan, Ciad, Repubblica Ceca e Olanda. Per l’Italia erano presenti il primo ministro Giorgia Meloni e il ministro dell’interno Matteo Piantedosi.    

La Libia ha proposto l’incontro allarmata per il numero di stranieri privi di documenti sul proprio territorio nazionale, entrati illegalmente. Secondo l’Organizzazione internazionale per le migrazioni sono poco più di 700mila, ma le autorità libiche ritengono che siano oltre due milioni. È lo stesso problema della Tunisia e, in misura minore, dell’Algeria, dell’Egitto. I paesi di origine li lasciano partire, l’Europa non li vuole e moltiplica gli sforzi per fermarli, quindi restano bloccati sulle coste sud del Mediterraneo.

Siamo vittime di un fenomeno di cui non abbiamo colpa. Questo in sostanza ha detto il primo ministro libico Abdul Hamid Dbeibah e il primo ministro tunisino Ahmed Hachani lo ha ribadito, dopo di che ha esortato i paesi europei – si badi bene, non quelli di origine degli emigranti – ad aumentare l’assistenza finanziaria al suo Paese e agli altri nelle sue stesse condizioni per contrastare il flusso di emigranti dall’Africa subsahariana. «È necessario fornire maggiore assistenza a paesi come la Tunisia. Gli aiuti forniti non sono sufficienti per affrontare il problema. Ci sono città che hanno assorbito i migranti oltre le loro capacità» ha detto, riferendosi alle città costiere di El Amra e Jbeniana. La Tunisia, ha aggiunto, è un paese vittima e sta esaurendo le sue finanze pubbliche nello sforzo di affrontare la crisi migratoria che costituisce un onere aggiuntivo per un governo già impegnato ad affrontare altri problemi.

Aprendo i lavori, il primo ministro libico inoltre ha parlato di «responsabilità morale» nei confronti delle persone «che attraversano il deserto e il mare» sperando di raggiungere l’Europa. Si riferiva giustamente ai loro paesi di origine. «L'immigrazione è un problema storico e richiede approcci e soluzioni diversi – ha spiegato successivamente – noi non inseguiamo questi migranti nel deserto e nel mare, né li sistemiamo nei paesi di transito. Vogliamo pensare in modo diverso. Vogliamo affrontare il problema radicalmente nei paesi africani e del Sahel che hanno la responsabilità morale ed etica di sviluppare soluzioni e garantire una vita dignitosa ai migranti».

Per farlo, ha subito chiarito, l’Europa deve spendere il denaro destinato a combattere l’emigrazione illegale «là, nei paesi d’origine e non nei campi di detenzione, siano essi in Libia o in Europa». Che in Libia esistano campi di detenzione è vero, dove si lascia che gli agenti di sicurezza trattino male i detenuti, ma di certo non ce ne sono in Europa.

Questo a parte, è inverosimile, insostenibile che un paese ricco come la Libia, 16° maggior produttore mondiale di petrolio (ne produce poco meno del Qatar, più dell’Angola), non abbia i mezzi per monitorare efficacemente le proprie frontiere di terra. È altrettanto vero per quanto riguarda l’Algeria (18° maggior produttore), l’Egitto (27°) e anche la Tunisia che, al confronto, di petrolio ne estrae poco (solo 33mila barili al giorno rispetto agli oltre 1,2 milioni della Libia), ma dispone di altre preziose risorse naturali tra cui grandi depositi di fosfati, gas naturale e minerali ferrosi e ha soltanto 12,5 milioni di abitanti.

Che poi l’Europa, che è la vittima dell’emigrazione illegale, ne diventi secondo la narrazione prevalente la responsabile, tanto da pretendere che sia lei a farsi carico dello sviluppo dei paesi di origine degli emigranti illegali, è un fatto paradossale, inaccettabile sul piano logico e morale. Si possono elencare uno per uno i paesi sub sahariani dai quali partono gli emigranti e dimostrare per tutti, nessuno escluso, che, se in 60-70 anni di indipendenza non hanno messo a frutto le loro immense risorse, è perché le hanno sprecate, usate male; così come hanno sprecato e usato male i “piani Marshall” che ogni anno hanno riversato sul continente miliardi di dollari in doni, finanziamenti, prestiti, assistenza e le rimesse, miliardarie anch’esse, degli africani emigrati in altri continenti.

Per limitarsi a due dei paesi sub sahariani presenti il 17 luglio a Tripoli: di uno, il Niger, basti dire che da anni è terra del jihad e inoltre chi oggi pretende di rappresentarlo è una giunta militare che ha preso il potere lo scorso anno con un colpo di stato, motivo per cui il paese è stato sospeso dall’Unione Africana. L’altro, il Sudan, mai del tutto in pace dall’indipendenza ottenuta nel 1956, da oltre un anno è teatro di una guerra voluta da due generali, decisi a combattere fino alla sconfitta dell’avversario, al costo della peggiore crisi umanitaria del pianeta.

30 anni fa la studiosa camerunese Axelle Kabou ha scandalizzato il mondo con una domanda: e se l’Africa rifiutasse lo sviluppo? (titolo di un suo libro edito dall’Harmattan). Il tempo le ha risposto. È una domanda che è indispensabile porre di nuovo oggi, mentre l’Europa si accinge, accettando il ruolo che le viene imposto, a tentare un nuovo, enorme sforzo finanziario in favore del continente africano. 



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